AVVISI - 21 APRILE 2024

UNA NUOVA SEDUCENTE AVVENTURA

Mi faccio avvolgere e sospingere da un augurio che mi è molto caro e che mi ha sempre accompagnato:  “Da prete-parroco sii sempre una favola per i bambini, un sogno per gli adolescenti, una inquietudine per i giovani, un fratello per gli adulti, una carezza per gli anziani, un elisir per gli ammalati”.

Voi proibitemi di essere un parroco clericale, un “funzionario”, aiutatemi ad essere un parroco-pastore, ministro della gioia e della eccedenza evangelica.

Sarà bello, sacerdoti e laici, pensare e progettare insieme, arrivare a scelte pastorali condivise e incisive, costruire luoghi di discernimento comunitario. Affermava l’Arcivescovo Paolo Rabitti, allora presidente della Commissione Episcopale per il laicato: “Cosa si chiede ai laici per la vita della Chiesa? Si chiede tutto! E che nessuno si senta più estraneo, ospite, mero fruitore della Chiesa, bensì suo ‘socio costruttore’. Un’inconscia diffusa psicologia nel corpo ecclesiale ha ingenerato l’idea errata che i sacerdoti siano i ‘gestori’ della Chiesa e i laici i ‘clienti’; i sacerdoti i responsabili, i laici i ‘delegati’. Mentre invece la Chiesa è di tutti, costituita da tutti, costruita da tutti.

Insieme daremo vita alla Chiesa dei volti, una Chiesa che non possiede facili risposte ma che si lascia “inquietare” dalle domande. Come ha detto magnificamente bene il vescovo francese mons. Albert Rouet: “Mi piacerebbe una Chiesa che osi mostrare la sua fragilità. Nel Vangelo non si nasconde che il Cristo ha avuto fame e che è stato stanco. Talvolta la Chiesa dà invece l’impressione di non aver bisogno di nulla e sembra che gli uomini non abbiano niente da darle. Vorrei una Chiesa che si mette ad altezza d’uomo senza nascondere che è fragile, che non sa tutto e che anche lei si pone delle domande”.

Sogno una Chiesa che viva all’ombra e viva al sole; all’ombra della Parola di Dio, al sole dell’Eucaristia.

“Senza la domenica non possiamo vivere”, dicevano i primi cristiani. Questa affermazione, questo “urlo”, questo “segreto” arrivi fino a noi con tutta la sua freschezza e la sua potenza, la sua gioia e il suo splendore.

Sogno cristiani “gelosi” dell’Eucaristia domenicale che si accostano all’Eucarestia, alla Messa, come ci si accosta all’amore... in punta di piedi, irresistibilmente attratti dall’invito e dalle promesse della Pasqua di Gesù.

Saremo chiamati ancora una volta a “sconfinare” ad andare oltre i confini delle vecchie parrocchie. E se è vero che i confini sembrano proteggere dall’inatteso e dall’imprevedibile, sembrano promettere sicurezza, sono sempre più convinto che solo chi “sconfina” vede meglio e sa far germogliare il nuovo dentro e fuori di sé. Per questo mi sento profondamente in sintonia con quanto afferma lo scrittore G. B. Shaw: “Ci sono alcuni che, vedendo le cose come sono, si domandano: perché? Io sogno cose che non ci sono mai state e mi domando: perché no?

In questa seducente avventura affidiamoci a Maria, donna audace che si è affidata perdutamente del Dio dell’impossibile. A Lei chiedo di saper essere un parroco dagli “occhi di gufo”... I gufi hanno occhi enormi, smisurati, occhi da icone! Molto prima di me hanno affascinato i Bizantini. Con loro gli occhi dei gufi sono diventati gli occhi di Dio... Da loro dobbiamo imparare ad avere occhi profondi, che vedono dentro e oltre, occhi che vedono nella notte, oltre il buio, che sanno vedere l’alba dentro un tramonto, che sognano l’alba. Occhi di speranza.

A Maria chiedo di saper vivere e mostrare che è possibile e insieme splendido amare Dio con cuore di carne e amare la carne con cuore di Dio.

don Mauro

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AVVISI - 7 APRILE 2024

LA POSSIBILITÀ DELL’IMPOSSIBILE

“Pasqua è il più grande evento della storia dell’universo. A riflettere sul suo significato , ci si sente mancare il fiato per l’incredibile verità che ci fa conoscere. Una verità che tocca ciascuno di noi negli interessi più reali, più ‘fisici’, in quanto Cristo ha promesso  che anche noi tutti risorgeremo come lui. Eppure, forse, mai come nel nostro tempo, si parla poco di questo evento e del suo sconvolgente significato”. (Vittorio Messori)

Anch’io mi sento mancare il fiato di fronte al Crocefisso Risorto, davanti al mattino di Pasqua... L’annuncio è talmente grande, incredibile, esplosivo che le parole sono povere e insufficienti di fronte a un fatto così, a una speranza così, di fronte a una promessa così: è la possibilità dell’impossibile, l’impossibile che si fa possibile.

Ce lo ha ricordato magnificamente e con forza papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata al Parco di Monza sabato 25 marzo 2017, giorno della festa dell’Annunciazione a Maria: “Nulla è impossibile a Dio” (Luca 1,37): così termina la risposta dell’Angelo a Maria... Quando ci apriamo alla grazia, sembra che l’impossibile incominci a diventare realtà. Come ieri, Dio continua a cercare alleati, continua a cercare uomini e donne capaci di credere, capaci di fare memoria, di sentirsi parte del suo popolo per cooperare con la creatività dello Spirito ... Dio continua a cercare cuori come quello di Maria”.

Come Maria e i discepoli proviamo la stessa gioia e lo stesso turbamento, gli stessi dubbi, le stesse forti emozioni, gli stessi brividi, lo stesso infinito stupore, le stesse lacrime... un crocefisso è il risorto, è il vivente!
In questo tempo di Pasqua l’invito che faccio a me e a ciascuno è quello di passare un po’ di tempo da soli davanti al crocefisso per lasciarsi provocare e interrogare da quel grande Amore, per riscoprire il vero volto del nostro Dio, per appoggiare sul suo cuore tutti i nostri tormenti, le nostre sofferenze, il nostro dolore per ritrovare forza, consolazione, perdono, voglia di futuro, speranza, per entrare nel mistero, come le donne dei Vangeli ai piedi della croce e al sepolcro.

“Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca... (Marco 16,5). Le donne furono le prime a vedere questo grande segno: la tomba vuota; e furono le prime ad entrarvi... “Entrate nel sepolcro”. Ci fa bene, in questa notte di veglia, fermarci a riflettere sull’esperienza delle discepole di Gesù, che interpella anche noi. Per questo, in effetti, siamo qui per entrare, entrare nel Mistero che Dio ha compiuto con la sua veglia d’amore. Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero. Non è un fatto intellettuale, non è solo conoscere, leggere ... È di più, è molto di più!”. (Papa Francesco, Veglia Pasquale 2015).
Già è molto di più: non ci basta la ragione, non ci basta l’intelligenza... che ama ed è amato lo sa bene, chi vive audacemente la speranza lo sa bene, chi sa perdonare e chi riceve il perdono lo sa bene! L’intelletto e la ragione cercano, ma chi trova è il cuore, quel luogo segreto nascosto al centro di noi stessi dove abita Dio, un Dio che non ci chiede altro che il cuore.

Lo sa bene Maria Maddalena, la discepola di Gesù che, pur col cuore spezzato e impaurito, continua a cercare Gesù, il suo Maestro, in quell’indimenticabile mattino di Pasqua.

“Da sola, nel buio che scivola verso l’alba, incoraggiata dall’amore sconfinato per l’Uomo che le ha reso la dignità e la stima allora negate alle donne, non si arrende dinanzi alla tomba vuota. Il suo cuore si spezza, ma continua a cercarlo, anche se non sa dove dirigersi. E quando si sente chiamare, non ha dubbi: quello è il Maestro. Le parole affettuose che Lui le rivolge, la dolcezza con la quale pronuncia il suo nome, come nelle strade di Galilea, le danno la certezza che dinanzi a lei non c’è un fantasma, ma il suo Signore. Avverte il corpo di Cristo risorto in quella fisicità calda di affetti che aveva conosciuto, quando gli aveva unto i piedi, bagnati di lacrime, asciugati con i suoi capelli e lui le aveva teso la mano. E quando si reca dai discepoli per riferire l’annuncio che Lui le ha affidato, dice semplicemente: ‘ Io l’ho visto’ . E? tutto il suo essere a darle questa certezza”. (Mariapia Bonanate).

Sono proprio le donne a capire di più e meglio, a non arrendersi alla croce, forse perché sono le persone che più sono state vicine a Gesù e che hanno compiuto per lui straordinari gesti di tenerezza, di vicinanza, di consolazione. La loro presenza sulla strada della Croce restituisce umanità anche alla solitudine e alla morte. Abbiamo tutti e tutto da imparare da queste donne, creature che profumano di resurrezione, soprattutto dalla loro inaudita speranza che nulla andrà perduto della nostra vita, nessun gesto di bontà e di tenerezza, nessuna lacrima. Nulla andrà perduto, neppure la vita. È questa la fede pasquale, la promessa di Gesù per ognuno di noi. Una promessa che sta scritta su ogni ramo fiorito di gemme a primavera... Al Signore crocefisso e risorto, fondamento e cuore della ‘pazza fede’ dei cristiani, chiediamo di rimuovere tutte quelle pietre che chiudono e congelano il nostro cuore, che soffocano e schiacciano la nostra speranza e il nostro entusiasmo. A Lui chiediamo di farci persone capaci di resurrezione, capaci di ridare speranza e di far risorgere chi ci incontra, capaci di accoglienza, misericordia, giustizia. A Lui chiediamo di regalarci la sua luce. “Le persone sono come le vetrate colorate: Scintillano e brillano quando c’è il sole, ma quando cala l’oscurità rivelano la loro bellezza solo se c’è una luce dentro”.

don Mauro

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AVVISI - 31 MARZO 2024

AUGURI PASQUALI

Come è importante nella vita scoprire e provare l’Amore di Dio! Non è sempre facile sentire questo Amore che ti avvolge il cuore, che ti cambia la vita, che nelle difficoltà non ti lascia solo.
Ancora più importante è vivere il mistero della Pasqua in cui Dio sulla Croce si offre per ciascuno di noi, caricandosi i nostri peccati e, risorgendo, ci apre all’orizzonte eterno. Quanti di noi hanno sentito nella vita la paura?
Tutti abbiamo le nostre paure, le aveva Maria quando Gesù si è smarrito nel Tempio e quando moriva sulla croce; l’apostolo Pietro, preso dalla paura per la propria vita, tre volte rinnegò Gesù; gli Apostoli per paura abbandonarono Gesù nel Getsemani; ma forse la paura più terribile l’ebbe Giuda, la paura di non essere perdonato da nessuno, neppure da se stesso.
Solo l’incontro con Cristo vivo e risorto, l’incontro con Dio che ama, ha fatto sì che Maria abbia sorriso, che gli apostoli abbiano ritrovato la pace, che Pietro abbia perdonato se stesso.
Affido tutti con le proprie paure, preoccupazioni, gioie e sogni a Maria, affinchè presenti tutti noi al suo Figlio morto, risorto e fondamento della nostra pace.
Buona Pasqua!

don Mauro

PASQUA 2024
“Guarda, Dio onnipotente, l'umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa' che riprenda vita per la passione del Tuo unico Figlio”.
L’umanità è sfinita, troppo male, non ha più fiducia, ha una debolezza strutturale che conduce alla morte.
Gesù abbraccia tutto questo e lo trasfigura con la sua passione, morte e risurrezione. Gesù vince il male e la morte. Così in Lui tutto riprende vita con il suo amore infinito e potente.
Lasciamoci amare e guidare dalla sua azione. Gesù è presente e opera tra noi, nella nostra unità.
Così comunichiamo questa fiducia a tutti.
Buona Pasqua!

don Marco Valera

ALLELUIA , GESU'  È  RISORTO!!
Ha trasformato la morte in vita e, liberandoci  dal peccato, manifesta la forza di Dio: l'AMORE che vince tutto.
Da questo viene a noi la luce e la grazia di vivere nella certezza della risurrezione del corpo. Già ora passiamo dalla morte alla Vita amandoci l'un l'altro come ci ama Gesù
È iniziato un mondo nuovo e abbiamo la certezza che il Regno di Dio si diffonde e si realizzerà pienamente, pur tra le difficoltà e le forze avverse. Con questa sicurezza possiamo scambiarci i veri AUGURI : BUONA  PASQUA!

don Marco Milani

«Se è vero che la morte non ha più potere sull’uomo e sul mondo, tuttavia rimangono ancora tanti, troppi segni del suo vecchio dominio. Se mediante la Pasqua, Cristo ha estirpato la radice del male, ha però bisogno di uomini e di donne che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi: le armi della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore».
Messaggio urbi et orbi Papa Benedetto XVI Pasqua 2009

È questo il nostro augurio che si fa preghiera per ciascuno.
Buona Pasqua

Suor Floriana, suor Morena e suor Lucia

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AVVISI - 24 MARZO 2024

... TRA CROCEFISSIONE E RESSUREZIONE

In fondo la nostra vita, la vita del mondo, la nostra fede di cristiani è racchiusa tutta qui, in questa Crocifissione, in questa Resurrezione.
Guardo a Gesù Crocifisso e vedo l’amore disarmato e disarmante del nostro Dio. Guardo a Gesù Crocifisso e scopro che anche Lui ha tremato di fronte alla morte, ma poi si è fidato, si è affidato a suo Padre... resistenza e resa. Guardo a Gesù Crocifisso e ritrovo il volto di tanti nuovi crocifissi che ogni giorno incontriamo sulle nostre strade, sulle strade del mondo. Guardo a Gesù Crocifisso e mi si affollano davanti al cuore tanti occhi velati di lacrime, con tanti perché che rimangono senza una risposta.
Allora il mio sguardo e il mio cuore si rivolgono al Risorto perché continuo a credere che tutto non finisce qui, che tutto non può finire qui, che la Croce non è e non può essere l’ultima parola sulla vita. Anche quando le lacrime si esauriscono, le parole ti muoiono sulle labbra, il cuore si inaridisce, le forze fuggono, la vita sembra polverizzarsi. Anche quando davanti al dolore e alla morte ci si arresta come davanti a un enigma irrisolvibile e inquietante, davanti ad una ingiustizia bruciante e inaccettabile e tutto ti sembra inutile. Anche quando la fede più alta barcolla e trema, quando le domande pulsano nel cuore e nel cervello, quando le risposte sempre cercate non ti raggiungono. Allora il mio sguardo e il mio cuore si rivolgono al Risorto perché la speranza non muore. Aspetti l’inatteso. Speri l’insperato. Sogni che ciò che ti appare irrimediabilmente perduto non lo sia per sempre. Sogni un oltre. Sogni una porta che si apre. Sogni la morte del dolore, la morte della morte.
Ma a salvarci, a liberarci dal dolore e dalla morte, ci vuole Qualcuno. Qualcuno dall’alto. Qualcuno che “muterà l nostro dolore in danza”, come sta scritto nel salmo 30. Qualcuno che ridarà vita alla polvere. Da venti secoli il cammino dell’uomo e della sua libertà, il senso dell’esistenza sono posti in gioco di fronte a questo annuncio: “Gesù, il Crocifisso, è risorto, vive!” Tutto inizia e dipende da quel mattino di Pasqua, splendido dono dell’inesauribile fantasia di Dio. Noi, da soli, saremmo rimasti ai piedi della croce e al gelido silenzio del sabato santo.
C’è da sempre un rapporto indissolubile tra croce e resurrezione. Nel Nuovo testamento quando si parla di resurrezione si parla anche di croce. Per questo ho trovato geniale l’idea dell’artista che  ha raffigurato Crocifissione e Resurrezione sui due lati della stessa tavola di legno. (non sono più riuscito a ritrovarne l’autore). Il “cuore ferito” appartiene al Crocifisso e al Risorto.
“L’amore ha scritto il suo racconto nel corpo di Gesù con l’alfabeto delle ferite ormai indelebili come l’amore”. (padre Ermes Ronchi)
Queste ferite ci sono ancora oggi sul cuore di Gesù Crocifisso e Risorto. E forse sono proprio i crocifissi della storia, la loro speranza incrollabile a permettere di capire la resurrezione di Gesù. E’ il Vangelo di Marco a dirci che Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto e che Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7). La Galilea è una regione ai margini, lontana da Gerusalemme... Eppure, è qui che si può vedere Gesù, perché le periferie, come continuamente e audacemente ci ripete papa Francesco, costituiscono il luogo teologico privilegiato per comprendere la resurrezione, per vivere la fede e la Chiesa.
Le vie della storia, anche quelle di oggi, sono lastricate di innumerevoli croci. Anche noi abbiamo le nostre Galilee... basta guardare qualche telegiornale, basta guardarci intorno. E’ lì che noi cristiani siamo attesi, per ridare speranza, per ridare dignità e vita e giustizia. Perché il mondo non va come deve andare, ma va come lo facciamo andare noi. Perché non esistono situazioni in cui l’amore non abbia ancora qualcosa da dire. Ed è lì, in queste Galilee, che è atteso il nostro fare Pasqua.
Capita sempre di primavera, la Pasqua. Perché la Pasqua è primavera, la stagione che ha profumo di miracoli. Un verso famosissimo del poeta Pablo Neruda recita così: “ Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi”. E’ un verso che parla d’amore, che parla degli innamorati, ma mi sembra un verso davvero pasquale, perché è proprio questo che la Pasqua vuol fare con noi... E’ il miracolo dell’amore che tutto fa rinascere, che tutto trasfigura, che tutto solleva, che tutto fa guardare con occhi nuovi. Sogno che la Pasqua sia per me e per voi questo miracolo, questa speranza esagerata, questo regalo inaudito. Faccio mie le parole di papa Francesco per augurarvi Buona Pasqua: “Quando il cielo è tutto nuvoloso, è una benedizione chi sa parlare del sole. Ecco, il vero cristiano è così: non lamentoso e arrabbiato, ma convinto, per la forza della risurrezione, che nessun male è infinito, nessuna notte è senza termine, nessun uomo è definitivamente sbagliato, nessun odio è invincibile dall’amore”.

don Mauro

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AVVISI - 17 MARZO 2024

MANGIARE LA PAROLA

C’era un’attesa, una speranza proclamata dal Concilio Vaticano II circa cinquantasei anni fa: ridare la Bibbia  in mano alle genti. Era tempo che la Chiesa facesse un esame di coscienza rispetto a quest’attesa e desse nuovo slancio alle speranze del Concilio. Anche perché le statistiche al riguardo non sono certamente rassicuranti: da uno degli ultimi sondaggi risulta che circa il sessanta per cento degli italiani non ha mai letto i quattro Vangeli e che solo pochissime persone nell’ultimo anno hanno letto personalmente un brano del Vangelo. Qui nella Diocesi di Milano forse va un po’ meglio perché siamo stati educati splendidamente dal Card. Carlo Maria Martini, noto ed insigne biblista, che ad ogni occasione, davanti a qualunque uditorio, a credenti e non credenti, giovani e adulti, non ha mai rinunciato a raccontare la Bibbia: ora un personaggio, ora una parabola, ora un miracolo, ora anche una sola parola... Una Parola, quella della Bibbia, cui la Chiesa deve sempre obbedire: la Chiesa è “sotto” la Parola... Ci ha fatto scoprire così la Bibbia in tutta la sua bellezza, in tutta la sua impressionante novità, freschezza, concretezza, consegnandoci il volto di un Dio insieme tenero, misericordioso ed esigente. Ce l’ha fatta riscoprire per la catechesi, le omelie, la lettura personale, la preghiera, la vita. Non per nulla la sua seconda lettera inviata alla Diocesi, a credenti e non credenti, si intitolava proprio: “In principio la Parola”. Una lettera da rileggere!
Diceva il Concilio, riprendendo S. Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo...”. Qualche anno fa, un prete amico e poeta, che ha avuto un ruolo importante nella mia vita, scriveva così: “Lei: la Parola. Lui: Gesù Cristo. ‘Mangia il Vangelo’, dicevano i monaci, ‘impara da Dio chi è Dio’... Guarda a Lei per conoscere Lui. Accogli Lei per amare Lui. Ascolta Lei per seguire Lui. Fatti illuminare da Lei per scorgere Lui. Lasciati dissetare da Lei per lasciarti inquietare da Lui. Fidati di Lei per affidarti di Lui. Lei: Parola di Dio, parola di vita eterna. Lui: Parola di Dio fatta Figlio, fatta volto. Lei, Lui: intrecciati per sempre.
Nella storia dell’amore di Dio per noi, nella storia della Chiesa, dei cristiani, nella nostra storia”. “Mangia il Vangelo” ... quella che ci è donata è una Parola da mangiare...
“ Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritti lamenti, pianti e guai. Mi disse: ‘Figlio dell’uomo, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele’. Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: ‘Figlio dell’uomo, nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo’. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele”. ( Ezechiele 2,9-3,3)

Quella che ci è donata è una Parola da incontrare: “ Sto davanti alla Bibbia come davanti alla mia sposa” (Andrè Chouraqui). Splendide le parole dello scrittore algerino! E’ lo stare davanti, in totale intimità, all’amore della tua vita, a quell’amore che dà sostanza e ragione alla tua vita, ai tuoi sogni, che ti fa capace di gesti impensabili per audacia e gratuità. Una intimità di cui ci parla anche lo scrittore Erri De Luca, un “laico”. “ Per molti anni di vita da operaio ho sfogliato le Scritture sacre e il loro antico ebraico un’ora prima di uscire al lavoro. Mi pareva cos’ di afferrare qualcosa da ogni nuovo giorno prima di farmelo portare via dalla stanchezza. Credo di essere stato tra i pochi operai felici di buttarsi giù presto dal letto, perché quell’ora prima era la mia caparra. Anche adesso che non faccio più il mestiere ho custodito l’usanza e l’orario. Ogni mattina a testa vuota e lenta accolgo le parole sacre. Capirle per me non è afferrarle, ma essere raggiunto da loro, essere così quieto da farsi agitare da loro, così privo d’intenzione da ricevere da ricevere la loro e così insipido da farsene salare. Così sono diventato ospite a casa delle parole della Scrittura sacra... Ogni giorno mi sveglio assai presto, sfoglio per mia usanza l’ebraico dell’Antico Testamento che è la mia ostinazione e la mia intimità”.
È un incontro tutt’altro che innocuo: è una scelta assolutamente “rischiosa” e rivoluzionaria, per sé e per il mondo. È un incontro che ha il sapore di una lotta a corpo a corpo con Dio, come la lotta notturna di Giacobbe... una lotta da cui si esce radicalmente cambiati!
“Infatti la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore”. ( Ebrei 4,12)
È un incontro che potrebbe tingere di sole la nostra Milano, spesso appesantita dalle nebbie della mancanza di speranza, della mancanza di “sogni diurni”. Come ci racconta don Angelo Casati: “ Che cosa ti aveva portata in parrocchia quel giorno? Qualcosa (o Qualcuno?) che sta oltre? Non avevi nessuna frequentazione di preti. Non sei battezzata: Mi chiedesti di parlarmi. Eri senza pregiudizi, senza resistenze. Ti fissavo. Eri oltre. Oltre le cose ovvie. Sentivi dentro di te, mi dicesti, come un’attesa, un bisogno. Che cosa avrei potuto proporre a una ragazza come te, abitata da un’attesa, se non la Bibbia, il Vangelo, che, come dice la parola, è una buona notizia, e colui che è un vangelo, una buona notizia, Gesù di Nazareth? Rimasi sorpreso. Erano passati solo alcuni giorni. Sorpreso e commosso dalle tue parole: ‘Finalmente’ dicevi ‘Milano si è tinta di sole’. Continuo a leggere la Bibbia... Sono rimasta affascinata dalla libertà di Gesù. Non ho mai trovato qualcosa di simile. Respiro libertà”.
“Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio e la vivono ogni giorno”, canta la liturgia. Beati ... cioè felici!

don Mauro

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AVVISI - 10 MARZO 2024

NUOVI PASSI

A volte gli eventi più belli della vita ci capitano come splendide sorprese e ci cambiano. A volte li attendi dal profondo con trepidazione, li prepari con cura, ma continuano a sorprenderti e ti cambiano da capo a piedi... come la Pasqua!  Questo è il “compito” della Quaresima: cambiarci dalla testa ai piedi e insegnarci nuovi passi.

“Quaresima: dalla testa ai piedi”:
così scriveva don Tonino Bello, grande vescovo poeta e profeta: “Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi. Tra questi due riti, si snoda la strada della quaresima. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala. Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole. È difficile sottrarsi all’urto di quella cenere. Benchè leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: ‘Convertiti e credi al Vangelo’. Quello ‘shampoo alla cenere’ rimane impresso per sempre. Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini l’abbiamo ‘udita con gli occhi , pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica quella del Giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benchè articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il lavarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio. Potenza evocatrice di segni! Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare sui piedi degli altri. Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa”. Un ritorno a casa come quello narrato dall’Evangelista Luca nella parabola del Padre misericordioso e deciso così dal figlio: “Allora rientrò in se stesso...” ( Luca 15,17).
La Quaresima è proprio così: l’occasione per rientrare in se stessi, per tornare al Vangelo con nuovi passi.
Il Padre ci aspetta, ci corre incontro per riabbracciarci, per fare festa. Ci vogliamo mettere in cammino con papa Francesco, mettere i nostri passi sui suoi passi.
L’ha detto splendidamente Roberto Benigni alla presentazione del suo libro “ Il nome di Dio è Misericordia”: “Il cuore del ministero di Francesco è proprio la misericordia. Lui sta camminando verso qualcosa e non si ferma mai. A volta sembra affaticato perchè traghetta la Chiesa in un luogo del quale ci siamo dimenticati, verso il Cristianesimo, e la forza per questa sfida gliela dà la medicina della misericordia che va a cercare tra gli sconfitti, gli ultimi degli ultimi...”. E’ la rivoluzione della tenerezza! La Chiesa che amo è la Chiesa della tenerezza! Forse per troppo tempo ci siamo chiusi come in una fortezza nelle nostre certezze, forse abbiamo trascurato l’ascolto, il dialogo, la pazienza, la dolcezza, forse ci siamo dimenticati che compito della Chiesa non è chiudere una porta, ma piuttosto tenerla sempre aperta. Forse ci siamo dimenticati di abitare nelle domande, nei dubbi delle persone. Forse abbiamo avuto timore a mostrare tutta la nostra fragilità, ad ammettere che non abbiamo una risposta per tutto e per sempre. Forse ci siamo dimenticati del Vangelo, della potenza dei gesti dimenticati del Vangelo, della potenza dei gesti pieni di tenerezza di Gesù, il nostro Maestro, ci siamo dimenticati del Concilio Vaticano II, di quel meraviglioso inizio della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
È tempo di imparare ad avere sguardo da innamorati sul mondo, sulle persone, qualunque cammino abbiano intrapreso. È tempo di avere la stessa speranza di Dio e di aprire e dare spazi a tanti e diversi cammini. Mi torna sempre più alla memoria del cuore l’episodio di Mosè e del roveto ardente narrato nel libro dell’Esodo. A Mosè è chiesto di togliersi i calzari davanti a quel luogo sacro. Nell’avvicinarsi agli uomini, è chiesto lo stesso alla Chiesa e a ogni cristiano: togliersi i calzari. Perché ogni uomo, in qualunque situazione, è un “luogo sacro” e Dio è già in ogni uomo ben prima del nostro arrivo. È tempo di passare dal ‘balconear’ – parola di papa Francesco! – cioè dallo stare al balcone, in posizione di giudizio, allo stare in mezzo per servire, ascoltare, far crescere, annunziare la misericordia, la tenerezza di Dio.
Sono questi i passi, i salti che ci sono chiesti. Dovremmo imitare i bambini che nell’imparare a camminare affrontano tranquillamente, senza paura e con tenacia, mille rischi: cadono, si rialzano, cadono ancora, si rialzano di nuovo. Bisogna imparare da loro se vogliamo avanzare nella vita, se vogliamo danzare la vita. Nella certezza che cercando l’impossibile, l’uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile, non sono mai avanzati di un passo. In fondo, ce l’ha ripetuto spesso Gesù: “Se aveste fede quanto un granello di senape...”.

don Mauro

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AVVISI - 3 MARZO 2024

NUOVI SGUARDI

“Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo in un bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è. Nella ‘Firma in bianco’ la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta. Tuttavia il nostro pensiero comprende tutti e due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero... Divenni allora poco certo della profondità delle campagne, fui assai poco convinto della lontananza dell’azzurro chiaro dell’orizzonte, tutti gli elementi che l’esperienza immediata situava semplicemente all’altezza dei miei occhi. Ero nel medesimo stato di innocenza del bambino che crede di poter afferrare dalla sua culla l’uccello che vola nel cielo”.(Renè Magritte, pittore Belga, 1898. 1967)

La “Firma in bianco” è il quadro che ho scelto per questa quaresima 2024; che ci invita a coltivare “Nuovi sguardi” perché mette decisamente sottosopra la nostra solita visione della realtà, sollecita uno sguardo più libero che sa interrogare la realtà e svelare l’oltre, il nascosto, che sa fuggire a gambe levate dai luoghi comuni. L’attenzione però deve essere ben vigile e desta! Perché l’arte non riproduce semplicemente ciòche è visibile, ma ci regala la splendida possibilità di rendere visibile ciò che non sempre lo è.

Avere altri occhi, avere un altro sguardo è la consegna di questa Quaresima! Sono sempre più convinto ogni giorno che passa, ogni persona che incontro e ascolto, ogni problema che affronto, di ciò che affermava Simone Weil: “Una delle virtù fondamentali del cristianesimo, verità troppo spessa misconosciuta, è questa: ciò che salva è lo sguardo”.

Ne hanno fatto mirabile e indimenticabile esperienza tutti coloro che hanno incontrato Gesù di Nazareth: i Vangeli ce lo narrano con straordinaria potenza e insieme con semplicità, destando da sempre commozione e desiderio di sguardi che arrivano dritti al cuore, che sanno svelare e risvegliare la bellezza nascosta in ciascuno, sguardi liberi da pregiudizi, prevenzioni, sospetti, diffidenze, che ricreano e risvegliano.

“Nella vita quotidiana ci sfiorano con gli sguardi. Ci fissiamo per prepotenza, manteniamo lo sguardo per cortesia o ci perdiamo negli occhi dell’altro per amore. Lo sguardo è una meraviglia misteriosa. Quando guardi chi ti guarda, ti rendi conto che non dovresti trattare l’altro come un oggetto.

L’altro è una presenza, è un ‘tu’. Lo sguardo, però, può essere indiscreto, un giudizio ancor più spietato delle parole. Ciò che vale per le persone si applica anche alla nostra percezione dello sguardo di Dio. Jean-Paul Sartre, un filosofo esistenzialista ateo, racconta, che, una volta, nella sua infanzia, mentre stava giocando con i fiammiferi ha bruciato un piccolo tappeto. In quell’istante, mentre cercava di nascondere le tracce del delitto, ha sentito ‘lo sguardo di Dio all’interno della sua testa e sulle sue mani’. Era ‘orribilmente visibile’ agli occhi di quel Dio. Sartre si è infuriato contro tale ‘indiscrezione’  e ha bestemmiato e da allora, racconta: ‘Dio non mi ha più guardato’. Non c’è da meravigliarsi se qualcuno è diventato ateo! Uno sguardo onnipresente di questa aggressività è insostenibile, è diabolico! Non è affatto questo lo sguardo di Dio nei Vangeli. Gesù guarda l’uomo e il suo sguardo creatore effonde in lui la bellezza originaria e originale di Dio. Lo sguardo di Gesù restaura l’immagine ferita di Dio. Se il cuore è pronto, basta solo uno sguardo d’amore per risorgere. Quando qualcuno ci avvolge con uno sguardo caldo, la nostra vita è visitata, siamo improvvisamente strappati dall’anonimato e dalla solitudine esistenziale. Gesù ascolta, accoglie e ama con i suoi occhi. Lo sguardo di Gesù trasmette, guarda dentro e ama; così nell’episodio del giovane ricco: ‘Gesù lo guardò dentro e lo amò’. (Marco 10,21)”. (Z. Robert Cheaib, Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana).

Quale occasione migliore della Quaresima per ritrovare lo sguardo di Dio su di noi, sulla vita, sul mondo? Impareremo che niente è profano quaggiù per chi sa guardare... E quale occasione migliore del nostro cammino quaresimale che ci condurrà proprio sulla necessaria strada di nuovi sguardi su Dio, sulla Bibbia, sul matrimonio, sul prossimo?
Auguro a ciascuno, con Alessandro Pronzato, che questa sia una Quaresima nella quale ogni mattina purificare il nostro sguardo.

È necessario, ogni mattina purificare il nostro sguardo. Si tratta, infatti, di :

Si, soltanto se acquistiamo uno sguardo purificato, le pietre cominceranno a cadere dalle nostre mani.”

don Mauro

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AVVISI - 25 FEBBRAIO 2024

RITORNARE A DIO

Abbiamo iniziato il cammino della Quaresima. La Quaresima è un viaggio di ritorno a Dio. Quante volte, indaffarati o indifferenti, gli abbiamo detto: “Signore, verrò da Te dopo, aspetta...oggi non posso, ma domani comincerò a pregare e a fare qualcosa per gli altri”. E così un giorno dopo l’altro. Ora Dio fa appello al nostro cuore. Nella vita avremo sempre cose da fare e avremo scuse da presentare, ma amici, fratelli e sorelle, oggi è tempo di ritornare a Dio. “Ritornate a me con tutto il cuore”. La Quaresima è un viaggio che coinvolge tutta la nostra vita, tutto noi stessi. E’ il tempo per verificare le strade che stiamo percorrendo, per ritrovare la via che ci riporta a casa, per riscoprire il legame fondamentale con Dio, da cui tutto dipende. La Quaresima non è una raccolta di fioretti, è discernere dove è orientato il cuore. Questo è il centro della Quaresima: dove è orientato il mio cuore? Proviamo a chiederci: dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io? Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto e così via?  Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio? Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore dalle doppiezze e dalle falsità che lo incatenano?
Il viaggio della Quaresima è un esodo dalla schiavitù alla libertà. Sono quaranta giorni che ricordano i quarant’anni in cui il popolo di Dio viaggiò nel deserto per tornare alla terra delle origini. Ma quanto fu difficile lasciare l’Egitto! Anche per noi è così: il viaggio di ritorno a Dio è ostacolato dai nostri malsani attaccamenti, è trattenuto dai lacci seducenti dei vizi, dalle false sicurezze dei soldi e dell’apparire, dal lamento vittimista che paralizza. Per camminare bisogna smascherare queste illusioni.
Ma ci domandiamo: come procedere nel cammino verso Dio? Ci aiutano i viaggi di ritorno che la Parola di Dio ci racconta. Guardiamo al figlio prodigo e capiamo che pure per noi è tempo di ritornare al Padre. Come quel figlio, anche noi abbiamo dimenticato il profumo di casa, abbiamo dilapidato beni preziosi per cose da poco e siamo rimasti con le mani vuote e il cuore scontento. Siamo caduti: siamo figli che cadono in continuazione, siamo come i bimbi piccoli che provano a camminare ma vanno in terra, e hanno bisogno di essere rialzati ogni volta dal papà. È il perdono del Padre che ci rimette sempre in piedi: il perdono di Dio, la Confessione, è il primo passo del nostro viaggio di ritorno.
Poi abbiamo bisogno di ritornare a Gesù , di fare come quel lebbroso risanato che tornò a ringraziarlo. In dieci erano stati guariti, ma lui solo fu anche salvato, perché era tornato da Gesù. Tutti, abbiamo delle malattie spirituali, da soli non possiamo guarirle; tutti abbiamo dei vizi radicati, da soli non possiamo estirparli; tutti abbiamo delle paure che ci paralizzano, da soli non possiamo sconfiggerle.
Abbiamo bisogno di imitare il lebbroso, che tornò da Gesù e si buttò ai suoi piedi. Ci serve la guarigione di Gesù, serve mettergli davanti le nostre ferite e dirgli: “Gesù, sono qui davanti a Te, con il mio peccato, con le mie miserie. Tu sei il medico, Tu puoi liberarmi. Guarisci il mio cuore”.
Ancora: la Parola di Dio ci chiede di ritornare al Padre, ci chiede di ritornare a Gesù, e siamo chiamati a ritornare allo Spirito Santo. La cenere sul capo, che abbiamo ricevuto, ci ricorda che siamo polvere e in polvere torneremo. Ma su questa polvere Dio ha soffiato il suo Spirito di vita. Allora non possiamo vivere inseguendo la polvere, andando dietro a cose che oggi ci sono e domani svaniscono. Torniamo allo Spirito, Datore di vita torniamo al Fuoco che fa risorgere le nostre ceneri, a quel Fuoco che ci insegna ad amare.
Amici, fratelli e sorelle, questo nostro viaggio di ritorno a Dio è possibile solo perché c’è stato il suo viaggio di andata verso di noi. Altrimenti non sarebbe stato possibile. Prima che noi andassimo da Lui, Lui è sceso verso di noi. Ci ha preceduti, ci è venuto incontro. Per noi è sceso più in basso di quanto potevamo immaginare: si è fatto peccato, si è fatto morte.
Ecco allora che  la supplica dell’Apostolo Paolo: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20) deve diventare nostra. Lasciatevi riconciliare, il cammino non si basa sulle nostre forze; nessuno può riconciliarsi con Dio con le proprie forze. La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio. A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere.
Ci salva la grazia, la salvezza è pura grazia, pura gratuità. Gesù nel Vangelo ce lo ha detto chiaramente: a renderci giusti non è la giustizia che pratichiamo davanti agli uomini, ma la relazione sincera col Padre. L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia bisognosi della sua grazia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà. Io mi sento bisognoso o mi sento autosufficiente?
La Quaresima è una discesa umile dentro di noi e verso gli altri. È capire che la salvezza non è una scalata per la gloria, ma un abbassamento per amore. È farci piccoli. In questo cammino per non perdere la rotta, mettiamoci davanti alla croce di Gesù: è la cattedra silenziosa di Dio.

Ora che ci è venuto incontro, ci invita a ritornare a Lui, per ritrovare la gioia di essere amati.

don Mauro

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AVVISI - 18 FEBBRAIO 2024

IL GIGANTESCO SEGRETO DEI CRISTIANI

Ci sono le stagioni dell’anno e le stagioni vita. E ci sono le stagioni liturgiche. La Chiesa, splendida madre, grande maestra ed educatrice, ci dona la stagione liturgica della Quaresima, ci invita ogni anno alla Quaresima come luogo in cui vivere la realtà di un incontro, di una conoscenza, di una accoglienza più vera di Gesù Cristo e del suo Vangelo.  Sì perché la Quaresima va vista anzitutto come una Buona Notizia, come uno straordinario Vangelo, come un grande annuncio di vita, di speranza, di possibilità concreta di cambiare la nostra vita: al centro della Quaresima sta Dio e la sua misericordia, sta la Pasqua di Gesù.
Per questo la Quaresima è una vicenda di conversione. E’ la vicenda di un cristiano e di una comunità che si lasciano educare, “lacerare”, consolare, trasformare da una Parola che salva, da un Crocifisso Risorto. Sarà una buona Quaresima se riusciremo ad innamorarci un po’ di più del volto e del cuore di Gesù di Nazareth. Così, affascinati dalla sua vicenda, dai suoi gesti, dalle sue parole, dovremmo poter dire: vorrei essere anch’io così, sentire così, agire così, essere libero così, pregare, amare, perdonare così. Sarà una buona Quaresima  se riusciremo a vivere all’insegna del deserto, della gioia, della fraternità.
IL DESERTO. Gli innamorati lo sognano, lo desiderano, lo cercano. È il tempo dello stare a tu per tu, il tempo del cuore a cuore: “Ecco l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” ( Osea 2,16). Sono le parole dell’amante alla sua amata, sono il desiderio potente e dolce dell’intimità, dello stare a tu per tu. Sono le parole che il nostro Signore – come un tempo con Israele – ci sussurra in Quaresima. E Dio, come l’amore – e Dio è amore – non lascia mai le persone come le ha trovate: le illumina, le ispira, le consola, le trasforma, le trasfigura: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ezechiele 36,26). È questo il più grande miracolo che la tenerezza e la forza di Dio sanno inventare. Ed è solo questo cuore nuovo, questo cuore di carne che ci dona occhi nuovi per saper scorgere anche nella durezza della vita di ciascuno di noi e nella storia del mondo bagliori di bellezza e di speranza e che ci dona mani instancabili nella carità. Quaresima: tempo del “deserto”, del fare un po’ di spazio nella nostra vita al silenzio, alla preghiera, al prendere o riprendere fra le mani il Vangelo, alla scoperta del vero volto di Gesù di Nazareth, del senso e del segreto della nostra vita.
LA GIOIA. C’è una tradizione ebraica che invita a tenere in due tasche diverse di un abito due diversi bigliettini. Sul primo sta scritto: Ricordati che sei polvere e cenere”. Sul secondo sta scritto: “Ricordati che per te è stato fatto il mondo”. Così è la Quaresima che si apre con un pizzico di cenere versata sulla nostra testa per richiamarci alla caducità e alla fragilità della vita e che insieme ci richiama allo splendore dei doni di Dio e a quale grandezza è chiamato il nostro vivere. La Quaresima è questo cammino verso l’Altro che è Dio, e verso gli altri che stanno vicino e lontano da noi. Per questo la cenere che ci è versata sul capo è accompagnata da un caldo e potente invito a fondare la nostra vita sul Vangelo e a vivere in pienezza: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Una vita fondata sul Vangelo sconfiggerà la “cenere”  e darà risposta alla nostra ricerca di gioia. La gioia è scritta nei sogni di Dio per l’uomo, è scritta in ogni riga del Vangelo e in tutto ciò a cui ci invita. E’ il “centuplo quaggiù” che ci è promesso. Per questo noi ci sottoponiamo alla Quaresima “mirando alla gioia” : perché siamo certi che il segreto della gioia sta nel donare e nel donarsi e perché “la vita donata non muore”. Quaresima: tempo per ritrovare la gioia, la gioia del Vangelo, la gioia di essere cristiani, la gioia di vivere. Nella conversione al Vangelo.
LA FRATERNITA’. Terribili le parole del filosofo Voltaire che così apostrofava i preti: “A chi predicate la Quaresima, ai ricchi? Ma se non la fanno mai! ... Ai poveri? Ma se la fanno tutto l’anno! ...”. La Quaresima è tempo di fraternità. È il tempo dell’imparare a contrastare la cultura del consumismo, del superfluo con nuovi stili di vita all’insegna della sobrietà e della solidarietà, come più volte ci ha richiamato il cardinale Dionigi Tettamanzi: “Soltanto una vita sobria, in ricerca della ‘giusta misura’ in ogni cosa, capace di ‘stili di vita’ rinnovati, liberi dalla logica dello spreco e dell’eccesso, sa creare gli spazi per una vera solidarietà, per una accoglienza dell’altro ‘come se stessi’”. Così va visto l’invito della Quaresima alla conversione, al digiuno, al magro del venerdì, perché il risultato di certi digiuni non sia solo l’avere fame...  Quello con Dio in Quaresima è un incontro che “sconvolge” capovolge, converte:  “Quella dei poveri, come quella di Dio è un’esistente scomodante. Sarebbe meglio che Dio non fosse, sarebbe meglio che i poveri non fossero; poiché se Dio c’è la mia vita non può essere la vita che conduco; se ci sono i poveri, la mia vita non può essere la vita che conduco”. ( don Primo Mazzolari )

Ma questa è la Quaresima. Questo è la vita cristiana.

don Mauro

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AVVISI - 11 FEBBRAIO 2024

SORPRESI E ABITATI DALLA GIOIA DEL VANGELO

Il cristianesimo è proprio questo: un Vangelo, una buona notizia, un grande messaggio di gioia e di speranza. Non per nulla il primo miracolo di Gesù è stato il miracolo di Cana: un miracolo gratuito, apparentemente “inutile”, con un solo grande fine: portare gioia. Il cristianesimo è la splendida promessa per chi vive alla sequela di Gesù di Nazareth del “centuplo quaggiù” in libertà, in gioia, in fraternità, in speranza, in umanità, in profondità. Ed è una meraviglia scoprire cristiani felici. Felici di esserlo. Felici di raccontarlo. Cristiani che sanno testimoniare nell’ordinarietà quotidiana che credere e vivere ciò che si crede fa fiorire l’umano.

Anche se la vita spesso ci segna, ci ferisce, ci violenta con una malattia, con la morte di chi ci ama e amiamo, con brucianti ingiustizie, con un tradimento, un abbandono, con la perdita del lavoro, la difficoltà a trovare casa, a tirar su i figli. Anche se spesso abbiamo occhi velati di lacrime, con i tanti perché che rimangono senza una risposta e spesso ci si sente portar via il cuore... la fede – l’ho visto e sperimentato in tante persone – è forza e speranza inesauribile, è coraggio nel ricominciare. Perché credere non è solo credere, annunciare, attendere un’altra vita, ma vivere una vita “trasfigurata” oggi come è testimoniato in queste righe:

“La gioia è contagiosa, proprio come il dolore. Ho un amico che irradia gioia, non perché la sua vita sia facile, ma perché egli è solito riconoscere la presenza di Dio in mezzo a ogni umana sofferenza, la propria come quella degli altri. Dovunque vada, chiunque incontri, è capace di vedere e udire qualcosa di positivo, qualcosa per cui essere grato. Non nega la grande sofferenza che lo circonda né è cieco o sordo alle voci e ai sospiri di angoscia degli altri esseri umani, ma il suo spirito gravita verso la luce nelle tenebre, e verso la preghiera in mezzo alle grida di disperazione. Il suo sguardo è dolce e la sua voce è pacata. Non vi è nulla di sentimentale in lui. Egli è realistico, ma la sua profonda fede gli consente di sapere che la speranza è più vera della sfiducia, e l’amore più vero della paura.

La gioia del mio amico è contagiosa. Più so con lui, più colgo i bagliori del sole che risplende dietro le nuvole. Coloro che continuano a parlare del sole mentre camminano sotto un cielo nuvoloso sono messaggeri di speranza, i veri santi del nostro tempo”. (Henri J.M. Nouwen, Vivere nello Spirito).

Nessun cristiano può chiudere gli occhi e il cuore di fronte all’ingiustizia, all’infelicità, al dolore, ai bisogni degli altri, perché ogni cristiano è chiamato concretamente a vivere secondo il Vangelo, a vivere alla luce delle prime righe della costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II:

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

I cristiani sono chiamati a essere “incarnati” e “vulnerabili” perché hanno cura degli altri, perché hanno a cuore il mondo, a essere appassionati, con uno sguardo a 360° dalla parrocchia alla città, dalla politica all’economia, dall’oratorio alla scuola, dalla casa al lavoro, dal condominio al quartiere... a essere affidabili punti luce, punti speranza come si narra qui:

“in un villaggio islamico del Libano, un piccolo gruppo di persone divenne cristiano. Immediatamente si chiusero per loro tutte le porte della comunità. Gli uomini non potevano più stare con gli altri uomini in piazza e le donne non potevano più attingere acqua alla fontana del villaggio. I nuovi cristiani furono costretti a scavarsi una fontana per conto loro. Un giorno la fontana del villaggio si inaridì e si seccò. Allora i cristiani invitarono i loro compaesani a venire ad attingere acqua alla loro fontana. Fecero di più. Sulle loro case appesero un cartello che diceva: ‘Qui abitano dei cristiani’. Ciascuno sapeva così che in quella casa avrebbe trovato un aiuto e una mano tesa”.

La dove c’è un’assenza, un’assenza di gioia, di tenerezza, di speranza, di salute... i cristiani sono chiamati a essere presenza. Sono straordinarie la fede, la speranza, la carità. Non si arrendono, sono testarde, sono vitali, sono ricche di fantasia. Ci sorprendono, ci fanno arrivare all’impossibile...

don Mauro

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AVVISI - 4 FEBBRAIO 2024

PERCHÉ HA AMATO MOLTO

“Staffa è il nome del più leggero e piccolo osso del corpo umano. Sta nell’orecchio e dalla sua cavità passa il sonoro. Altri ossicini accanto hanno nomi di arnesi: incudine, martello. L’ascolto è più officina che sala da concerto. Poi il suono attraversa una serpentina di nome labirinto, trova l’uscita e arriva al cervello, fine della corsa. L’ascolto è un’onda che non torna indietro”. (Erri De Luca, La musica provata).

È come se ciò che ascolti non volesse lasciarti più, come se volesse far parte di te e arrivare per strade misteriose al cuore e trasformarlo... Sarebbe bellissimo se capitasse così con le parole evangeliche che ascoltiamo la domenica alla Messa!  Oggi, Domenica 4 febbraio, penultima domenica dopo l’Epifania, domenica detta della “Divina clemenza”, la liturgia ci regala un brano dei vangelo mozzafiato, un brano tenerissimo, spiazzante. Une di quei brani che andrebbe ascoltato, letto, riletto, rimuginato. Ci parla di Gesù, il Maestro. Lui che per noi cristiani è il Volto di Dio, che ama il profumo e le carezze di una donna peccatrice. E’ un brano che mi commuove da sempre.

Basta immaginare lo smarrimento, lo sconvolgimento, gli sguardi, i gesti, i silenzi, le parole; ancora una volta Gesù ci sconcerta, ci spiazza, ci scandalizza. L’Evangelista Luca, cantore della tenerezza e della misericordia divina, invita anche noi ad entrare nella casa di Simone, ad assistere ad uno “straordinario spettacolo” in cui ci viene narrata e celebrata la potenza dell’amore e delle lacrime di una donna peccatrice e insieme la potenza dell’amore di Dio, di Gesù di Nazareth che brucia e spiazza via tutta la miseria dei peccati di questa donna. E lei, la peccatrice, l’emarginata, l’esclusa dal mondo sociale e dal sistema religioso che irrompe sulla scena. Non ha un nome. Porta con sé solo le sue lacrime, il suo profumo, la sua tenerezza, la sua smisurata fiducia in Gesù, la sua temerarietà e la sua audacia che la fanno capace di correre ogni rischio per l’amato Gesù. Non rispetta le regole, infrange ogni norma, si addentra nel proibito. Usa il linguaggio delle lacrime e del corpo, un linguaggio più potente delle parole... baciare i piedi di Gesù, bagnarli con le sue lacrime, asciugarli con i suoi capelli e ungerli con il suo profumo. Gesti audaci e proibiti secondo la logica della legge, non secondo la logica della tenerezza, una tenerezza che sconfina.

Di fronte a tutto questo Simone, il fariseo, il benpensante, l’intransigente, non può no provare disagio e disprezzo, non riesce a non emettere una condanna.

Gesù invece accoglie la donna con tutta la sua tenerezza e la sua audacia, accetta le sue carezze e il suo profumo, loda questi gesti, la perdona e le restituisce la pace... Perché ha amato molto... Una condanna come quella di Simone ti inchioda al passato, senza nessuna possibilità di cambiamento. Gesù invece con il suo perdono e la sua squisita dolcezza ridanno alla donna il futuro e la speranza, è la potenza dello sguardo di Gesù che – a differenza di Simone – non vede solo una peccatrice, ma soprattutto una donna da amare. Gesù invita Simone ad avere lo sguardo di Dio, uno sguardo che avrebbe guarito anche il suo cuore dall’orgoglio.

“Noi come guardiamo? Con gli occhi della legge o con gli occhi dell’amore? Gli occhi della legge registrano i fatti, ma non registrano ciò che avviene nel cuore. Gli occhi dell’amore anch’essi registrano i fatti, ma sono capaci andare oltre o, se volete, vanno dentro e leggono le ragioni del cuore, gli itinerari del cuore, le svolte improvvise del cuore” (don Angelo Casati).

Quello sguardo di Gesù oggi è rivolto a ciascuno di noi, così come siamo, con tutte le nostre fragilità. Uno sguardo che ci può rialzare e ridare fiato e speranza. Siamo stati felicemente e nuovamente trascinati dall’evangelista Luca a guardare a Gesù, al suo stile così insolito, così eccedente, così paradossale. Occorre tornare spesso e sempre alle “poche” pagine evangeliche. Sono davvero poche in confronto con altre  opere monumentali, ma proprio lì sta nascosto il segreto di Gesù, il segreto del volto e del cuore di Dio. Ogni pagina è uno “scandalo”, un paradosso per la nostra ragione, una stella per la nostra vita.

“Strano libro il Vangelo: non si può leggerlo fino in fondo e per quanto tu lo legga, ti sembra sempre di non aver finito di leggerlo, o che tu stesso abbia dimenticato o non compreso qualcosa; lo rileggi: lo stesso; e così via senza fine. Come il cielo notturno: quanto più lo si guarda, tante più stelle vi si scoprono”.

In un tempo di fondamentalismi e integralismi così poco umani e così poco divini, la strada che dovremmo percorrere è quella di farci scandalizzare dall’uomo libero per eccellenza, Gesù. “Mangia il Vangelo”, dicevano i monaci, “Impara da Dio chi è Dio”.

don Mauro

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AVVISI - 28 GENNAIO 2024

DIO E LE PENTOLE

Febbraio: quando la “normalità” del quotidiano, dopo le feste natalizie, ci raggiunga quasi come un morso e tutto sembra scorrere via in giorni apparentemente uguali dove a volte sembra vincere il grigio... nelle relazioni, negli affetti, nei sogni, nella preghiera, nella celebrazione della Messa... Come possiamo illuminare e profumare il nostro vivere quotidiano
Un primo suggerimento ce lo regala Anselm Grun, teologo e monaco benedettino che ha scritto così nel suo interessante libro “Terapia dei pensieri”.
“I pensieri esercitano un influsso significativo sulla nostra mente, sulla nostra disposizione d’animo e sulle nostre azioni... I primi pensieri che si hanno al momento del risveglio ci influenzano tutta la giornata... I pensieri negativi mi sottraggono l’energia, mi fanno vedere la giornata attraverso degli occhiali scuri. Se ci osserviamo attentamente, scopriamo che viviamo costantemente di alcune frasi che ci ripetiamo o che, in determinate situazioni, ci passano autenticamente per la testa... Non è privo di importanza quali frasi ci ripetiamo.
Alcune ci bloccano, ci tengono prigionieri del cattivo umore, dell’autocommiserazione e della rabbia. Altre ci donano forza, coraggio, slancio interiore, disponibilità ad affrontare situazioni difficili. Di solito è una frase della Bibbia quella che i monaci hanno pronta per antidoto... Ognuno di noi dovrebbe esaminare la Bibbia alla ricerca di simili parole di salvezza...”
Grun afferma che chi vuole operare dei sei cambiamenti nella propria vita deve avere il coraggio di andare alla radice dei propri pensieri, dei propri stati d’animo. Come già facevano gli antichi padri del deserto: è alla loro sapienza che attinge per la sua terapia dei pensieri. Quella dei monaci non è una tecnica magica a buon mercato. Loro non si fermano a ripetere parole, agiscono in base a quelle parole. Ci scommettono con audacia, fiduciosi. Perché le nostre parole, i nostri pensieri sono la nostra vita o sono la nostra malattia. Occorre far nascere in noi pensieri che ci risanino, che ci aprano a Dio e ci conducano alla nostra autentica natura. E il nostro quotidiano si illuminerà e si aprirà a nuove prospettive, finalmente positive.
Un altro suggerimento sta nella splendida intuizione di santa Teresa d’Avila che, rivolgendosi alle altre suore, aveva detto: “Sorelle ricordatevi, Dio va fra le pentole, in cucina!” Dio non è lontano. Il nostro è un Dio che ci dice: Io sono. Io sono qui. Io sono qui con te. Io ti abito. Io sono qui per te. Io sono qui per te. Ti custodisco come pupilla degli occhi. Ti prendo per mano. Non temere. Non lasciarti cadere le braccia. Cammina, io ti porto. Non lasciarti schiacciare dal fardello del passato e del presente, dalla paura del futuro. Vivi il presente e sentilo come il luogo della mia presenza e il luogo della tua libertà.
“Non temere perché io sono con te; non smarrirti perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e ti vengo in aiuto: Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico ‘Non temere!’ Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Tu sei prezioso ai miei occhi”. (Isaia cap. 41 e 43).
“Non temere!... nella Bibbia questa espressione è presente 365 volte... una per ogni giorno dell’anno! E il nostro quotidiano si illuminerà perché abitato e sorretto dalla presenza di Dio e del suo Spirito.
Quando c’è un dolore, quando c’è una festa, le nostre porte si aprono alla condivisione, senza timore, nel desiderio di un abbraccio, di una stretta di mano, di un sorriso, di un aiuto... Che meraviglia se le nostre case, la nostra vita fosse così anche nella normalità del quotidiano! La vita è così bella quando è tessuta da mani che si stringono, da mani strette le une nelle altre. Già nella prime pagine della Bibbia stava scritto il sogno di Dio su di noi: “Non è bene che l’uomo dia solo”. Un sogno che può essere reso reale percorrendo la strada per diventare uomini adulti così descritta da Erik Erikson: “Esiste un solo tipo di uomo, veramente adulto: è la persona che ha cura di sé, dell’altro e dell’ambiente, in una parola: l’uomo solidale”.
Nasciamo, rinasciamo ogni volta che ci prendiamo cura dell’altro, che amiamo e ci lasciamo amare dall’altro. Perché se è vero che nessuno è così legato come chi ama, è altrettanto vero che nessuno è così libero e felice come chi ama. Ogni giorno dovremmo chiederci: Per chi sono tutti i nostri passi e gli affanni di questa giornata? Per chi vivo? Si può vivere solo per qualcuno. Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome. E ripeti il nome di Dio, Padre, il nome che contiene tutti gli altri nomi. Avrai una giornata più “leggera”.

don Mauro

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