AVVISI - 30 GIUGNO 2024

MI RACCOMANDO RICORDIAMOCI NEL SIGNORE

Avrei voluto solo una pagina bianca con scritto semplicemente un grande grazie per salutarvi... perché si sa, quando le emozioni tracimano paiono sovrastarti, quando il cuore pullula di sentimenti contrastanti, parlano meglio i silenzi, gli sguardi, gli abbracci, le strette di mano, le lacrime ... perché le parole sono così povere, così fragili, così inadeguate da non riuscire ad esprimere tutto ciò che vorresti.

La “partenza” è scritta nell’avventura cristiana di un prete, è forse la sua vera “povertà” ed è un’esperienza che attraversa il suo cuore e quello della comunità con la quale ha camminato e condiviso tutto per un tratto di strada.

La partenza è “obbedienza” e io lascio questa Comunità per obbedienza al mio Vescovo. Ogni partenza è una “ferita” ma, non c’è amore senza ferite. I 10 anni trascorsi insieme sono stati davvero un’esperienza straordinaria e indimenticabile, scritta per sempre nel mio cuore, come se fosse scolpita nella roccia.

Un’esperienza intessuta di splendidi incontri, di affettuosi legami e relazioni, di gioia e di festa, di stupore e di incanto, di tanti segreti ascoltati, di tantissimi doni ricevuti, di sorprese inaudite.

È stato magnifico fare il prete-parroco qui: ho vissuto ogni giorno quella che amo chiamare la “Chiesa dei volti” nelle celebrazioni eucaristiche, nel dopo messa anche solo per un breve scambio di parole e sguardi, nelle tante ore passate a confessare, nelle visite ai carissimi malati, negli incontri con le giovani coppie, negli itinerari per i fidanzati ... mi sono sentito amato, atteso, cercato. Persino nella benedizione natalizia delle famiglie: non si permette a chiunque di varcare la soglia della propria casa ... eppure in tantissime occasioni non ho dovuto neppure bussare: la porta era già aperta, in segno di attesa, di amicizia, di simpatia che ha fatto dire a molti: lei qui! Che bello!.

Ciò che innanzitutto ho voluto comunicarvi è un’immagine di Dio: quella che ci comunicano la vita e la Pasqua di Gesù di Nazareth, il mio il nostro Maestro e Signore, il Signore della danza che mi ha sedotto e che ha “stregato” la mia vita. Un Dio che non inchioda nessuno di noi al nostro passato, che non ci chiede mai da dove veniamo ma piuttosto dove vogliamo andare. Un Dio che non è in competizione con l’uomo ma che sogna solo di vederci liberi e felici quaggiù. Un Dio che ci regala sempre con sovrabbondanza il suo perdono che ci restituisce alla vita. Alla scuola della sua misericordia ho cercato di far risplendere a tutti, di illuminare tutti con il suo perdono. Ho voluto dirvi che è possibile e insieme splendido amare Dio con cuore di carne e amare la carne con cuore di Dio. Vi ho voluto comunicare un volto di Chiesa “conciliare”, fraterno, misericordioso. Una Chiesa accogliente, dal cuore di carne, colmo di tenerezza. Una Chiesa che sa essere nel mondo e per il mondo, con lo stile che ci ha suggerito mons. Tonino Bello: “Amiamo il mondo e la storia. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Facciamogli compagnia. Adoperiamoci perché la sua cronaca diventi storia di salvezza. Coraggio! Riscoprite i volti! Non abbiate paura che vi accusino di parzialità se partite dai più deboli”.

Una Chiesa dove i laici non sono semplici collaboratori ma splendidi “corresponsabili”... e il pensiero qui corre al neo eletto Consiglio Pastorale, al Consiglio per gli Affari Economici, all’equipe dei corsi fidanzati, della Caritas e Battesimo, ai gruppi della Condivisione della Parola e ai gruppi di Ascolto, ai gruppi familiari...

Ho cercato si seminare “speranza” perché sono straconvinto che tutto ciò che viene fatto nel mondo, viene fatto dalla speranza. È la speranza che cambia il volto del mondo, il volto e il cuore degli uomini. Ed è stato magnifico vedere tanti occhi di nuovo vivi per aver di nuovo ripreso e saputo gustare la speranza.

Ho cercato di far scoprire la bellezza che ognuno è e che ognuno porta dentro, sia pur mischiata alla sofferenza e al peccato. Ho voluto sempre innalzare un “inno allo spreco” perché l’amore non si spreca mai. Di più, l’amore che non ha il coraggio di sprecare, di consumarsi, di perdere, non è amore.

Mi sono sentito, mi avete fatto sentire fratello, figlio, padre, dentro una grande fedeltà e una grande libertà. Ho imparato sempre più l’accoglienza, ho imparato ad aprire le porte del mio cuore e per questo sono diventato più “vulnerabile”.

Ho condiviso tante gioie, tanti incredibili ritorni alla fede e alla Chiesa. Spesso con tanti di voi mi sono sentito talmente in unità e sintonia da vivere realmente quel detto che afferma: “Sì è così uniti che quando uno piange, l’altro sente il sapore del sale”.

Avvicinandomi a ogni persona incontrata, ho cercato di vivere l’esperienza del roveto ardente: ogni persona è “un roveto ardente” davanti al quale occorre togliersi i calzari perché ogni persona è un “luogo sacro”, perché dentro ogni persona abita Dio da sempre, molto prima del mio arrivo.

Vado a Somma Lombardo col cuore che ho coltivato e imparato a Cologno Monzese, a Limito, a Maria Regina di Pioltello e sempre più qui a Gallarate: un cuore così libero, profondo e ricco di misericordia, spoglio di giudizi e pregiudizi che permette a chiunque di entrarvi dentro a piedi nudi, senza nessuna paura di ferirsi.

Vado a Somma Lombardo , ringraziando tutti, con un invito che regalo a ciascuno di voi: “Tutti noi che inciampiamo ma continuiamo a credere nell’Amore, alziamoci e facciamolo splendere!” (Bruce Cockburn)

Vado a Somma Lombardo ma vi lascio a malincuore ... E se qualcuno mi chiederà: hai vissuto? Hai amato?  Io, senza dir nulla, aprirò il cuore pieno di nomi. I vostri nomi.

don Mauro

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AVVISI - 23 GIUGNO 2023

L’ARTE SUPREMA

Un prete felice, ecco quello che sono. Credo che la gioia sia sempre segno di una “presenza”: quella del Signore Crocifisso e Risorto che di “insinua” nelle pieghe di ogni giornata. Di ogni scelta, di ogni gioia, di ogni sofferenza. Una presenza che non ti abbandona, che si fa sentire con tutto il suo fascino e la sua forza, le sue esigenze. E la presenza di chi mi vuole bene, la presenza di tante meravigliose persone che ho incontrato sulla mia strada.

Grato dal profondo al Signore, devo confessare che vivere alla sequela di Gesù, cercare di mettere i miei passi sui Suoi passi è stato ed è per me davvero trovare il “centuplo quaggiù”. Il centuplo in libertà, in gioia, in fraternità, in speranza, in umanità, in profondità.

Più passano gli anni sempre più mi sento dolcemente costretto dallo Spirito a essere, a diventare padre, a convertirmi alla misericordia e alla magnanimità di Dio. Diventare il padre misericordioso è l’esperienza spirituale più profonda che mi sta accompagnando in questi ultimi anni, sta diventando lo scopo ultimo della mia vita spirituale.

“Un figlio non rimane un bambino. Un figlio diventa un adulto. Un adulto diventa padre e madre. La sfida, o meglio la chiamata, è diventare io stesso il Padre. Sono intimorito da questa chiamata. Sebbene io sia entrambi, tanto il figlio minore che quello maggiore, non devo rimanere come loro, ma diventare il Padre. Voglio essere non solo colui che è perdonato, ma anche colui che perdona; non solo colui che è accolto festosamente a casa, ma anche colui che accoglie; non solo colui che ottiene compassione, ma anche colui che la offre. Il ritorno al Padre è in definitiva la sfida a diventare il Padre. Diventare il Padre misericordioso è lo scopo ultimo della vita spirituale. (H. Nouwen, L’abbraccio benedicente).

Forse lo dobbiamo diventare tutti. Certamente lo devo diventare ed essere io, prete da quarantacinque anni. Per questo cerco di vivere ogni giorno il rapporto con l’altro come lo descrive quel grande parroco che è stato don Primo Mazzolari.

“Nell’altro non si entra come in una fortezza, ma come si entra in un bosco in una bella giornata di sole. Bisogna che sia un’entrata affettuosa, non un’usurpazione. Nell’altro si entra da pari a pari, rispettosamente, affettuosamente, per tenergli compagnia, per dargli consapevolezza di forze ancora inesplorate, per dargli una mano a compiersi, ad essere se stesso, secondo la sua inclinazione, la sua regola, il suo gioco interiore”.

Come prete è quarantacinque anni che sogno: un prete non può smettere di “sognare”, di scommettere sul Vangelo, di inventare, di rischiare nuove strade, di vivere e comunicare l’incanto della fede. Con passione e un pizzico di follia.

Mi spinge potentemente a continuare a sognare un Vescovo a me molto caro, mons. Oscar Romero, ucciso mentre celebrava Messa. Così racconta di lui il giornalista Maurizio Chierici: “ Lo trovavo sempre più triste, eppure continuava a lottare. Ed era solo. Gran parte dei Vescovi lo aveva abbandonato ... Eppure tre mesi prima di morire manteneva la speranza, duro come un ragazzo. Non è un’utopia? Provavo a dirgli. ‘Mi guardi. Se non credessi all’utopia porterei questo vestito?’”.

Ho ancora negli occhi una meravigliosa sequenza del film “La vita è bella” di Roberto Benigni in cui il protagonista, cercando di imparare l’inchino da cameriere, a poco a poco si inchina letteralmente in due. Lo zio lo “rimprovera” con queste parole:
“Guarda i girasoli, s’inchinano al sole. Ma se vedi qualcuno che è inchinato un po’ troppo significa che è morto! Tu stai servendo, però non sei un servo! ... Servire è l’arte suprema. Dio è il primo servitore...”.

È questa “arte suprema” che auguro a me e a ogni sacerdote che ho incontrato sul mio cammino.

don Mauro

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AVVISI - 16 GIUGNO 2024

PRETE FELICE DA 45 ANNI

16 Giugno 1979 – 16 Giugno 2024: sono prete, prete felice da quarantacinque anni! Sono stati “quarantacinque anni arcobaleno”.  Come l’arcobaleno narrato dalla Genesi, segno posto da Dio nel cielo a memoria della sua alleanza con ogni uomo. È un’alleanza, un rapporto, un amore che sento molto forte, che sento ancora freschissimo e tenerissimo come nei miei primi passi da prete e ancor prima da giovane seminarista. Sentirmi amato, straamato da Dio, plasmato dalla sua tenerezza, è l’esperienza che mi accompagna straordinariamente e potentemente ogni giorno della mia vita. Lui ama me ... io cerco di amare Lui ... mi lascio amare da Lui e il mio cuore è “occupato” da questa dolcissima appartenenza, È l’esperienza che mi strappa ogni velo di malinconia, che mi dà una carica speciale ogni giorno, anche in quelli raggiunti dall’onda della tristezza e del dolore. Sento per questo di poter dire: “Mia forza e mio canto è il Signore”, il mio Signore, il Signore della danza, il Signore della croce e del mattino di Pasqua, il Signore della gioia, della speranza, della misericordia, del perdono, della fraternità, del centuplo quaggiù ...

“Quarantacinque anni arcobaleno” proprio come un insieme di splendidi colori che hanno segnato, attraversato, fatto fiorire e rifiorire molteplici esperienze, così diverse tra loro, vissute nelle varie parrocchie dove sono stato, nelle scuole dove ho insegnato, ma soprattutto nei volti che ho incontrato, nei momenti della gioia, del dolore, della scelta, della fede, del dubbio, dell’incredulità ... volti e cuori a cui mi sono fatto vicino perché un sorriso lo puoi vedere da lontano ma le lacrime sono trasparenti e le puoi vedere solo in un’intima vicinanza ... È un arcobaleno di volti che riempie la mia vita di prete a cui sono smisuratamente debitore, perché smisuratamente amato. È proprio vero se dici di sì a Dio, sei sempre tu ma non sei più tu, perché Dio, Ospite dolce, non ti dà più riposo ...

”Padre”, chiesi all’anziano monaco ‘parlaci un poco di te stesso’ “Di me stesso?”, chiese. L’anziano monaco ebbe una lunga pausa di riflessione. “Il mio ...nome”, disse quasi sillabando, “era ... io! Ma ora è divenuto ...TU!” (Teofane il Monaco)

... il “tu” di Dio, il tu” del prossimo! Ma credo non ci sia esperienza più bella e grande dell’amore, quando scopri che il tuo baricentro è fuori di te. È quello che mi insegna, che ci insegna la Pasqua, l’Eucaristia. È con l’Eucaristia nelle mani, all’altare, sono chiamato a guardare il mondo e le persone con occhi diversi, con cuore diverso, con occhi e cuore da amante. Per ogni persona che ho incontrato ho cercato d’essere il “presbitero della speranza”. A ognuno ho cercato di comunicare che:

“Il rapporto tra Dio e l’uomo si colloca sul livello dell’eccedenza e della sovrabbondanza. La logica non è quella del minimo indispensabile ma del massimo possibile. Dio dialoga con l’uomo nei larghi spazi della bellezza e dell’amore non nell’angustia dei diritti e dei doveri”. (Maria Ko Ha Fong)

A ognuno ho cercato di far intravedere il volto misericordioso di Dio e di mostrare che ogni pagina evangelica, soprattutto quella delle Beatitudini, ci descrive ciò che diventa possibile a chi si “abbandona” a Dio. Ho cercato e cerco di essere un prete che vive non come in un matrimonio invecchiato, lasciando che l’abbandonarsi l’uno all’altro diventi abitudine, ma come un innamorato ... E come un innamorato di Dio, con un grande amore alla Chiesa e alla gente, ho sempre detto sì a ogni cambiamento, in obbedienza. E ogni volta ho ricevuto tanto di più. Anche in questo nuovo cammino, in questa nuova sfida.

Ringrazio e prego per questi quarantacinque anni e per il tempio che mi è dato a venire. Prego di essere sempre l’uomo delle relazioni profonde, che sa far scaturire il bene:

“Un’icona ci richiama al mistero della Visitazione, a una parola di Elisabetta: ‘Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo’ (Lc1,43). L’effetto positivo della relazione pastorale autentica è simile all’effetto della voce di Maria: si risveglia quanto di più vivo c’è in ogni persona. È una relazione, perciò, che vuole con tutte le forze e ottiene il bene dell’altro e poi riverbera in un Magnificat per colui che l’ha offerto”. (C. M. Martini, Prove e consolazioni del Prete).

Prego di saper essere sempre all’altezza dell’amore di Dio, all’altezza del Vangelo, del fuoco dello Spirito Santo, Prego di avere sempre il calore della passione che sa essere all’altezza dei cambiamenti dentro e fuori la Chiesa, e all’altezza dei sogni di chi incontri.

“Un cuore freddo non può assolutamente percepire un linguaggio di fuoco” (S: Bernardo).

don Mauro

AVVISI - 9 GIUGNO 2024

IL GIOCO DELL’AMORE

“Un monaco mendicante trovò, in uno dei suoi viaggi, una pietra assai preziosa e la ripose nella sua sacca. Un giorno incontrò un viandante, e mentre apriva la sacca per trarne cibo da spartire con lui, il viandante vide la pietra preziosa e gliela chiese. Il monaco gliela donò immediatamente. Allora il viandante lo ringraziò e se ne andò pieno di gioia con quel regalo insperato: un gioiello che sarebbe bastato a dargli ricchezza e sicurezza per tutto il resto dei suoi giorni. Tuttavia dopo poco tempo, quel viandante tornò indietro, in cerca de monaco e, trovatolo, gli restituì il regalo e lo supplicò: ‘Ti prego, ora dammi qualcosa di maggior valore di questa pietra, pur tanto preziosa. Dammi, per favore, ciò che ti ha permesso di regalarmela!”.

Credo che ogni felicità, ogni capacità di fare della propria vita un “regalo” e una “passione” abbia il suo segreto, la sua sorgente inesauribile e sempre nuova in un incontro, in una relazione, in un amore. Così è stato e continua ad essere per me prete da quarantacinque anni: la scelta di Gesù Cristo come primo amore. Non si può resistere al Suo amore implacabile, dolcemente “violento”. Per questo l’unica parola, l’unica risposta possibile è stata ed è per me “Eccomi!”

Da sempre mi sono sentito amato dal “mio” Dio, custodito “come pupilla degli occhi” dal mio Signore e la coscienza di appartenere a Qualcuno, la coscienza di essere amato, di essere sempre preceduto, immerso, avvolto nell’amore è la fonte della mia gioia nella mia avventura di essere cristiano e prete, del mio mettermi a servizio di chi incontro, ascolto.  “Quando l’amato accetta di stare al gioco dell’Amore, ecco l’invasione di Colui che strappa, libera e imprigiona allo stesso tempo, che fa entrare nella sua gioia”. (Louis-Albert Lassus).

Dentro questo “gioco dell’Amore” gli anni sono passati, veloci e intensi, ma la gratitudine, la passione, lo stupore sono restati intatti. Sono grato di aver attraversato e vissuto le diverse stagioni della vita, della società, della Chiesa nelle diverse comunità in cui mi sono trovato. E sono entusiasta di poter vivere quella splendida e straordinaria stagione che ci regala papa Francesco!  Nella stagione che più vuole comunicare la gioia del Vangelo, dell’essere cristiani, dell’essere cittadini del mondo portatori di giustizia e di libertà, in cammino e in dialogo con tutti, perché tutti possano “rialzare la testa” e rimettersi in piedi. Nella stagione in cui vivere la potenza della tenerezza e della misericordia. Il Papa in particolare chiama ogni prete a essere missionario della tenerezza di Dio.

“Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia di averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire...”. (Misericordiae Vultus, n.17, aprile 2015, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia).

La gratitudine, la passione, lo stupore sono restai intatti anche nell’attuale esperienza di responsabile della Comunità pastorale “ Maria Regina della Famiglia” in Gallarate che amo descrivere così: un’esperienza di “fallimento con tanto successo” perché ha aperto possibilità di esperienze di comunione e di missione per i sacerdoti e per i laici, perché è splendida occasione per lavorate in rete, per superare barriere, perché i laici siano sempre più protagonisti appassionati, competenti, comunicatori gioiosi, amanti della pienezza della vita e della gioia di tutti e per tutti a cui ci chiama il Vangelo. Splendida occasione di scelte comuni. Coraggiose, audaci, creative come ci insegnano tante scelte “scandalose” fatte da Gesù.

”Il Vangelo è uno scroscio d’acqua impetuoso, ma spesso lo si rende un flebile rigagnolo; perché? Perché si ha in mente un Dio che deve essere razionale, uguale al buon senso dell’uomo normale”. (don Bruno Maggioni).

Sono sempre più convinto che la speranza ci fa muovere un piede, la fede ci fa muovere l’altro e così si cammina sempre avanti. Se poi ci sono le ali della carità e della misericordia, non solo si cammina, ma si corre, si vola!

Pregate perché diventi vero per me, nell’occasione del 45° della mia Ordinazione sacerdotale, un verso del poeta Vladimir Majakovkij : “Sul cuore nemmeno un capello bianco”.

don Mauro

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AVVISI - 2 GIUGNO 2024

STUPORI, CAMMINI, RITORNI

Il Mese di Maggio è stato per me una straordinaria occasione di incontri, grazie alla celebrazione delle Messe di Prima Comunione. Occasioni in cui la fede si intreccia con la gioia, lo stupore, la libertà, la rinascita. Occasioni in cui sento ancora più vere queste parole: “Quante vie conducono a Dio? Tante. Quante sono gli uomini” (Card.Ratzinger). “La Chiesa è una casa dai cento portoni e non ci sono due persone che entrano esattamente dallo stesso angolo”. (Chesterton).

Sono occasioni in cui ritrovo e spero di far cogliere tutta la bellezza e la “potenza” di un rito, di gesti che si ripetono ma che non sono mai uguali. Come sanno intuire splendidamente i bambini e gli innamorati che non temono la ripetizione, anzi la cercano, la esigono, la desiderano, la sentono come esperienza essenziale.

Sono occasioni in cui ritrovo e spero di far cogliere tutta la bellezza e la carica di significato dei simboli. Il simbolo indica la parte visibile di una realtà più complessa e, in qualche modo, inafferrabile, invisibile: rimanda, velando e svelando al tempo stesso, a una realtà nascosta. Il simbolo nasconde un oltre, rimanda ad altro.

Sono occasioni in cui ritrovo e spero di far cogliere tutta la bellezza e la capacità trasformante di un Sacramento. I Sacramenti sono i miracoli di Gesù oggi, sono segni che rimandano ma che insieme comunicano, contengono e donano la vita di Dio, la forza di Dio, il perdono di Dio, la tenerezza di Dio, la fedeltà di Dio, la capacità di amare da Dio.

Sono Occasioni in cui ritrovo e spero di far cogliere tutta la bellezza della Chiesa come una comunità che innanzitutto riceve, alunna del Vangelo, e che è sempre in cammino – pur tra pesanti cadute – con gli uomini del suo tempo.

Sono occasioni straordinarie di incontri, di relazioni, di sguardi, di sorrisi, di lacrime, di stupore, di gioia, di ritorni, di desideri, di promesse. Per me e per tutti. Incontrando i bambini per la Messa di prima Comunione cerco di comunicare loro tutto questo. E insieme, ascoltandoli, ricevo tantissimo da loro. E li ringrazio. Sono incontri che diventano cibo” per il cuore e per la fede. Mia e di tutti.

Ai bambini della messa di prima Comunione e ai loro genitori vorrei raccontare di uno stupendo commento di don Tonino Bello a un fatto di cui fu protagonista e che a volte si ripete anche ai giorni d’oggi: “Ieri sera stavo amministrando l’Eucaristia, durante la messa solenne, quando si è presentato un papà con la figlioletta in braccio.

Il Corpo di Cristo. Amen. E gli ho fatto la comunione. La bambina allora, che osservava con occhi colmi di stupore, si è rivolta a sua padre e gli ha chiesto: ‘E buona?’. Sono rimasto letteralmente bruciato da quell’interrogativo. Io avrei risposto per conto del suo papà, rimasto muto, e avrei voluto dirle: ‘Sì che è buona l’Eucaristia. Così come è buona la sua Parola. Così come è buona la sua amicizia. Così come è buona la sua croce. Te lo dico io che non posso più resistere senza quest’ostia”.

Ai Cresimandi 2024 e ai loro genitori raccontare queste parole del Card. Dionigi Tettamanzi: “Per usare un paragone, è come quando gli ingegneri del Ferrari hanno progettato il bolide capace di vincere le gare di Formula 1: nei loro computer c’era già tutto, ma nulla ancora si muoveva. Poi, gli operai, i meccanici e i piloti hanno fatto vivere la ‘rossa’ di Maranello’, che ha cominciato a correre. Ecco, così è la tua Cresima: lo Spirito Santo ‘fa correre il Battesimo che hai già ricevuto e ti invita a ‘pilotarlo’ seguendo la strada vincente di Gesù”.

E dico loro che parlare dello Spirito Santo, la Bibbia usa il simbolo del fuoco e il simbolo del vento.  Il fuoco è un simbolo molto intenso: ci parla di qualcosa di intoccabile, di trascendente, ma insieme di vicino; il fuoco ci riscalda e ci dà luce. Il fuoco ci parla di un amore forte, vibrante, generoso che arde nel cuore di chi ama, di chi incontra Dio. Il vento ha a che fare con la libertà , coi sogni, con la speranza: niente è più libero del vento e ha più fantasia del vento. Il vento annulla i confini, elimina le distanze: in un giorno di vento sembra di abitare ai piedi del Resegone. Celebrare la Cresima è lasciare che lo Spirito, questo fuoco, questo vento entrino dentro di noi e ci diano la ‘forma’ di Gesù, lo stile di Gesù. Senza dimenticare queste splendide parole del card. Carlo Maria Martini: Lo spirito Santo non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato”.

Maggio, mese indimenticabile! Grazie! I Sacramenti che riceviamo possano essere una meravigliosa finestra aperta per fare entrare in ciascuno di noi Gesù con la sua musica, la sua gioia, la sua speranza, i suoi sogni, la sua tenerezza, il suo perdono, la sua audacia.

don Mauro

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AVVISI - 26 MAGGIO 2024

I DUE ABBRACCI

Penso che ciò che stia caratterizzando il tempo che viviamo sia una certa apprensione e preoccupazione per gli avvenimenti internazionali che ci mostrano una durezza di cuore dell’uomo che sembra crescere con il tempo. Tanta violenza che non può che generare altro odio e risentimento, premesse di ulteriori tempi difficili e non di pace. Tutto questo potrebbe farci perdere la speranza nel futuro e nell’uomo, incapace di trovare vie di mediazione e di dialogo per un futuro più giusto per tutti. Ma noi che cosa possiamo fare? San Benedetto, uno dei tanti Santi, ha iniziato il suo cammino di ricerca di Dio proprio in un periodo storico molto critico, segnato dalle invasioni barbariche, dal crollo delle strutture dell’impero, da un senso di precarietà aggravato dall’instabilità politica. Tutti fattori che potevano portare allo scoraggiamento.  In questo clima di sfiducia nell’uomo ha istituito una scuola del servizio divino con la speranza che Dio possa plasmare e rinnovare il cuore per generare un’umanità nuova. E noi anche oggi possiamo collaborare per questo rinnovamento interiore che può portare a relazioni e stili di vita diversi.
Il Vangelo è quel lievito che può curare e risanare questa umanità malata operando dal di dentro e nel nascondimento, con pazienza e senza rumore. L’invito di Benedetto è quello di darci una regola, di non lasciarci cioè portare dagli avvenimenti, ma di scegliere noi i valori e i criteri con cui costruire la nostra vita.
Il nostro cammino di rinnovamento, iniziato con la Pentecoste, contribuisce misteriosamente alla nascita di un mondo nuovo. Possiamo porre le premesse di cammini di riconciliazione e perdono che sono l’unica strada per la pace e la giustizia. A noi oggi è chiesto di perseverare, non solo con la preghiera, ma anche con i nostri cammini di santificazione, di assunzione della vita evangelica. Senza voler capire e vedere come questo porterà frutto, ma fidandoci della bontà di quanto Dio ci propone e della sua grazia trasformante.
Non è solo una questione di tipo organizzativo, ma piuttosto il cuore di una esperienza di fede e di comunione che si fa testimonianza nella vita, una vita che fiorisce e fa fiorire, che attrae per la gioia e la bellezza che fa trapelare. Mi sono tornati alla mente due racconti che narrano di due abbracci, ve li propongo.
Allora di ogni persona ce n’è solo una al mondo? Domandò Ben. ‘Sì, ce n’è solo una’, disse la mamma. ‘E perciò sono tutti soli?’. ‘Sono un po’ soli ma sono anche un po’ insieme’. Sono sia l’uno sia l’altro’. ‘Ma come è possibile?’. ‘Ecco, prendi te per esempio. Tu sei unico’, spiegò la mamma, ‘e anch’io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola’. ‘Allora abbracciami’, disse Ben stringendosi alla mamma. Lei lo tenne stretto a sé. Sentiva il cuore di Ben che batteva. Anche Ben sentiva il cuore della mamma e l’abbracciò forte forte. ‘Adesso non sono solo’ pensò mentre l’abbracciava, ‘ adesso non sono solo. ‘Vedi’, gli sussurrò la mamma, ‘proprio per questo hanno inventato l’abbraccio’”  (David Grossman)
Rabbì Aronne arrivò un giorno nella città in cui cresceva il piccolo Mardocheo, che sarebbe diventato il famoso Rabbì di Lechowitz. Il padre di Mardocheo non era però contento del ragazzo e glielo condusse, lamentandosi che non aveva costanza nello studio.
‘Lasciatemelo qui un poco’ disse Rabbì Aronne. Quando fu solo col piccolo Mardocheo, strinse il bambino al suo cuore. In silenzio se lo tenne affettuosamente vicino fino a che il padre tornò. Quando, fatto adulto e famoso, il Rabbì di Lechowitz raccontava questo incontro della sua infanzia, diceva: ‘Ho imparato allora come si convertono gli uomini’”.
È questo il calore che deve sprigionarsi all’interno di una Comunità e che deve saper emanare la nostra Comunità. Ripensando alle due Celebrazioni della seconda Comunione dei nostri fanciulli, domenica scorsa, mi sono detto che se riuscissimo a vivere con questa intensità e con questo calore ogni domenica, il giorno del Signore, ogni nostro incontro, ogni nostro legame, se non lasciassimo non dette tante parole di gratitudine, se non lasciassimo chiuso e freddo il cuore, se la creatività, l’energia, la tenerezza che si sono viste e vissute alle celebrazioni di Domenica fossero vissute sempre ... tutto riprenderebbe colore. E tutto profumerebbe di festa, anche il quotidiano.
È per questo profumo di festa, di festa di comunità che vi suggerisco questa immagine che ci aiuti a vivere la nostra Sagra della Comunità:  “Una comunità è come un’orchestra che suona una sinfonia, ogni strumento preso da solo è bello. Ma quando suonano tutti insieme, ognuno lasciando che l’altro passi avanti, nel momento in cui occorre, è ancora più bello. Una Comunità è bella quando ognuno esercita il suo dono”.
Così mi piacerebbe cantare oggi nella Santa Messa con le parole della canzone “Mani”: “Sapessi quante volte, guardando questo mondo, vorrei che Tu tornassi a ritoccarne il cuore”... È una preghiera che faccio mia perché il cuore di ognuno e della nostra Comunità sia “toccato” dal nostro Dio così da trasformarlo in un cuore di carne e sia continuamente “ri-toccato”, certo che la mani di Dio sono come quelle di uno splendido pittore che sta dando vita a un capolavoro.

don Mauro

Da venerdì 24 maggio a domenica 26 maggio a Madonna in Campagna Amici in Festa  presso il Centro Parrocchiale Paolo VI via Bachelet. (vedi volantino o social)

Domenica 26 maggio saremo chiamati a rinnovare i membri del Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale.

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AVVISI - 19 MAGGIO 2024

VIENI, SPIRITO CREATORE

Negli Atti degli Apostoli c’è una pagina che suscita sempre in me un forte interrogativo. Penso, anzi sono certo, che la stessa osservazione vale per molte altre persone. Eccola: “Mentre Apollo era a Corinto Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Efeso. Qui trovò alcuni discepoli e chiese loro: ‘Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?’ Gli risposero: ‘Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uni Spirito Santo”. (Atti 19,1-2).
Mi chiedo: noi oggi, dopo più di duemila anni di storia della Chiesa, a che punto siamo nella conoscenza dello Spirito Santo? Nello stesso tempo sorge in me il dubbio che in riferimento allo Spirito Santo la conoscenza e l’esperienza di molti cristiani – e non solo tra i fedeli laici – sia terribilmente deficitaria. È proprio vero, dunque, che lo Spirito Santo è il grande Sconosciuto nella storia della Chiesa e nella vita del popolo cristiano? Tale interrogativo è il motivo che mi ha portato ad offrire, soprattutto ai catechisti/e, uno riflessione. Non è certamente tra i più facili il ministero che i catechisti sono chiamati a svolgere a beneficio dei piccoli e degli adolescenti. A loro vorrei ricordare che essere catechisti/e in una Comunità pastorale non è un onore, ma un onere che richiede continua preparazione e serio aggiornamento. Essi non potranno trasmettere se non ciò che hanno assimilato nello studio, nella preghiera e nella esperienza personale di Dio.
Vieni, Spirito creatore! Corrisponde a una invocazione e sta a indicare l’atteggiamento orante di chi si appresta a leggere e a meditare queste indicazioni. È il modo con il quale possiamo metterci in sintonia con l’intera comunità ecclesiale che sa di non poter procedere nel suo cammino verso il Regno senza l’aiuto dello Spirito Santo. Mi auguro che questi spunti possano contribuire a dissipare le molte ombre che ancora avvolgono la persona dello Spirito Santo. L’ultima novità consiste nel fatto che le riflessioni qui proposte sono come “incompiute” e attendono di essere completate dai singoli lettori e lettrici.
Lo Spirito Santo è l’Amore di Dio, la carità, e allora la frase degli Atti degli Apostoli, “Furono tutti pieni di Spirito Santo” (At 2,4), non può significare che questo: “Tutti furono pieni dell’Amore di Dio!”.  In questa luce, lo Spirito Santo ci appare davvero come il “sigillo” posto su tutta l’opera creatrice e redentrice, “In Cristo ... avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo”, e così la Pentecoste è come il coronamento di tutte le opere di Dio.
Perché Dio ha creato il mondo? Perché ha mandato il suo Figlio a redimerlo dal peccato? Per null’altro, come celebra la Preghiera Eucaristica IV, se non “effondere, o Dio, il tuo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce”. Perché Dio ci ha dato la Scrittura, se non per prepararci a ricevere il suo Amore?
La Pentecoste non fu un evento solo oggettivo, un cambiamento profondo, ma inavvertito e inconscio; fu un evento anche soggettivo, una esperienza. Il passaggio dal cuore pieno di timore dello schiavo al cuore pieno di amore del figlio, non avvenne senza sentire nulla, in regime di “anestesia” totale!
Gli apostoli fecero, al contrario, l’esperienza travolgente dell’amore di Dio: essere amati da Dio e amare Dio! Furono letteralmente “battezzati” nell’Amore. Fu questo che li portò fuori di sé, al punto da far apparire, all’esterno, ubriachi di vino nuovo (At 2,13).        Il cambiamento repentino degli apostoli non si spiega se non per un improvviso divampare in essi del fuoco del divino Amore. Cose come quelle che essi fecero in quella circostanza, le fa fare solo l’amore. È il momento più bello nella vita di una creatura: sentirsi amata personalmente da Dio, sentirsi come trasportata in seno alla Trinità e trovarsi in mezzo al vortice d’amore che scorre tra il Padre e il Figlio, convolta in esso, partecipe della loro “passione d’amore” per il mondo; e tutto questo in un istante, senza bisogno di parole o di riflessione alcuna. Perché questa insistenza sul sentire? È proprio necessario fare l’esperienza dell’amore di Dio? Non basta e non è persino più meritorio tenerlo per fede?
“Noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). Non solo abbiamo creduto, ma anche conosciuto, e sappiamo che per la Scrittura “conoscere” significa anche sperimentare.
Questo Amore di Dio, effuso dallo Spirito nei nostri cuori, ha due versanti: è, nello stesso tempo, l’amore con cui Dio ci ama e l’amore con cui egli fa si che noi possiamo amare lui e il prossimo. L’Amore di Dio viene in noi, ma non termina in noi: “Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4,11).
Sarebbe bello come Comunità rileggere alla luce della dottrina dello Spirito santo il nostro operato, nell’atteggiamento di conversione propiziato dalla preparazione al grande Giubileo.

don Mauro

Da venerdì 24 maggio a domenica 26 maggio a Madonna in Campagna Amici in Festa  presso il Centro Parrocchiale Paolo VI via Bachelet. (vedi volantino o social)

Domenica 26 maggio saremo chiamati a rinnovare i membri del Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale. Il Consiglio Pastorale “ha un duplice fondamentale significato: da una parte rappresenta l’immagine della fraternità e della comunione dell’intera comunità di cui è espressione in tutte le sue componenti, dall’altra costituisce lo strumento della decisione comune pastorale”. Ogni cristiano adulto deve sentirsi chiamato a costruire con gli altri fratelli nella fede la comunità dei discepoli del Signore.
Credo sia importante passare dal “perché proprio io?” che dice la paura a mettersi in gioco, il sotterrare i propri talenti, al “perché io no?” che dice invece il coraggio di provare e mettersi in prima fila per servire la comunità. Proviamo a pensare se non ci possiamo mettere la faccia e rischiare in prima persona.

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AVVISI - 12 MAGGIO 2024

TUTTO DIPENDE DALLA LUCE

Il cuore di un innamorato è sempre attratto, affascinato, illuminato, reso vivo, pulsante dalla persona amata ... tutto viene trasfigurato, si riesce a vedere tutto con occhi diversi, con occhi di stupore. Chi si innamora è come se nascesse un’altra volta. Chi scopre che cosa significa amare, un giorno di stupisce di non aver amato prima. È una primavere del cuore.

Anche la fede, accolta e vissuta, può regalarci tutto questo. È per questo che, come un innamorato, torno alla Pasqua e alla fede pasquale, centro e cuore della vita dei cristiani. Perché è luce che illumina, perché è fuoco che tutto trasforma. È dalla luce del mattino di Pasqua che tutto dipende.

La luce rende splendenti anche le cose più semplici, addirittura le trasforma, e anche un frammento di vetro diventa un brillante. Se tutto dipende dalla luce, quale potenza ha dentro allora l’affermazione di Gesù: “Io sono la luce del mondo” ( Giovanni 9,5) ! Accogliere, fare spazio in noi alla luce di Gesù, il Signore crocefisso e risorto, è la realissima possibilità di risorgere ogni giorno, di rifiorire ogni giorno, di acquistare una nuova mentalità, una logica nuova, un cuore nuovo, è la splendida possibilità di diventare una creatura nuova (2 Corinti 5,17).

Perché credere è riconoscere innanzitutto di essere amati.  E chi ha piantato nel proprio cuore l’albero della fede pasquale sa ritrovare speranza, vigore, slancio, entusiasmo, audacia, capacità di amare, di ricominciare, di perdonare, capacità di gesti e di sogni nuovi. Chi crede nel Signore crocefisso e risorto fa l’esperienza di una autentica primavera, di una primavera che non finisce con l’inverno... Le piante sono tutte spoglie d’inverno, ma un bel giorno una luce nuova, un’aria tiepida comincia ad abbracciarle e ad accarezzarle. Così le piante si commuovono e cominciano a rifiorire e tutto ridiventa un giardino! La fede di Pasqua ci fa sempre questo regalo, ci fa rifiorire.

Così scriveva il Cardinal Dionigi Tettamanzi in “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini” (n.40) commentando l’avventura spirituale dell’uomo cieco dalla nascita: Proprio qui ritroviamo il nucleo essenziale, il segreto affascinante dell’esperienza di fede. Essa è un incontro personale, personalissimo con il Signore Gesù, che ci cambia la vita, la illumina con lo splendore della sua grazia e ci dona un modo nuovo di pensare, di vedere, di valutare, di giudicare l’intera realtà”.

Chi va da Gesù, chi sta con Gesù cuore a cuore, nel silenzio e nella preghiera, chi guarda spesso alla croce di Gesù, chi ascolta il Vangelo acquista a poco a poco una luce che tutto illumina e trasfigura. Anche la notte della sofferenza, del dolore, della morte, perché il mattino di Pasqua ci dona una straordinaria speranza e una vita non meno che eterna. Ed è proprio la luce della speranza ciò di cui tutti abbiamo bisogno.

Ho letto che quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Oro al posto della colla: Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva e trasparente. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi” . Sembrano volerci dire che il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no. E’ che il dolore fa due cose: ti insegna e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, più forte a volte. Ma ci insegnano che la cosa più importante è rendere belle e preziose le persone che hanno sofferto ... questa tecnica si chiama “amore”, ben più di una semplice tecnica, una squisita e speciale qualità del cuore. Un’arte che i cristiani possono imparare da Gesù di Nazareth, il Crocefisso vivente. Il cristiano riceve in dono la luce, l’oro dell’inaudita speranza del Risorto e insieme è chiamato  a essere luce, a fare dono dell’oro ricevuto, della speranza ricevuta...

“ Quando ti imbatti in una cosa bella, la racconti. E quando ti imbatti in una cosa vera, la dici. E se hai capito che la storia di Gesù è come un lampo che ha illuminato per sempre il cammino del mondo e dell’uomo dandogli un senso, allora lo racconti a tutti. Non puoi farne a meno. E se l’incontro con Gesù Cristo ha cambiato la tua esistenza dandole forza, direzione, gioia di vivere, allora inviti gli amici a condividerla” ( Bruno Maggioni)

Ci perseguiti allora una frase di Paul Claudel: “Voi che credete, che ne avete fatto della luce?”

don Mauro

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AVVISI - 5 MAGGIO 2024

GUARDARE A MARIA

Lasciatemi raccontare questa storiella. Un giorno un papà diede al figlio un compito che era davvero difficile. Gli disse: “Mi raccomando figlio mio. Metticela tutta. Devi utilizzare tutte le tue capacità, tutta la tua intelligenza. Mi raccomando, datti da fare”. Il ragazzo si mise d’impegno ma quel compito era veramente difficile. Arrivò la sera e il papà gli chiese: “Figlio mio, hai fatto il compito?”. “No, papà, non sono riuscito a farlo”. Fu la risposta un po’ imbarazzata del figlio. “Ma ce l’hai messa tutta?” “Certo, ho messo tutto l’impegno, tutta la mia intelligenza, ma non ci sono riuscito”. “Figlio mio – riprese bonariamente il padre – perché non hai chiesto il mio aiuto? Sai bene che potevi contare su di me e, invece hai preferito fare da solo”. Con l’illusione del “fai da te”, con l’individualismo e l’autosufficienza non si va da nessuna parte. Oltre al “papà”, quel ragazzo avrebbe potuto avere accanto a sé un’altra persona: la “mamma”. Ella certamente lo avrebbe potuto aiutare dicendogli: “Senti, non ti disperare, ti do un suggerimento: chiedi aiuto al papà, digli di mettersi al tuo fianco, così potrai riuscire a fare quel compito difficile. Vai a chiamarlo, scomodalo e non ti preoccupare”. Mi piace pensare alla Chiesa come a una “mamma”. Non raggiungeremo mai la santità da soli, con il nostro individualismo e la nostra autosufficienza. Con l’aiuto del papà, invece, questo obiettivo è raggiungibile. Se abbiamo il coraggio e l’umiltà di dire: “Papà aiutami perché da solo non ci riesco!”, se abbiamo l’intelligenza di accogliere con affetto la “mamma” che si mette accanto a noi, allora anche le difficoltà  e i problemi difficilissimi, che pure non mancheranno, potranno essere affrontati e risolti. Oggi c’è davvero tanta gente che ha bisogno di scoprire che c’è una “mamma” che le può stare accanto, tanta gente che è, come quel ragazzo, disperata perché non riesce a risolvere i suoi problemi, a dare un senso alla propria vita, a vivere l’esistenza non come una sconfitta ma come una festa.

“Vengo soltanto per poterti guardare. Guardare, imparare ... Imparare da Maria ad ascoltare, a lasciarci amare da Dio, a fidarci e affidarci a Dio, a essere audaci, a essere creatori di gioia e di relazioni”. Per questo sono davvero strafelice di celebrare in un Santuario dedicato a Maria tutti i giorni.

Ho imparato che Maria ci chiede di non fermare il nostro sguardo su di Lei ma di guardare oltre: Lei sogna di essere un segno che rimanda ad oltre, che rimanda a suo Figlio.

Non per nulla alla festa nuziale di Cana, Maria ha pronunciato parole da custodire come un testamento prezioso per ciascuno di noi: “Fate quello che Egli vi dirà”. È lo stesso invito che fa a noi: fidatevi di Lui, ascoltatelo, obbedite alle sue parole. Perché è per questa obbedienza che “l’acqua” si trasformerà in “vino”, che la vita  si farà speranza e gioia... e danza.

In questo Mese di Maggio io pregherò così per ciascuno di noi: “Fa’ o Maria, che il tuo ‘segreto’ sia il nostro segreto, fa’ che la tua meravigliosa esperienza di vita credente e amante sia la nostra esperienza. Prega per noi, adesso, qui, nell’incertezza del nostro vivere, nell’oscurità del nostro scegliere, nella debolezza del nostro lottare contro il male, nella paura del nostro amare, nell’ora del dolore... Maria, tu che ascolti i credenti ridire instancabilmente ‘Ave Maria’ perché l’amore non ha che una parola che si dice sempre ma non la si ripete mai; tu che sai che la parola impossibile non esiste nel vocabolario di Dio; tu ‘prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen”

Buon Mese di Maggio a Tutti e a Ciascuno!

don Mauro

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AVVISI - 28 APRILE 2024

COMUNITÀ PASTORALI E SOGNI

Vi sembrerà strano, ma scelgo di cominciare il mio intervento sulle elezioni del nuovo consiglio pastorale della Comunità con una citazione di papa Francesco sulla famiglia: “Non è possibile una famiglia senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non crescono e l’amore non cresce, la vita si affievolisce e si spegne. Per questo vi raccomando la sera, quando fate l’esame di coscienza, ci sia anche questa domanda: oggi ho sognato il futuro dei miei figli? Oggi ho sognato l’amore del mio sposo, della mia sposa? Oggi ho sognato i miei genitori, i miei nonni che hanno portato avanti la storia fino a me?”.

Sono convinto che valga la stessa cosa per la nostra Comunità pastorale: non bisogna mai perdere la capacità di sognare, di sognare alto, di sognare secondo il Vangelo, secondo il Concilio, secondo papa Francesco... perché è una meraviglia essere laici cristiani oggi, insieme e insieme ai propri preti. Per le prossime elezioni, cercasi laiche e laici cristiani appassionati, competenti in umanità, dal cuore aperto e misericordioso, capaci di fare squadra, di fare rete, ricchi di fantasia e di desiderio. Consapevoli di essere chiamati non solo ad essere collaboratori, ma piuttosto corresponsabili: un collaboratore si ferma al compito affidato senza sentirsi parte di un intero. Un collaboratore è chi si occupa di un singolo e piccolo pezzetto di un processo. Un corresponsabile è colui al quale sta a cuore il tutto, è chi ha una visuale a largo raggio, è chi si occupa non solo del qui e dell’ora, ma anche del domani. Un corresponsabile  non è solo chi fa le cose insieme agli altri ma prova a progettarle, a costruirle insieme... Non è possibile una Comunità pastorale senza il sogno. Allora sogniamo insieme.

“Ci sono alcuni che vedendo le cose come sono si domandano: perché? Io sogno cose che non ci sono mai state e mi domando: perché no?”. ( G.B. Shaw)

“Una ‘semplice pastorale di conservazione’, oltre a essere sterile, si dimostra irresponsabile e oggettivamente ‘peccaminosa’, perché sorda, se non addirittura ostile, alla voce di Dio w alla sua chiamata”. (Card D. Tettamanzi, Mi sarete testimoni)

Qualcuno ha scritto che “Nel giovane brucia un fuoco, nell’anziano brilla una luce” ... Nella nostra Comunità  ci sarà bisogno di questo fuoco e insieme di questa luce. Ci sarà bisogno dello stupore e del candore dei bambini, dello slancio creativo dei giovani, della solidità degli adulti, della saggezza degli anziani.

L’invito che faccio a ciascuno di voi è guardare avanti, guardare al futuro perché, grazie allo Spirito Santo e a ciascuno di noi, sta nascendo un mondo nuovo. Superba la scena del film “The passion” di Mel Gibson quando durante la salita al calvario un Gesù distrutto dalla violenza ma con una forte consapevolezza, dice a Maria: “Io faccio nuove tutte le cose”.

Se io sogno da solo, il mio è soltanto un sogno, ma, se sogniamo insieme, il sogno diventa realtà.

“Spirito di Dio, fa’ della tua chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi. Alimentane il fuoco con il tuo olio, perché l’olio brucia anche. Dà alla tua chiesa tenerezza e coraggio. Lacrime e sorrisi. Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero. Disperdi la cenere dei suoi peccati. Fa’ un rogo delle sue cupidigie. E quando, delusa dai suoi amanti, tornerà stanca e pentita a te, coperta di fango e di polvere dopo tanto camminare, credile se ti chiede perdono. Non la rimproverare. Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo con le fragranze del tuo profumo e con l’olio di letizia. E poi introducila, divenuta bellissima senza macchie senza rughe, all’incontro con Lui perché possa guardarlo negli occhi senza arrossire, e possa dirgli finalmente: Sposo mio”. (mons.Tonino Bello).

Sogno laiche e laici corresponsabili che sappiano farsi avanti e sappiano mettersi in rete e in missione... so che non è solo un sogno e neppure un sogno solo mio. Per questo, vinciamo le titubanze, chiediamo uno slancio di coraggio... e buon cammino! Certi che il Signore cammina con noi.

don Mauro

Domenica 26 maggio saremo chiamati a rinnovare i membri del Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale. Il Consiglio Pastorale “ha un duplice fondamentale significato: da una parte rappresenta l’immagine della fraternità e della comunione dell’intera comunità di cui è espressione in tutte le sue componenti, dall’altra costituisce lo strumento della decisione comune pastorale”. Ogni cristiano adulto deve sentirsi chiamato a costruire con gli altri fratelli nella fede la comunità dei discepoli del Signore.
Credo sia importante passare dal “perché proprio io?” che dice la paura a mettersi in gioco, il sotterrare i propri talenti, al “perché io no?” che dice invece il coraggio di provare e mettersi in prima fila per servire la comunità. Proviamo a pensare se non ci possiamo mettere la faccia e rischiare in prima persona.

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AVVISI - 21 APRILE 2024

UNA NUOVA SEDUCENTE AVVENTURA

Mi faccio avvolgere e sospingere da un augurio che mi è molto caro e che mi ha sempre accompagnato:  “Da prete-parroco sii sempre una favola per i bambini, un sogno per gli adolescenti, una inquietudine per i giovani, un fratello per gli adulti, una carezza per gli anziani, un elisir per gli ammalati”.

Voi proibitemi di essere un parroco clericale, un “funzionario”, aiutatemi ad essere un parroco-pastore, ministro della gioia e della eccedenza evangelica.

Sarà bello, sacerdoti e laici, pensare e progettare insieme, arrivare a scelte pastorali condivise e incisive, costruire luoghi di discernimento comunitario. Affermava l’Arcivescovo Paolo Rabitti, allora presidente della Commissione Episcopale per il laicato: “Cosa si chiede ai laici per la vita della Chiesa? Si chiede tutto! E che nessuno si senta più estraneo, ospite, mero fruitore della Chiesa, bensì suo ‘socio costruttore’. Un’inconscia diffusa psicologia nel corpo ecclesiale ha ingenerato l’idea errata che i sacerdoti siano i ‘gestori’ della Chiesa e i laici i ‘clienti’; i sacerdoti i responsabili, i laici i ‘delegati’. Mentre invece la Chiesa è di tutti, costituita da tutti, costruita da tutti.

Insieme daremo vita alla Chiesa dei volti, una Chiesa che non possiede facili risposte ma che si lascia “inquietare” dalle domande. Come ha detto magnificamente bene il vescovo francese mons. Albert Rouet: “Mi piacerebbe una Chiesa che osi mostrare la sua fragilità. Nel Vangelo non si nasconde che il Cristo ha avuto fame e che è stato stanco. Talvolta la Chiesa dà invece l’impressione di non aver bisogno di nulla e sembra che gli uomini non abbiano niente da darle. Vorrei una Chiesa che si mette ad altezza d’uomo senza nascondere che è fragile, che non sa tutto e che anche lei si pone delle domande”.

Sogno una Chiesa che viva all’ombra e viva al sole; all’ombra della Parola di Dio, al sole dell’Eucaristia.

“Senza la domenica non possiamo vivere”, dicevano i primi cristiani. Questa affermazione, questo “urlo”, questo “segreto” arrivi fino a noi con tutta la sua freschezza e la sua potenza, la sua gioia e il suo splendore.

Sogno cristiani “gelosi” dell’Eucaristia domenicale che si accostano all’Eucarestia, alla Messa, come ci si accosta all’amore... in punta di piedi, irresistibilmente attratti dall’invito e dalle promesse della Pasqua di Gesù.

Saremo chiamati ancora una volta a “sconfinare” ad andare oltre i confini delle vecchie parrocchie. E se è vero che i confini sembrano proteggere dall’inatteso e dall’imprevedibile, sembrano promettere sicurezza, sono sempre più convinto che solo chi “sconfina” vede meglio e sa far germogliare il nuovo dentro e fuori di sé. Per questo mi sento profondamente in sintonia con quanto afferma lo scrittore G. B. Shaw: “Ci sono alcuni che, vedendo le cose come sono, si domandano: perché? Io sogno cose che non ci sono mai state e mi domando: perché no?

In questa seducente avventura affidiamoci a Maria, donna audace che si è affidata perdutamente del Dio dell’impossibile. A Lei chiedo di saper essere un parroco dagli “occhi di gufo”... I gufi hanno occhi enormi, smisurati, occhi da icone! Molto prima di me hanno affascinato i Bizantini. Con loro gli occhi dei gufi sono diventati gli occhi di Dio... Da loro dobbiamo imparare ad avere occhi profondi, che vedono dentro e oltre, occhi che vedono nella notte, oltre il buio, che sanno vedere l’alba dentro un tramonto, che sognano l’alba. Occhi di speranza.

A Maria chiedo di saper vivere e mostrare che è possibile e insieme splendido amare Dio con cuore di carne e amare la carne con cuore di Dio.

don Mauro

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AVVISI - 7 APRILE 2024

LA POSSIBILITÀ DELL’IMPOSSIBILE

“Pasqua è il più grande evento della storia dell’universo. A riflettere sul suo significato , ci si sente mancare il fiato per l’incredibile verità che ci fa conoscere. Una verità che tocca ciascuno di noi negli interessi più reali, più ‘fisici’, in quanto Cristo ha promesso  che anche noi tutti risorgeremo come lui. Eppure, forse, mai come nel nostro tempo, si parla poco di questo evento e del suo sconvolgente significato”. (Vittorio Messori)

Anch’io mi sento mancare il fiato di fronte al Crocefisso Risorto, davanti al mattino di Pasqua... L’annuncio è talmente grande, incredibile, esplosivo che le parole sono povere e insufficienti di fronte a un fatto così, a una speranza così, di fronte a una promessa così: è la possibilità dell’impossibile, l’impossibile che si fa possibile.

Ce lo ha ricordato magnificamente e con forza papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata al Parco di Monza sabato 25 marzo 2017, giorno della festa dell’Annunciazione a Maria: “Nulla è impossibile a Dio” (Luca 1,37): così termina la risposta dell’Angelo a Maria... Quando ci apriamo alla grazia, sembra che l’impossibile incominci a diventare realtà. Come ieri, Dio continua a cercare alleati, continua a cercare uomini e donne capaci di credere, capaci di fare memoria, di sentirsi parte del suo popolo per cooperare con la creatività dello Spirito ... Dio continua a cercare cuori come quello di Maria”.

Come Maria e i discepoli proviamo la stessa gioia e lo stesso turbamento, gli stessi dubbi, le stesse forti emozioni, gli stessi brividi, lo stesso infinito stupore, le stesse lacrime... un crocefisso è il risorto, è il vivente!
In questo tempo di Pasqua l’invito che faccio a me e a ciascuno è quello di passare un po’ di tempo da soli davanti al crocefisso per lasciarsi provocare e interrogare da quel grande Amore, per riscoprire il vero volto del nostro Dio, per appoggiare sul suo cuore tutti i nostri tormenti, le nostre sofferenze, il nostro dolore per ritrovare forza, consolazione, perdono, voglia di futuro, speranza, per entrare nel mistero, come le donne dei Vangeli ai piedi della croce e al sepolcro.

“Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca... (Marco 16,5). Le donne furono le prime a vedere questo grande segno: la tomba vuota; e furono le prime ad entrarvi... “Entrate nel sepolcro”. Ci fa bene, in questa notte di veglia, fermarci a riflettere sull’esperienza delle discepole di Gesù, che interpella anche noi. Per questo, in effetti, siamo qui per entrare, entrare nel Mistero che Dio ha compiuto con la sua veglia d’amore. Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero. Non è un fatto intellettuale, non è solo conoscere, leggere ... È di più, è molto di più!”. (Papa Francesco, Veglia Pasquale 2015).
Già è molto di più: non ci basta la ragione, non ci basta l’intelligenza... che ama ed è amato lo sa bene, chi vive audacemente la speranza lo sa bene, chi sa perdonare e chi riceve il perdono lo sa bene! L’intelletto e la ragione cercano, ma chi trova è il cuore, quel luogo segreto nascosto al centro di noi stessi dove abita Dio, un Dio che non ci chiede altro che il cuore.

Lo sa bene Maria Maddalena, la discepola di Gesù che, pur col cuore spezzato e impaurito, continua a cercare Gesù, il suo Maestro, in quell’indimenticabile mattino di Pasqua.

“Da sola, nel buio che scivola verso l’alba, incoraggiata dall’amore sconfinato per l’Uomo che le ha reso la dignità e la stima allora negate alle donne, non si arrende dinanzi alla tomba vuota. Il suo cuore si spezza, ma continua a cercarlo, anche se non sa dove dirigersi. E quando si sente chiamare, non ha dubbi: quello è il Maestro. Le parole affettuose che Lui le rivolge, la dolcezza con la quale pronuncia il suo nome, come nelle strade di Galilea, le danno la certezza che dinanzi a lei non c’è un fantasma, ma il suo Signore. Avverte il corpo di Cristo risorto in quella fisicità calda di affetti che aveva conosciuto, quando gli aveva unto i piedi, bagnati di lacrime, asciugati con i suoi capelli e lui le aveva teso la mano. E quando si reca dai discepoli per riferire l’annuncio che Lui le ha affidato, dice semplicemente: ‘ Io l’ho visto’ . E? tutto il suo essere a darle questa certezza”. (Mariapia Bonanate).

Sono proprio le donne a capire di più e meglio, a non arrendersi alla croce, forse perché sono le persone che più sono state vicine a Gesù e che hanno compiuto per lui straordinari gesti di tenerezza, di vicinanza, di consolazione. La loro presenza sulla strada della Croce restituisce umanità anche alla solitudine e alla morte. Abbiamo tutti e tutto da imparare da queste donne, creature che profumano di resurrezione, soprattutto dalla loro inaudita speranza che nulla andrà perduto della nostra vita, nessun gesto di bontà e di tenerezza, nessuna lacrima. Nulla andrà perduto, neppure la vita. È questa la fede pasquale, la promessa di Gesù per ognuno di noi. Una promessa che sta scritta su ogni ramo fiorito di gemme a primavera... Al Signore crocefisso e risorto, fondamento e cuore della ‘pazza fede’ dei cristiani, chiediamo di rimuovere tutte quelle pietre che chiudono e congelano il nostro cuore, che soffocano e schiacciano la nostra speranza e il nostro entusiasmo. A Lui chiediamo di farci persone capaci di resurrezione, capaci di ridare speranza e di far risorgere chi ci incontra, capaci di accoglienza, misericordia, giustizia. A Lui chiediamo di regalarci la sua luce. “Le persone sono come le vetrate colorate: Scintillano e brillano quando c’è il sole, ma quando cala l’oscurità rivelano la loro bellezza solo se c’è una luce dentro”.

don Mauro

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