Luca ha appena scritto nel suo Vangelo di Gesù che invia i dodici in missione: “Li mandò ad annunciare il Regno di Dio e a guarire gli infermi. Essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni”.
Un annuncio che non si ferma alle parole. Siamo lontanissimi da una politica e da una strategia fatta di annunci cui non seguono i fatti, come oggi è di moda. Poco importa poi se gli annunci rimangono tali. Alla fine del nostro brano vediamo gli apostoli rientrare dalla loro missione.
Ma Luca tra l’invio in missione e il rientro, inserisce, oserei dire bruscamente, il ricordo di Erode. Gesù aveva anche preannunciato che la notizia buona, che in definitiva era Lui, non avrebbe avuto in tutte le città accoglienza d’entusiasmo.
Nasce la domanda: che cosa fa sì che si accolga o non si accolga il Signore? A certificare l’accoglienza non bastano le apparenze, più o meno sbandierate. Infatti oggi nella prima lettura un lontano discepolo di Isaia, con parole dure, individuava all'interno dello stesso Israele quelli che sono soliti lasciare alle spalle un nome come imprecazione e quelli che invece sono soliti lasciare alle spalle un altro nome, diremmo in benedizione, il nome promesso ad Abramo: “In te saranno benedette tutte le genti”. “Chi vorrà essere benedetto nella terra vorrà esserlo per il Dio fedele”. Da dove dunque una terra che si lasci alle spalle un passato di degrado e si apra al nuovo? Da uomini e donne fedeli a Dio, fedeli alla loro coscienza. Se ci viene meno a questa limpidezza si diventa maledizione per se stessi, per gli altri, per la terra.
E ritorna la domanda: che cosa fa sì che si accolga o che non si accolga? E sulla domanda forse potremmo vedere entrare in scena Erode, che sente parlare di Gesù. Chi gli diceva una cosa, chi un’altra e c’era pure qualcuno che avanzava il sospetto che fosse il Battista redivivo. Non l’aveva forse fatto decapitare lui? L’aveva visto morto lui, con i suoi occhi. “E cercava di vederlo”. Ma basta un desiderio che nasce da una curiosità, attestata sui miracoli e forse ingigantita da qualche rimorso?
Con una curiosità superficiale non si va da nessuna parte. E infatti al penultimo capitolo del suo Vangelo, parlando del processo sommario fatto a Gesù, Luca scriverà: “Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui”. E Gesù tace. Non accade l’accoglienza, l’accoglienza non nasce da prurito di miracoli.
“Lo interrogò facendogli molte domande, ma Gesù non gli rispondeva nulla”. Pensate quel silenzio. Erano domande che non mettevano in discussione la vita. Domande da salotto... che ci permettono di chiacchierare di fede, di far salotto di religione, senza che ne sia sfiorata la vita, senza che cambi nulla.
Mi rimane la domanda: che accoglienza avranno trovato i dodici che andavano di villaggio in villaggio raccontando la buona notizia e guarendo gli infermi? Il Vangelo non lo dice, annota soltanto che ritornarono con una grande voglia di raccontare. Ma Gesù anche in questa occasione tace, non commenta. E’ preoccupato più della loro stanchezza che del loro racconto: “ Allora li prese con sé e si ritirò in disparte verso una città chiamata Betsaida”.
Ma ancora una volta Gesù ci sconcerta: “Le folle vennero a saperlo e lo seguirono”. E lui non dice, come forse avremmo detto noi: “Gente, questo è un tempo per noi. E dovete rispettarlo. Ci sono altri orari. E’ un tempo in cui attendere alla preghiera e alla istruzione dei discepoli”. Così ci saremmo aspettati. E invece no, niente di tutto questo. Leggiamo: “accolse le folle e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”.
La nostra domanda era: che cosa fa sì che accogliamo o non accogliamo Gesù? A questo punto mi verrebbe da dire: l’essere affascinati e attratti da un rabbi che non si esaurisce negli annunci. Mette in gioco se stesso, si accorge degli altri, dà loro il primato, un primato che sembra sintetizzarsi in quei tre verbi: accolse le folle, prese a parlare del regno di Dio, e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
“Accolse le folle”, è ciò che viene prima di tutto. Dovremmo fissarlo a memoria. Prima della predicazione? Prima, se stiamo all’esempio di Gesù, è questo lo stile del Vangelo. Prima cosa : “sii accogliente” con l’altro.
Chiunque sia, deve essere sorpreso da come tu lo guardi, dalla tenerezza del tuo sguardo, deve sentirsi ospitato in te. E per riflesso nella Comunità. Noi ci preoccupiamo tanto di dire e di cosa dire.
La prima cosa che devi dire la dici con lo sguardo e con i gesti, sguardo e gesti accoglienti.
“Prese a parlare del regno di Dio”. E’ il secondo verbo. Un verbo che dice una conversazione familiare, un raccontarsi. Forse è quello che ci manca, a me per primo, di svestirci, quando parliamo di Gesù e del suo Vangelo, del tono delle dissertazioni e riprendere il tono del racconto, senza cattedre e senza distanze.
Terzo verbo: “prese a guarire”. Un verbo, lo dobbiamo confessare, che un po’ ci imbarazza, certo è il verbo per cui si impegnano i nostri amici medici. Ma penso che ci sono molte forme di malattia. Lui prese a guarire “quanti avevano bisogno di cure”. Prendersi cura. Mi sono detto che forse avrei potuto e senza tradimento, sostituire al verbo “guarire”, il verbo “prendersi cura”. E si apre un orizzonte.
Per me, ma penso anche per voi, per questa nostra società, per questa nostra Chiesa: prenderci cura! E’ così che accade il regno di Dio.
Il vostro parroco, don Mauro