AVVISI - 24 SETTEMBRE 2023

LA MACINA E LA CETRA

“Veit Bach, un fornaio residente in Ungheria, fu costretto ad abbandonare il paese per salvaguardare la propria fede. Si stabilì a Wechmar dove riprese a esercitare il suo mestiere. Era affezionato a una piccola cetra che portava con sé al mulino per suonare, mentre la macina era in movimento. Concerto meraviglioso! In tal modo imparò ad andare a tempo. Così, più o meno, è cominciata la musica nella famiglia Bach”. In questo modo, quasi scherzoso, Johann Sebastian Bach inizia un suo scritto sulle origini della famiglia musicale Bach. La macina la conosciamo anche troppo. E non è difficile richiamarla alla memoria: la macina del lavoro quotidiano, la macina delle preoccupazioni, la macina dell’angoscia, la macina dei vicini, la macina degli altri, la macina dell’usura, la macina della notte, la macina della fatica e del pane, la macina che tritura, ma che deve triturare affinchè il tegumento del grano, la crusca e la farina possano essere separati, offerti, consumati! E la cetra? La cetra del canto, la cetra della musica e del sogno, della melodia, della nostalgia, dell’utopia ...la cetra del desiderio. Sono necessarie entrambe: la macina senza la cetra è qualcosa di troppo pesante. La cetra senza la macina è qualcosa di troppo leggero. La macina e la cetra.

Nella vita di un uomo forse sono possibili soltanto due cetre: il culto di sé o la preghiera. Nel suo mulino Bach girava la macina, il cui ritmo instancabile scandiva l’incarnazione del lavoro quotidiano e del pane di ogni giorno. Ma aveva con sé la sua cetra. Questa cetra gli era necessaria per ripetersi che la lotta di ogni giorno, che l’incarnazione non avrebbero alcun senso se non producessero una melodia: la melodia dell’anima che prega, che loda, che adora. Non ci è possibile fare a meno della macina: tutti sappiamo benissimo che è sempre presente. Nessuno vi sfugge. Ma disgraziato colui che credesse di poter fare a meno della cetra. Questo è l’inizio di ogni cosa: la macina e la cetra”. (Bernard Bro)

Amo questo racconto e sono felice di condividerlo con voi. Macina e cetra: preghiera e lavoro, amore e paura, gioia e dolore, forza e debolezza che si intrecciano, si intersecano. Qui Dio e l’uomo si incontrano, ora in un abbraccio, ora in una lotta corpo a corpo. Spero che ciascuno di noi possa scoprire sempre più intensamente la melodia della cetra, della preghiera.

Una melodia appartenuta prima di ogni altro a Gesù di Nazareth che nei Vangeli viene sempre descritto come “assediato” da tanta gente da ascoltare, da aiutare, da guarire e insieme assiduamente impegnato a cercare momenti di solitudine per incontrarsi con suo Padre che lui chiama confidenzialmente e teneramente “Abbà ...papà. Nelle pagine evangeliche lo scopriamo capace di mettere meravigliosamente insieme azione e contemplazione: proprio perché è sempre vicino al Padre può essere vicino a tutti, capace di farsi servo di tutti perché prima e sempre servo di Dio. La preghiera era il suo segreto. E il segreto di tanti che nella storia hanno fatto grandi cose. Può diventare il nostro segreto, la nostra forza, la nostra sorgente. Possiamo cominciare a pregare con il Vangelo fra le mani. Ecco uno splendido suggerimento tratto dal libro “Vivere lo Spirito” di Henri J.M. Nouwen (1932-1996), una delle figure spirituali che più hanno inciso sulla mia vita di prete. “La contemplazione quotidiana del Vangelo e la ripetizione attenta di una preghiera possono influenzare profondamente la nostra vita interiore. La nostra vita interiore è come uno spazio santo che deve essere tenuto con cura e decorato in modo appropriato. Dopo aver trascorso alcune settimane ripetendo lentamente le parole di Paolo l’amore è paziente e benigno; l’amore non è invidioso; l’amore non cerca il proprio vantaggio, queste parole cominciarono ad apparire sulle pareti della mia dimora interiore un po’ come un certificato di laura nello studio di un medico. Col passare degli anni molti nuovi quadri sono apparsi sulle pareti della mia dimora interiore. Alcuni rappresentano delle parole, altre dei gesti di benedizione, di perdono, di riconciliazione e di guarigione. Molti rappresentano dei volti: i volti di Gesù e di Maria, i volti di Teresa di Lisieux e di Charles di Foucauld ... È molto importante che la nostra dimora interiore abbia dei quadri alle pareti, quadri che consentono a coloro che entrano nella nostra vita di avere qualcosa da guardare, che dica loro dove sono e dove sono invitati ad entrare. Senza preghiera e senza contemplazione le pareti della nostra dimora interiore resteranno povere e pochi ne saranno ispirati”. La preghiera sa compiere miracoli inaspettati ... Quando un cristiano prega sul serio, si ritrova un cuore cambiato... Quando un cristiano prega sul serio, impara il “come”, questa piccolissima parola che risuona nelle pagine evangeliche: “siate misericordiosi come il Padre...Amatevi come io vi ho amato”. Quando un cristiano prega sul serio, impara a decentrarsi, impara a dire “tu”, a dire “noi”, impara la tenerezza, la misericordia, la gratuità, la carità, trova strade impensate. Quando un cristiano prega sul serio, vede meglio, comprende meglio, si trova con idee e giudizi che cambiano. Fa così papa Francesco, uomo abitato dal Vangelo ... e per questo è così tanto amato. E da qualcuno temuto...

don Mauro

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AVVISI - 17 SETTEMBRE 2023

 

SCIOGLIERSI

Dopo la sosta estiva eccoci di nuovo anno pastorale con tutta la sua bellezza di proposte, di impegni, di “sfide” evangeliche che ci chiamano di nuovo al rinnovamento personale e al rinnovamento della nostra Comunità pastorale. Gli esperti dicono che prima di una attività fisica è bene sciogliere il corpo, sciogliere i muscoli, per rendere le articolazioni più flessibili, per prevenire rischi e infortuni, per creare le condizioni ideali per una performance ottimale. E qui siamo di fronte a ben più di una attività fisica. Per questo propongo a me e a ciascuno alcune “strategie per sciogliersi”.

Dal senso comune al senso evangelico.
Un monaco diceva che pregare è sciogliersi... La vita ci pone sempre davanti scelte a volte bellissime e a volte complesse sia a livello personale che sociale, ma a un cristiano non basta il senso comune, il buon senso ... a ogni cristiano è chiesto di vivere la vita alla luce del Vangelo, alla scuola di Gesù, Maestro e Signore. Per questo occorre dare tempo alla preghiera che è una specie di feritoia aperta attraverso la quale possiamo intravedere orizzonti inediti, possibilità nascoste, ritrovare forza, speranza e sciogliere le nostre durezze, le nostre chiusure. “Occorre sentir battere il cuore del mondo all’interno del cuore di Dio, come in una cassa di risonanza. Quando si appoggia il proprio orecchio sul petto di Gesù, si percepiscono in modo assolutamente diretto gli s.o.s di tutti gli uomini che attraversano il cuore di Dio prima di raggiungere i nostri orecchi”. (Daniel Ange)

Dall’Io al Tu al Noi a Tutti. “Amare”
è il comandamento evangelico, l’amore è il centro e il cuore da cui tutto parte, amare è il fulcro dell’etica cristiana. Sull’amore si gioca la fede cristiana, ma l’amore è lo scoglio contro cui sbatte il nostro io, un io spesso gonfiato, incapace di vedere gli altri e il loro vero volto, incapace di vedere e accogliere il tu, il noi, il tutti. Eppure se davvero credessimo all’amore, se davvero credessimo alla straordinaria bellezza e alla straordinaria potenza dell’amore e del passaggio dall’io al noi al tutti, saremmo sicuramente più felici e avremmo un mondo, una Chiesa, una Comunità pastorale più bella.

Al riguardo mi sono lasciato incuriosire dall’ ubuntu, l’etica di origine sudafricana che si focalizza sulle relazioni tra le persone: “Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo. Io sono perché noi siamo. Ciò che faccio di bene o di male all’altro ricade su tutti”.

L’ubuntu
è una spinta ideale verso l’umanità intera, un desiderio di pace che esorta a sostenersi e ad aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza di diritti e doveri. Questa è la strada da intraprendere sempre e nuovamente come Comunità pastorale, come sacerdoti. Val la pena chiederci quanto cuore, quanto tempo, quanta generosità concreta racconta la nostra vita cristiana. So che è un cammino difficile, denso di difficoltà, ma anche aperto a mille felici possibilità.

Dal pensiero chiuso al pensiero aperto.
Papa Francesco con l’insistenza dell’amore continua ad invitarci ad alcuni modi di vivere e pensare, richiamandoci ad avere sempre inquietudine, incompletezza e immaginazione. Perché solo l’inquietudine dà pace al cuore e sa farci consapevoli delle ferite di questo mondo e poterne individuare le giuste terapie. Perché chi sa di essere incompleto ha in dono un pensiero aperto e non chiuso o rigido. Ci dice che chi si fa guidare dallo spirito profetico del Vangelo sa avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia. Perché chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore. “Il ‘pensiero incompleto’ è un pensiero che non si chiude, che non alza muri alla riflessione: è un pensiero che pone sfide al dialogo. Non è definitivo, statico o coercitivo. È invece curioso, aperto, creativo, alla ricerca inquieta”. (papa Francesco)

Penso possa essere questo il cammino di ognuno  della nostra Comunità ...!

don Mauro

 

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AVVISI - 10 SETTEMBRE 2023

IDENTITÀ: VIAGGIO E INCONTRO

Rosanna Virgili, una affermata biblista; nel suo libro – un gioiello -  “Qual è il tuo nome? Alla ricerca della propria identità”, scrive: “L’identità ha perduto le sue mura difensive ... Identità ben protette hanno indebolito, impoverito, persino fatto scomparire popoli un tempo grandi... Dare spazio all’altro riduce il mio spazio, comprimendo così la mia individualità? Sono tutte domande che sorgono, si moltiplicano e si mostrano urgenti... Il messaggio che esce dalle pagine di grandi autori e agiografi e delle loro ideali conversazioni dona molta luce per vivere l’identità non come un dato assoluto da conservare al sicuro, ma come una ricerca, una strada, un esodo e una decisione. Farà comprendere che nessuna identità può esistere a prescindere dalla relazione con l’altro/a e che l’umano è un volto spirituale tessuto dello sguardo di mille altri”.
Siamo in un tempo del “noi” contro “loro”, dell’io contro l’altro. Un tempo di confini, di muri. Un tempo di aggressività e difesa. Sintomo di fragilità e di paura. Un tempo di chiusure e vista corta. Un tempo in cui si può, si deve imparare uno sguardo nuovo sull’altro. Un tempo di sfida e invito per tutti, per ogni persona, per ogni gruppo sociale, per ogni cristiano, per le comunità cristiane, per la Chiesa intera. Così scriveva una trentina di anni fa padre Ernesto Balducci con parole profetiche che sembrano scritte oggi, per l’oggi.
“Ogni altro è un sacramento di Dio. Una persona altra da me è un segno di Colui che è totalmente Altro e se io cerco Dio passando sulla testa degli altri, sbaglio strada. Ogni volta che la diversità mi aggredisce, Dio è là che mi impone di superare il mio orizzonte”.
Quello a cui siamo chiamati allora è un viaggio, è un continuo andare verso, è una distanza da colmare, è l’andare oltre i confini perché l’altro non mi appartiene, l’altro è sempre sconosciuto, anche nell’amore più grande. E l’altro, con tutta la sua diversità, è una splendida ricchezza di cui non aver paura. Uscire da sé, mettersi in viaggio, è un principio che è alla radice di ogni incontro che non voglia trasformarsi in uno scontro. L’altro e io, per un incontro che trasformerà entrambi, siamo chiamati ad uscire, ad attraversare un confine. L’altro è qualcosa che “mi manca”, dal quale dunque non mi devo difendere, ma che dovrei  disperatamente cercare. Senza questo viaggio in uscita da sé, senza intraprendere coraggiosamente il “ mestiere della convivenza”, il vero rischio è la perdita di umanità, è la barbarie. E la perdita del messaggio evangelico. Per questo papa Francesco è instancabile nel richiamarci che: “ Dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale.
Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”.
Uscire... andare verso... essere perennemente in viaggio...Uomini e donne in viaggio alla ricerca di ciò che manca loro, di un’identità, quell’identità frutto di chi sei stato e sei, ma anche e soprattutto delle relazioni che ti costruiscono, dei dialoghi che intessi, della ricchezza e dello splendore che è l’altro. Un viaggio e una ricerca che non finiscono.

Siamo di fronte a un nuovo umanesimo, che ha fatto dire al premio Nobel Amartya Sen: “La principale speranza e armonia nel nostro tormentato mondo risiede nella pluralità delle nostre identità, che si intrecciano l’una con l’altra e sono refrattarie a divisioni drastiche lungo linee di confine invalicabili a cui non si può opporre resistenza”.
Un “nuovo umanesimo” così diverso e agli antipodi delle logiche sovraniste che paiono oggi vincenti (purtroppo anche fra molti cristiani!9, fondate sull’affermazione del primato assoluto della propria identità e sulla valutazione dei bisogni degli altri a partire esclusivamente dalla difesa dei propri interessi. In questo nuovo umanesimo i cristiani sono chiamati a vivere, per essere fedeli al Vangelo, da protagonisti :  lo stile che li deve contraddistinguere è lo stile del loro Maestro, Gesù di Nazareth.

don Mauro

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AVVISI - 3 SETTEMBRE 2023

RICOMINCIARE A SOGNARE

Settembre ha per molti il profumo di un capodanno carico di attese, di speranze, di impegni che si rinnovano, di desideri di cambiamento, di nuovi sogni che si fanno audacemente strada, come quelli di relazioni belle e autentiche, di cammini condivisi. Anche per me è così. E ricomincio a “sognare” ad occhi aperti... “Sogniamo una Chiesa che cammina. Da Gerusalemme verso la periferia. Sogniamo una Chiesa che si ferma davanti all’uomo ferito. Sogniamo una Chiesa che non si lascia sedurre dalla paura. Sogniamo una Chiesa meno prudente. Come lo fu il suo Maestro. Sogniamo una Chiesa che impari dai piccoli. Senza paura di piangere. E di ridere. Di morire. E di risorgere. Sogniamo una Chiesa che grida quando l’uomo grida. Che danza quando l’uomo danza. Sogniamo una Chiesa che sogna. Il sogno del suo Maestro”. (don Omar Valsecchi)

E se la Chiesa, come ci testimonia ogni giorno papa Francesco, è l’abbraccio di Dio al mondo, anche la nostra comunità pastorale è chiamata a diventare “schola amoris”, luogo di esperienza di fraternità dove essere amati , ascoltati, accolti, attesi e dove si impara a propria volta ad amare, ad ascoltare, ad accogliere, ad attendere, ad avere lo stile tanto caro al nostro Papa di “Chiesa in uscita”. Per imparare a questa “scuola” occorre tornare al nostro Maestro, occorre tornare al Vangelo: qui si respira a pieni polmoni la libertà, la misericordia, la speranza, la tenerezza, il perdono, la fraternità, l’accoglienza, la giustizia. E ogni volta di fronte al Vangelo si resta stupiti: non è un libro antico, superato ... piuttosto non lo abbiamo mai raggiunto. Ogni volta il Vangelo ci scompiglia la vita, le facili certezze, le incallite durezze. Ogni volta inquieta il nostro cuore a volte congelato e la nostra coscienza a volte troppo tranquilla e silenziosa. “La brace sotto la cenere è fuoco, basta che qualcuno con un piccolo ramo muova la cenere, ed ecco che il fuoco  arde nuovamente. Il Vangelo è questo fuoco sovente coperto dalla cenere della Chiesa e dei cristiani, ma se qualcuno rimuove la cenere, il Vangelo torna nuovamente a brillare. Noi ne siamo felici e per questo ringraziamo papa Francesco. (padre Enzo Bianchi)

Mi piace pensare che sia così anche per il Vangelo: chi raccoglie, custodisce, coltiva, fa crescere nella sua vita e nelle scelte di ogni giorno il seme evangelico gettato da Gesù, dà vita ai miracoli dell’oggi, porta luce, calore, bellezza. Fa fiorire l’umano, fa rifiorire la speranza. Se credessimo di più al Vangelo, se lo vivessimo di più, anche la nostra comunità pastorale acquisterebbe un nuovo meraviglioso volto. Ognuno dovrebbe imparare ad avere il proprio centro fuori di sé, invece spesso di fronte a Dio e all’altro uomo sperimentiamo soltanto la muraglia cinese del nostro io.

Imparare ad amare, imparare a stare in una comunità, imparare a costruirla non è per nulla facile ... è come essere piantati in un giardino con ogni specie di fiori, di piante. Ognuno con i suoi tempi di maturazione, di crescita, di fioritura, ognuno coi suoi colori, coi suoi frutti può dar vita a uno splendido giardino: Ed è a questo che invito ciascuno di voi. “Se vuoi che qualcuno costruisca una nave, fallo prima innamorare del mare”, recita un detto brasiliano: sono certo che Gesù e il suo Vangelo, il volto della Chiesa che ci regala papa Francesco sapranno farci innamorare!

Essere cristiani, testimoni di Cristo risorto oggi vuol dire proprio questo. Certi che la speranza vede l’invisibile, tocca l’intangibile, raggiunge l’impossibile. Direbbe Giorgio La Pira, il famoso sindaci di Firenze degli anni 50/60: “Sono un po’ sognatore? Forse: ma il cristianesimo tutto è un ‘sogno’ , il dolcissimo sogno di un Dio fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio!”.

don Mauro

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AVVISI - 25 GIUGNO 2023

PREGHIERA, INCONTRI, BELLEZZA, SOLIDARIETÀ

Anche Gesù sentiva di tanto in tanto la necessità e il desiderio di un po’ di pace, per questo con i suoi discepoli si ritirava in disparte sul lago, sui monti, gustando con loro un po’ di riposo. Anche in questo è nostro Maestro ... Con quel pizzico di calma in più tanto sognato, nelle prossime vacanze auguro a tutti il coraggio del silenzio, la luce degli incontri, uno sguardo di bellezza.
Il coraggio della preghiera. Non ho più dimenticato il racconto di mons. Angelo Comastri sul suo incontro con Madre Teresa di Calcutta: “La prima volta che la incontrai fui colpito dal suo sguardo: mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi lei mi chiese: ‘Quante ore preghi ogni giorno?’ Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: ‘ Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego? Madre Teresa mi prese le mani e le strinse fra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore, poi mi confidò: ‘Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il suo amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!”
Il tempo della vacanza può regalarci la possibilità di trovare uno spazio di solitudine per meditare, per pregare, per lasciare entrare dentro di noi la forza, la tenerezza, la misericordia del nostro Dio. Nella certezza che pregare non è isolarsi dagli uomini, ma piuttosto permettere che essi entrino dentro di noi.
La luce degli incontri. Così ci ricorda splendidamente p. Ermes Ronchi: “Una leggenda ebraica racconta che ogni uomo viene sulla terra con una piccola fiammella sulla fronte, una stella accesa che gli cammina davanti. Quando due uomini si incontrano, le loro due stelle si fondono e si ravvivano , come due ceppi sul focolare. L’incontro è riserva di luce. Quando un uomo per molto tempo è privo di incontri, la sua stella, quella che gli splende di fronte, piano piano si appanna, si fa smorta, fino a che si spegne. E va, senza più una stella che gli cammini avanti. La nostra luce vive di incontri. O la tua vita è presenza luminosa per qualcuno o non è nulla. O rischiari l’esistenza o la tristezza di qualcuno o non sei. O porti luce o muori”.
Il tempo della vacanza può regalarci la possibilità di riconquistare e dilatare lo spazio per l’incontro, per l’ascolto, la possibilità di ritrovarsi comunicando, la possibilità di essere più spontanei, più disponibili, più teneri ... e la tenerezza è il linguaggio segreto dell’anima, ciò di cui abbiamo infinitamente bisogno.
Uno sguardo di bellezza. È davvero meravigliosa e significativa una pagina in cui il teologo brasiliano Leonardi Boff, racconta un aneddoto riguardante sua madre. “Tu sei un teologo, hai visto Dio?, chiede al figlio. E Boff risponde: ‘Mamma, nessuno vede Dio’ Insiste la madre: ‘Ma come, tanti anni che sei prete e teologo e non hai visto Dio! E’ una vergogna’. Allora il figlio le chiede: ‘Ma tu lo vedi?’. E lei: ‘Chiaro che lo vedo. Di quando in quando, al tramonto le nuvole si mettono in una determinata maniera. Io mi fermo a guardare e lui passa via con il suo manto, sorridendo; e dietro di lui viene tuo padre defunto, guardandomi e sorridendo, e io resto per tutta la settimana con la gioia nel cuore’ . Boff commenta: ‘La vera teologia è lei, nonostante sia analfabeta”.
Il tempo della vacanza può regalarci la possibilità di uno sguardo nuovo e ricco di stupore, di commozione per la bellezza che ci circonda, una bellezza che rimanda oltre, fino a Dio.
La solidarietà non ha riposo. Se le vacanze sono il tempo in cui ritemprarsi, ritrovare pace, dare più tempo alla preghiera, ritrovare comunicazione e tenerezza, cercare bellezza, un cristiano anche in questi mesi non può non avere attenzione e cura per coloro che restano in città per motivi di salute, di età, di denaro, per coloro che hanno così poco tempo per sé perché si prendono cura di una persona malata, anziana, diversamente abile ... Per questo solidarietà e fraternità sono le uniche a non poter andare in vacanza.  La fantasia dell’amore saprà suggerirci anche in questi mesi come non passare accanto ad alcuno con un volto indifferente, con un cuore chiuso, con un passo affrettato.
“Fate del bene a quanti più potete e vi capiterà tanto più spesso di incontrare dei visi che vi mettono allegria”. (Alessandro Manzoni)
Buone vacanza allora. Nella preghiera, nella luce degli incontri, nello sguardo, nel dono ...

don Mauro

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AVVISI - 18 GIUGNO 2023

PRENDITI TEMPO

“Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed Egli disse loro venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po’”. (Vangelo di Marco 6.30-31a)
... Venite in disparte, riposatevi un po’ ... Gesù sa che la vita è dura, complessa, a volte stressante, per questo ci invita a fermarci, a ritrovarci protagonisti del nostro tempo, p0er ritrovare noi, gli altri, la natura, Dio, per ritrovare la nostra profondità e la nostra tenerezza. Una delle occasioni in cui vivere questo “venite in disparte” potrebbe essere il tempo della vacanza. Vi auguro di riuscire, almeno un po’, a riappropriarvi del tempo, quel tempo che sembra sempre fuggire e che sembra mai bastare. Per gustare tutto meglio.
“Prenditi tempo per pensare perché questa è la vera forza dell’uomo. Prenditi tempo per leggere perché questa è la base della saggezza. Prenditi tempo per pregare perché questo è il maggior potere sulla terra. Prenditi tempo per amare ed essere amato perché questo è il  privilegio dato da Dio. Prenditi tempo per essere amabile perché questo è il cammino della felicità. Prenditi tempo per ridere perché il riso è la musica dell’anima. Prenditi tempo per dare perché il giorno è troppo breve per essere egoisti” (Consigli dall’Uruguay).
Anche se per molti di noi comincia il tempo di vacanza, Dio non va in vacanza, ma “Dio continua a levarsi prima del sole”.  Cioè continua ad amarci per primo, ad attenderci, a cercarci, a desiderare l’incontro a tu per tu con noi. E’ quello che vi auguro per il tempo estivo: non manchi, anzi cresca il tempo per Dio, per la preghiera, per la sua Parola, per l’Eucaristia!
“Fa’ di noi cercatori di Dio non solo con l’intelligenza ma anche con il cuore. Aiutaci a trovare del tempo per Te, non soltanto un tempo strappato alla futilità che lo riempiono ma un tempo fresco, un tempo nuovo, come l’innamorato d’improvviso ne scopre per un amore che nasce repentino nella sua vita così piena” (Michel Quoist)
Immagino Gallarate non si svuoterà del tutto...  Per questo un pensiero, una malinconia mi attraversano sempre: c’è chi resta per motivi di salute, di età, di denaro ... Ed è proprio per questo che mi auguro che i meravigliosi gesti di solidarietà e fraternità, di cui molti di noi sono capaci, continuino ad essere un “raggio di sole” per tutti. Al riguardo non riesco a dimenticare le parole scritte dal card. Martini nel 1987 che calzano ancora per l’oggi, per questo tempo di crisi a tutti i livelli:
“C’è da pensare che, mentre alcuni possono allontanarsi dai soliti ambienti, molti altri restano là dove sono, con tutto il peso di miseria, di solitudine, di indifferenza che grava su di loro. Perché allora no
“C’è da pensare che, mentre alcuni possono allontanarsi dai soliti ambienti, molti altri restano là dove sono, con tutto il peso di miseria, di solitudine, di indifferenza che grava su di loro. Perché allora non chiederci se e come realizzare anche per gli altri quel momento di svago di riposo di cui noi legittimamente godiamo? L’idea della ‘decima’ non può diventare realtà anche in occasione delle vacanze? Perché non detrarre dal nostro bilancio estivo una parte, da donare a chi non riesce a ‘fare vacanza’, togliendo qualcosa al nostro progetto per rendere possibile il progetto di altri?”
Davvero buone vacanze, a chi va, a chi resta.

don Mauro

Per tutta l’estate è sospesa la Santa Messa delle 17.30 alla Chiesa  dell’oratorio di  Arnate, via XXII Marzo.

Domenica 25 Giugno uscirà l’ultimo foglio degli avvisi prima delle vacanze estive,ricordiamo che riprenderemo la pubblicazione con la prima domenica di Settembre (3.09.2023).

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AVVISI - 11 GIUGNO 2023

PROCESSIONE EUCARISTICA

È bello notare che le processioni, contestate negli anni sessanta e andate in disuso, sono tornate nei calendari delle comunità cristiane: non solo nel sud, ma anche da noi. Certo: non sono più le parate un po’ militaresche del passato, quando la Chiesa faceva ostentazione di potenza e di consenso sociale con un seguito impressionante di confraternite e stendardi, angioletti della prima Comunione; sfilate che duravano ore e riflettevano nel loro stesso snodarsi una gerarchia anche sociale. Nessuna nostalgia in proposito, se non quella di anni più verdi.
La processione è segno di un popolo che si conosce in perenne trasferimento verso l’eterno e segnala sentimenti d’adorazione o di supplica o di penitenza: ma indica pure che i cristiani sanno ancora camminare sotto il cielo e con i piedi per terra, che vogliono esserci anche fuori dalle sacrestie, che occupano il loro posto nella Città di tutti, che non vogliono essere “lampada nascosta sotto il tavolo”, che sono in dialogo con la società in cui vivono. Non a caso, nella maggioranza dei Comuni d’Italia le autorità civili hanno mantenuto la tradizione di partecipare alle processioni coi segni distintivi: i sindaci in fascia tricolore, i marescialli dei carabinieri in divisa, talvolta le corporazioni cittadine con gonfaloni e bandiere. Indebita commistione di sacro e profano, residuo di antiche e dubbie alleanze fra trono e altare? Così non dovrebbe essere. Si tratta invece del naturale mostrarsi di una cellula sociale, operante sul territorio.
In futuro, non troppo lontano, quando i mussulmani saranno una presenza numerica forte, le autorità civili dovranno forse partecipare anche ai loro riti. Per adesso teniamoci alle nostre processioni, che, nel nostro contesto urbano, possono avere anche un’altra valenza: tra tante iniziative come le “domeniche a piedi”, come i centri storici chiusi alle auto, possono essere una corale reazione alle troppe schiavitù dei giorni feriali, un riflesso contro lo scorrere ossessivo del traffico: una piccola e pacifica riscossa festiva. Insomma verso la Città dei commerci e dell’anonimato, della fretta perpetua. “Riappropriamoci della Città”, si diceva inderogabilmente una volta; ecco, incolonnarsi dietro la Croce oggi potrebbe anche rappresentare – tra l’altro – una mite ribellione all’onnipotenza della cultura consumistica che ci costringe giornalmente a ben altre “processioni”: la fila al supermercato, la coda al casello, gli imbottigliamenti dei pendolari, il formicaio nei sabati e nelle domeniche pomeriggio... Vogliamo bene alle processioni! E in particolare a quella del “Corpus Domini”!
Di recente ha scritto così il nostro Prevosto don Riccardo Festa: “La Processione del Corpus Domini è l’evento di fede al quale la comunità cristiana invita le autorità civili e le istituzioni dello Stato presenti sul territorio e chiede all’amministrazione comunale che la Città sia rappresentata dal gonfalone. In questa manifestazione la comunità cristiana dichiara alla Città di essere amica del bene comune, di voler essere protagonista nella ricerca del bene dei cittadini tutti. Le istituzioni civili che accettano l’invito a partecipare con le insegne ufficiali, confermano attenzione e rispetto alla comunità cristiana e la riconoscono come presenza buona.
Che questo capiti proprio nella processione del Corpus Domini e non in altre processioni è dovuto al significato proprio della Festa del Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. L’Eucaristia è infatti il luogo di incontro della comunità cristiana dove tutti i fedeli, nelle diverse sensibilità, nelle diverse appartenenze aggregative si riconoscono: lì nella comunione con Corpo e Sangue del Signore tutte le espressioni della nostra fede e i percorsi dai quali proveniamo trovano sintesi e unità. Lì, pertanto, in quella processione, intorno al Santissimo Sacramento, la comunità cristiana si raccoglie nella sua configurazione ministeriale; vi sono cioè rappresentati quei servizi pastorali che permettono alla comunità di radunarsi, quei servizi che danno forma istituzionale alle convocazioni per cui ciascun fedele possa sentirsi accolto e rappresentato dalla ritualità delle convocazioni stesse”.
Ci sarà qualcuno che verrà almeno una volta, se non altro per curiosità? Mi auguro una partecipazione corale alla Processione di questa sera, la Processione del “Corpus Domini”!

don Mauro

Assemblea Parrocchiale convocata per martedì 13 giugno alle ore 21 presso il Teatro Nuovo di Via Leopardi. Tutti si sentano personalmente invitati!

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AVVISI - 4 GIUGNO 2023

METTERCI IN GIOCO

L’ occasione della “Sagra della Comunità di Madonna in Campagna” mi è occasione gradita per invitare tutti ad avere il coraggio di liberarsi dalla nostalgia del passato, a non guardare pigramente alle tradizioni passate per evitare il pericolo di una certa sclerotizzazione e di una illusione di autosufficienza. Con una “provocazione poetica” invito a lasciarsi fare nuovi dalla Parola, dall’Eucaristia, dallo Spirito di Gesù e dal Concilio Vaticano II : “Si preparano, forse son già venuti, tempi in cui sarà richiesto agli uomini di essere altri dal come siamo stati. Come?” (Mario Luzi)
Come? Corresponsabili.  “Il Signore non pone la parrocchia tutta e solo sulle spalle, meglio nel cuore del parroco. No, il disegno di Dio è più grande, più bello ed esaltante. Egli vuole porre la parrocchia sulle spalle e nel cuore di tutti i cristiani e di ciascuno di loro: tutti, nella varietà dei doni e degli impegni, sono chiamati ad essere attivi e responsabili, umili ma veri protagonisti della vita della Chiesa” (Card. Dionigi Tettamanzi)
Il primo salto di qualità: da collaboratori a corresponsabili. I laici non sono chiamati più a essere soltanto il braccio destro del parroco, dei buoni esecutori, se pur lodevoli e stimati, ma sono chiamati a essere dei corresponsabili. Collaboratore è chi si ferma al compito affidato senza sentirsi parte di un intero, corresponsabile è chi sa mantenere vivo l’interesse per il tutto, per l’insieme, è chi scopre la bellezza del pensare e del progettare insieme, dell’assumere comunemente delle scelte di fondo, del valorizzare o far crescere nuovi luoghi di discernimento comunitario. Corresponsabile non è solo chi fa le cose insieme ad altri ma prova a sognarle, a pensarle, a costruirle insieme ... Questa è la nostalgia da risvegliare, da riscoprire: una comunità pastorale come fraternità di corresponsabili.  “Una comunità è bella quando ognuno esercita pienamente il suo dono. Amare qualcuno è riconoscere il suo dono, aiutarlo ad esercitarlo e ad approfondirlo”. (Jean Vanier)
Come? In Rete. Il secondo salto di qualità: mettersi in rete. Con la nascita delle comunità pastorali, quello che ci è chiesto è un cambio di marcia, un cambio di mentalità: non si tratta di continuare nelle stesse iniziative di sempre dentro una “scatola” diversa, mettendo ogni tanto qualcosa in comune, ma piuttosto di imparare uno “stile” di progettazione comune, di condivisione de mete e passi: uno stile di comunione e di missione. Per questo invito tutti a mettersi in rete. Il mettersi in rete avrà un momento fondamentale e fondante nella nascita dell’unico Consiglio Pastorale.
Come? Nel Mondo. Il terzo salto di qualità: dalla parrocchia al mondo. Sulla missione e sul ruolo dei laici nel mondo, vi consegno due splendidi inviti. Il primo è del giornalista Paolo Giuntella: “Ecco, vorrei dire a preti e pastori: non continuate a considerare i laici dei collaboratori. Ma non rinchiudeteli neppure nelle vostre sagrestie, nei vostri locali parrocchiali. Non favorite la crescita dei laici addomesticati, untuosi, più  realisti del re. Sarebbe un’inutile illusione prima della disfatta. Questi finti laici, viceparroci mancati, non vi sarebbero d’aiuto neppure a conservare le trentasette pecorelle rimaste nell’ovile, mentre la pecorella smarrita non è più sola: oramai sono almeno sessantatre quelle smarrite, altro che novantanove ben conservate al rassicurante calduccio dello stazzo.
Chiedete ai laici di non passare troppo tempo in parrocchia, di cercare la propria santità fuori dal tempio, nella piazza del mercato, tra pubblicani, e magari in Samaria” (in Strada verso la libertà).
Il secondo è del Card. Dionigi Tettamanzi: “Il Vangelo è per tutti, non solo per i ‘nostri’, per quelli cioè che ci sono più vicini, più affini a noi per tradizione, mentalità, cultura, modo di vivere. Occorre evitare l’errore di esaurire tutte le nostre forze pastorali sulla pur doverosa cura del ‘nostri’, occorre la lungimiranza e il coraggio di uno ‘sbilanciamento’ verso quanti non riusciamo a raggiungere e che pure – o in primis – sono affidati alla nostra missione evangelizzatrice. Ci è lecito, al di là dei pesi e delle difficoltà, rinunciare  alla missione?”.(La Chiesa di Antiochia, “regola pastorale” della Chiesa di Milano 2009)
Il laico è un uomo della Chiesa nel cuore del mondo e un uomo del mondo nel cuore della Chiesa a cui è chiesto quello che chiedeva l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Filippesi: “Comportatevi da cittadini degni del Vangelo. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!”.
In fondo non è che l’ammonimento del teologo Karl Barth (1886-1968): “Noi cristiani non possiamo metterci a sedere in mezzo ai miscredenti come dei gufi malinconici” ma come compagni di viaggio che hanno una lieta e insuperabile notizia da raccontare, una speranza eterna e concreta da proporre e da vivere, una misericordia ostinata e tenera da testimoniare.
Sogno laici corresponsabili che sappiano mettersi in rete e in missione ... so che non è solo un sogno e neppure un sogno solo mio. Per questo buon cammino! Certi che il Signore cammina con noi.

don Mauro

IMPORTANTE - Assemblea Parrocchiale convocata per martedì 13 giugno alle ore 21 presso il Teatro Nuovo di Via Leopardi. Tutti si sentano personalmente invitati! (VOLANTINO ASSEMBLEA)

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AVVISI - 28 MAGGIO 2023

IL CAPPELLO E LA TESTA

Indelebile in me il ricordo di una affermazione di un grande parroco che amo molto, don Primo Mazzolari (1890-1959) , che così si rivolgeva ai cristiani presenti alla Messa: “In Chiesa dovete togliervi il cappello, ma non la testa!”. Mi sembra un’ottima “traduzione” dell’invito che il nostro arcivescovo Delpini ha rivolto ai milanesi in occasione della Festa di S. Ambrogio del 2019. Il suo “Autorizzati a pensare” potrebbe essere letto in chiave ironica, ma anche come un grido di allarme o come un potente invito rivolto a tutti, non solo ai cristiani. Ecco solo alcune righe del suo intervento che dovremmo rileggere attentamente: “La cultura ‘post moderna’ esalta l’emozione, lo slogan gridato, stuzzica la suscettibilità e deprime il pensiero riflessivo... Desidero evidenziare il rischio di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se fossero delle vere e proprie ragioni... Credo che il consenso costruito con un’eccessiva stimolazione dell’emotività dove si ingigantiscono paure, pregiudizi, ingenuità, reazioni passionali, non giovi al bene dei cittadini e non favorisca la partecipazione democratica. Credo sia opportuno un invito ad affrontare le questioni complesse e improrogabili con quella ragionevolezza che cerca di leggere la realtà con un vigile senso critico... Occorre riscoprire la cultura e il pensiero che danno buone ragioni alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto che ‘anzitutto è pura, poi pacifica, mite’...”.
Mi guardo intorno e anch’io ho questa impressione: la fatica del pensare, l’aggressività che si fa parola, l’arroganza che si mette in mostra, l’opinione che si pensa verità, l’emotività e gli istinti che prendono il pretesto della ragione, la faziosità che schiaccia il senso critico, il proprio interesse che prevale su ogni cosa e sull’altro... e in tutto questo il rischio più grosso, il rischio che più temo e che più mi intristisce è quello della perdita di umanità, di compassione, di pietas. Il rischio per i cristiani è perdere il Vangelo, è dimenticare il Vangelo.La straordinaria fortuna di vivere nel grande solco della Chiesa ambrosiana ci ha fatto incontrare grandi, indimenticabili e indimenticati maestri  come il card. Carlo Maria Martini che così si esprimeva: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti. L’importante è che impariate a inquietarvi. Se credenti, a inquietarvi della vostra fede: Se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza. Solo allora saranno veramente fondate”.
Il pensare allora, riguarda in modo profondissimo anche la fede. Per non fare che la fede sia solo tradizione o stanca abitudine, superstizione o vuoto ritualismo, un mito che la condanna ad essere muta, una verniciate esteriore senza rapporto con la vita, con le scelte quotidiane. Scriveva così qualche anno fa il teologo Bruno Forte, adesso vescovo dell’Arcidiocesi di Chieti-Vasto: “Il credente non è che un povero ‘ateo’ che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. Se il credente non fosse tale, la sua fede non sarebbe che un dato sociologico, una rassicurazione mondana... La fede è un continuo convertirsi a Dio, un continuo consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, a vivere la fatica di credere, di sperare, di amare e proprio per questo ad esistere per gli altri.
La fede deve ascoltare le ragioni della non credenza che lo abitano e lo rendono sempre più inquieto. ...Chi pensa di aver fede senza lottare, non crede più in nulla ... Se Dio per te non è fuoco divorante, se l’incontro co Lui è per te soltanto tranquilla ripetizione di gesti sempre uguali e senza passione d’amore, il tuo Dio non è più il Dio vivente ... Credere è ‘cor-dare’, un dare il cuore”. (Confessio theologi. Ai filosofi)
La fede è questa passione d’amore per Dio e per l’uomo, per il cielo e la terra. Chi crede, chi celebra i Sacramenti è chiamato a essere segno dell’amore di Dio per l’uomo, per ogni uomo, per gli ultimi. Siamo chiamati ad una scelta: possiamo lasciare perdere, oppure interessarci a quello che accade attorno a noi, a quello che succede nel mondo, possiamo decidere di diventare dei tubi digerenti (mutuando una celebre frase di padre Alex Zanotelli), capaci di metabolizzare ogni genere di dolore e sofferenza grazie a un enzima chiamato indifferenza. Oppure possiamo reagire e metterci in gioco, interessarci e prenderci cura del mondo in cui viviamo. È la scelta di una presenza attiva, significativa, preziosa nella società do oggi.
Indimenticabile al proposito una affermazione sferzante del pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, vittima del nazismo: “Chi non urla per le piazze per gli ebrei, non può cantare in Chiesa il gregoriano”. Affermazione più che mai attuale anche oggi di fronte a tutti gli uomini e le donne, i bambini indifesi.
Mi sento di ringraziare papa Francesco, che tornando in aereo da Panama, non ha risposto a una domanda “difficile” posta da un giornalista dicendo: “Non ho riflettuto e pregato a sufficienza”. Che bello se diventasse insegnamento per ciascuno di noi e criterio del nostro vivere.

don Mauro

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AVVISI - 21 MAGGIO 2023

MARIA: L’INVITO ALLA GIOIA

Tenendo come riferimento il brano di Luca 1,26-30 , brano che non dovremmo mai finire di meditare e pregare, proviamo a sottolineare e far emergere alcune riflessioni che ci aiutino a vivere bene il nostro mese di Maggio.
Di solito Maria sta alla fine. Provare per credere: se ascoltate un’omelia, o un discorso ufficiale dei nostri vescovi o perfino del papa, l’accento alla Madre di Gesù è quasi sempre quello conclusivo, il segno che la predica sta per finire. Anche nelle nostre assemblee domenicali in canto a Maria è di solito quello conclusivo, e perfino la Compieta, l’ultima preghiera del giorno, si conclude con l’antifona mariana. Ma di per sé Maria sta anche all’inizio. Sta all’inizio del Vangelo, all’inizio della vita di Gesù: è la sua dimora, la sua casa nei nove mesi che ne precedono la nascita al mondo. Ed è la prima nel Vangelo di Luca a cui viene detto “rallegrati!”. L’Angelo si rivela alla fanciulla di Nazareth anzitutto con un invito alla gioia. Dunque Maria ci dice che la gioia sta all’inizio, e non solo al termine della storia della salvezza. C’è già da subito, come da subito nella creazione c’è la gioia di Dio nel contemplare la propria opera e nel vederla bella, buona, ben riuscita.
Non intendo offrire un commento esaustivo al testo; piuttosto proporre qualche traccia per un invito alla lettura e in un secondo tempo provare a rispondere alla domanda: “quale gioia raccolgo da questo Vangelo?”
Anzitutto il testo di Luca ci parla della gioia come dono da accogliere e non come l’esito dei nostri sforzi o del nostro impegno. Maria lo riceve e basta, così com’è, nella situazione in cui si trova. È una gioia non collegata a un duro lavoro ascetico che alla fine permette di raggiungere buoni risultati, ma semplicemente alla sorpresa per il bene di cui è stata fatta oggetto; una sorpresa, peraltro, non priva di timore e turbamento.
In secondo luogo Maria ci rivela la gioia di essere innamorati. Viene definita anzitutto “promessa sposa”. E chi di noi nella vita è stato o è ancora innamorato conosce bene la leggerezza e la grazia, la bellezza e la passione in cui l’amore ti getta, ti porta, ti conduce, ti travolge. Maria è gioiosa perché è innamorata.
Infine Maria ci rivela la gioia pacifica di chi decide di mettere la propria vita nelle mani di Dio. È la gioia di chi si consegna, di chi si fida ed impara a dire sì. “Eccomi, ci sono, avvenga in me, per me, quanto tu hai detto”. La gioia del dono di una vita.
Quale gioia raccolgo, oggi, da una parola così? Quale felicità possibile per la mia vita? E’ una parola che leggo volentieri nel mese di Maggio, all’inizio di un itinerario, di un cammino.
Mi regala prima di tutto la gioia di credere che la Parola di Dio e la sua grazia precedono ogni mio sforzo. Molto spesso rischio di trasformare la vita in una corsa folle per raggiungere obiettivi, per ottenere risultati. La vita di fede stessa diventa un martellamento incessante di cose da fare o addirittura di prestazioni (inutili!) da offrire al Padreterno, come se fosse lui ad averne un disperato bisogno, e non il mio orgoglio o la mia autostima.
Perfino il lavoro pastorale finisce per diventare un labirinto di organigrammi e di progetti, di iniziative e di eventi dei quali alla fine rimane poco o nulla, se non un grande senso di sfinimento e il sollievo perché sono finiti. Di gioia nemmeno l’ombra.
Rileggere una pagina così all’inizio di un cammino mi rende più sereno, mi conduce a essere disposto ad accogliere un dono e a lasciarmi raggiungere da Dio prima ancora che cercare di arrivare a lui con i miei sforzi. A volte sento il bisogno di cancellare per un istante tutti i miei buoni propositi per chiedere soltanto la quiete necessaria per lasciare spazio allo Spirito e alla sua opera.
Ma chiedo anche, insieme a tutto questo, la grazia di sentirmi innamorato. Perché è una grazia che purifica dal peccato e dal disamore. Spesso quando si riparte pieni di buona volontà dopo un momento difficile del cammino di fede, ci si trova di fronte alla propria esperienza di peccato e di distanza da Dio, di freddezza e di sfiducia ne confronti dei fratelli. Questo sentimento rischia di paralizzare, di schiacciare, e ci porta a credere che non saremo mai capaci di ricominciare e di ripartire perché troppo deboli e fragili, troppo segnati dal nostro limite. Non occorre preoccuparsi eccessivamente in momenti così. Basta riscoprirsi innamorati, o perlomeno desiderare di esserlo.
Infine, raccogliamo da Maria la gioia di chi decide di nuovo per il Signore, e affida la propria vita alle sue mani. Sappiamo bene che il “sì” detto a Dio ha bisogno di essere rinnovato, che la consegna della nostra esistenza a lui chiede la fedeltà dei giorni, la pazienza di ricominciare. Vogliamo rinnovare la gioia di dire sì, di vivere per lui, con lui, in lui.
Scrive Karl Rahner, in una bellissima preghiera: “Dio della mia missione! Io non posso essere annoverato fra quei tuoi apostoli che sono sempre sicuri di sé e hanno sempre la vittoria in cuore. A me concedi piuttosto di far parte di quei tuoi umili messaggeri i quali, riconoscenti per la tua grazia che è potenza nella debolezza, si stupiscono quando vengono accolti dagli uomini. Fa’ che il mio cuore tremi di gratitudine. Che la tua forza sia sempre vittoriosa nella mia debolezza, se a te piacerà”.
E noi in questi giorni di Maggio, facciamola nostra!

don Mauro

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AVVISI - 14 MAGGIO 2023

ALI COME DI COLOMBA

Un versetto del Salmo 54 mi ha stregato. È un salmo in cui un uomo in preda a un timore che si fa terrore, testimone di cattiveria e violenza, invoca Dio a tutta voce, chiedendogli di ascoltarlo, chiedendogli salvezza. Nella riga che più mi ha colpito e fatto pensare, pregare, sta scritto: “Dentro di me freme il mio cuore... Dico: chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?”.
Già, da dove vengono queste “ali” per affrontare i momenti di dolore che ognuno di noi inevitabilmente prova e incontra nella vita, per affrontare il bello e insieme faticoso e a volte tremendo quotidiano? Da dove vengono queste “ali” quando abbiamo i nostri occhi velati di lacrime, con i tanti perché che rimangono senza risposta, quando spesso ci si sente portar via il cuore? Forse bisogna aver radicato dentro di sé la fede pasquale, la speranza pasquale, forse bisogna frequentare ogni giorno il giardino del risorto, bisogna riandare al mattino di Pasqua per imparare la speranza, per imparare ad avere ali come di colomba... Io prego ogni giorno di saper fare così e intanto ringrazio tutti coloro che mi hanno insegnato ad avere queste ali, maestri e testimoni di fede e di speranza.
Uno è don Giovanni Moioli, affascinante e straordinario professore di teologia: un vero innamorato di Gesù Cristo, che ci confidava: “Gesù è colui che mi ha sottomesso il cuore”. Così ha scritto sul mattino di Pasqua: “Signore, che nessun nuovo mattino venga ad illuminare la mia vita senza che il mio pensiero si volga alla tua Resurrezione e senza che in spirito io vada, coi miei poveri profumi, verso il sepolcro vuoto dell’orto! Che ogni mattino sia per me mattino di Pasqua! Che ognuno dei miei risvegli sia un risveglio alla tua presenza vera, un incontro pasquale con Cristo nell’orto, questo Cristo talvolta inatteso. Che ogni episodio della giornata sia un momento in cui io ti senta chiamarmi per nome come chiamasti Maria! Concedimi allora di voltarmi verso di te. Concedimi con una parola sola ma con tutto il Di un altro maestro di speranza e gioia parla Henri J. M. Nouwen, teologo a me molto caro e che ha lasciato in me un’indelebile impronta spirituale: “Ho un amico che irradia gioia, non perché la sua vita sia facile, ma perché egli è solito riconoscere la presenza di Dio in mezzo ad ogni umana sofferenza, la propria come quella degli altri. Dovunque vada, chiunque incontri, è capace di vedere e udire qualcosa di positivo, qualcosa per cui essere grato. Non nega la grande sofferenza che lo circonda, né è cieco o sordo alle voci e ai sospiri di angoscia degli altri esseri umani, ma il suo spirito gravita verso la luce nelle tenebre, e verso la preghiera in mezzo alle grida di disperazione. Il suo sguardo è dolce e la sua voce è pacata. Non vi è nulla di sentimentale in lui. cuore di rispondere: ‘Maestro’”.
Egli è realistico, ma la sua profonda fede gli consente di sapere che la speranza è più vera della sfiducia, e l’amore più vero della paura”. (Henri J.M. Nouwen, Vivere nello Spirito).
Molti maestri di speranza che ho conosciuto non hanno nomi famosi, ma non li dimentico. Li ho incontrati nella mia vita di prete, di parroco, di confessore, di amico. Sono uomini e donne che continuano a stupirmi perché hanno saputo ribellarsi alla disperazione, testardi nella speranza, nell’affrontare la malattia, le difficoltà, le assenze ... ho ammirato e continuo a custodire e a portare dentro di me le loro ali!
Così li descrive Ettore Masina, uno che mi ha insegnato che quando si dice Vangelo, si dice speranza: “Là dove c’è un’assenza, un’assenza di gioia, di giustizia, di tenerezza, di speranza, di salute ... bisogna che ci ribelliamo alla disperazione. Bisogna che le nostre speranze si facciano più testarde e vitali. È possibile? Io voglio esprimere qui, per quel che conta, la mia certezza: è possibile. Le nostre speranze possono, se siamo cristiani, alimentarsi della convinzione che il Salvatore vive nella storia e la anima in maniera misteriosa ma reale, attraverso la forza che il suo vangelo offre a chi lo accoglie; ma le nostre speranze possono e debbono alimentarsi anche della contemplazione delle inesauribili volontà di tanti popoli di uscire dalla loro oppressione. Dobbiamo imparare da loro. La speranza oltrepassa la statura dell’uomo, oltrepassa la prudenza. La speranza prolunga l’uomo al di là di tutti i suoi limiti. La speranza non è mai facile, non è mai banale e illusoria. La speranza porta nel mezzo del difficile. Tutti coloro che hanno vissuto la speranza nei sotterranei della storia o nei tunnel della malattia ...furono o sono come noi, soltanto non hanno lasciato che la voce del buon senso e della paura che nasce dal buon senso soverchiasse quella della primavera che è in noi: voce bambina, fionda del piccolo Davide che lancia il sasso ed ecco il mostruoso gigante è a terra, non si rialzerà mai più”.
La Presenza del Signore crocefisso e risorto è la fonte, è la radice delle nostre ali. E’ a questa Presenza che bisogna tornare ogni giorno nella preghiera, nell’intimità con il Vangelo – con le “divine sillabe”, per dirla con padre David Maria Turoldo – ogni domenica nella celebrazione eucaristica, primo giorno della settimana. La luce, la forza, tenerezza, la potenza trasformante di questa Presenza ci porteranno in dono ali come di colomba! E ci porteranno in dono la capacità di accompagnare le persone a cui la vita ha spezzato a tarpato le ali.

don Mauro

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Una passeggiata tra letteratura e natura “Dal deserto il giardino”

Sabato 13 maggio 2023
Una passeggiata tra letteratura e natura
“Dal deserto il giardino”

 

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