Comunità Maria Regina Della Famiglia - Gallarate
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Omelia - 6 settembre 2020

2^ Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

 

Questi che oggi abbiamo ascoltati, sono i pensieri che a Gesù venne prepotentemente chiesto di esprimere presso la porta delle pecore, vicino alla piscina di Betsaida, là dove il popolo andava a cercare guarigione, il giorno in cui di sabato aveva guarito un paralitico, liberandolo dal male che da trentotto anni lo aveva immobilizzato. Queste parole sono come una fessura aperta sul suo mondo intimo, sulla sua relazione col Padre. Il mondo della relazione, anche di ogni nostra relazione, quando è vera, è fatto di un parlarsi, di un ascoltarsi, di un nutrirsi l’uno dell’altro. “Il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre: quello che egli fa, anche il Figlio lo fa, allo stesso modo”. “Come il Padre risuscita i morti e da la vita così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole”. “A chi egli vuole”, cioè a tutti e non solo a quelli che decidiamo noi.

Mi attraversava un pensiero, meglio una domanda: non dovrebbe essere vero anche per noi, che dalla nostra relazione con Gesù, dallo spiare come Lui era e che cosa Lui faceva dovrebbe succedere anche a noi di fare quello che abbiamo visto fare da Lui? E dunque dare vita, come Lui aveva visto fare dal Padre, risuscitare come Lui aveva visto fare dal Padre? Penso che non sfugga a nessuno di noi l’urgenza di una stagione nuova, bisogno di un ricominciamento, bisogno di un risorgimento. Dare inizio a qualcosa che sia veramente vita, liberare energie che siano veramente nuove, a loro volta liberanti.

Viene spontaneo ricordare come la prima lettura che abbiamo ascoltato faccia riferimento a una stagione del popolo di Israele nella quale Dio intendeva avviare qualcosa di nuovo. Ha inizio un nuovo periodo della storia di Israele, in opposizione a quello ormai concluso, un periodo in cui fare esperienza dell’amore misericordioso di Dio. E quali i segni?

La vita passata è stata caratterizzata dalla violenza e dalle guerre contro i nemici, ebbene ora a guidare la vita sociale non saranno in primis capi terreni. Saranno giustizia e pace a guidare il popolo. E la luce della città, bellissimo il richiamo, non verrà più tanto dall’esterno: Il sole non sarà più la tua luce di giorno né ti illuminerà lo splendore della luna, ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore”.

Quasi a dirci che il vero cambiamento della vita ecclesiale e della vita sociale viene da una luminosità interna, dal nostro sostare in verità alla luce di Dio nella nostra coscienza. Anche questa un’urgenza che attraversa i nostri giorni, un bisogno di donne e uomini onesti, limpidi, incorruttibili. Un bisogno corale che chiede a ciascuno di noi un sussulto di coscienza, un ritorno da parte di ciascuno di noi a onorare l’onestà, la veracità, la limpidezza. “Il tuo popolo sarà tutto di giusti”.

La vera categoria “i giusti”, di cui sentiamo, in ogni ordine e grado, prorompente, urgente bisogno. A questo patto “il mio popolo sarà piantagione del Signore, lavoro delle sue mani! Per mostrare la sua gloria”. Ora sappiamo in che cosa consista la gloria di Dio. Sappiamo a cosa veramente lavora Dio. Sappiamo che cosa il Figlio, Gesù, gli ha visto fare, fino ad sentirsi potentemente attratto a continuare la sua opera sulla terra: “Come il Padre che risuscita i morti e dà la vita, così il Figlio”.

Paolo nella prima lettera ai Corinti ci ha ricordato che se non ci fosse la risurrezione dei morti, la nostra predicazione sarebbe vuota, quasi a dirci che la risurrezione è il nocciolo di ciò che predichiamo, perché se l’ultimo, il più devastante dei nemici, la morte, non fosse alla fine annientato, mutilata sarebbe l’azione di Dio nella storia, che è, dicevamo, “risuscitare, dare vita”. La nostra fede è fede in Dio che “fa passare dalla morte alla vita”. E il passaggio, ultimo accadimento, il passaggio dalla morte alla vita – ce lo ha ricordato il Vangelo - ha un anticipo quaggiù: “Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, è passato dalla morte alla vita”. Audace affermazione! Sino a dire che la risurrezione è già avvenuta, per chi ascolta la parola di Gesù.

Sembra di riascoltare il pensiero di Giovanni nella sua prima lettera: Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (3,14). Un vuoto di amore non parla di risurrezione, anche se la cantassimo a squarciagola, parla di morte e di morte innanzi tempo.

Solo opere segnate da un autentico amore sono già segno, fin da questa vita, di donne e uomini risuscitati.

Ci risuscita l’amore, in attesa del giorno ultimo, quando Gesù, dopo aver annientato i poteri prepotenti e arroganti della storia, come ultimo nemico annienterà la morte e consegnerà il regno a Dio Padre. Ultima opera delle sue mani. Ultima consegna.

Il vostro parroco, don Mauro

 

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