PERCHE’ SIATE IN COMUNIONE CON NOI
“Ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto… ciò che abbiamo toccato… noi ve lo annunciamo” (1Gv,1). Ve lo annunciamo. Ma per qualescopo? Qual è l’obiettivo ultimo di questa importante trasmissione? Dove tende questo incoercibile bisogno di partecipare ad altri una verità che si è avuta la sorte di contemplare con i propri occhi, e di annunciare al mondo il Verbo della vita? Ecco l’uscita a sorpresa: “Perché anche voi siate in comunione con noi”. E ci verrebbe da dire: tutto qui? Diciamocelo francamente uno si sarebbe aspettato una conclusione diversa. Ad esempio: perché anche voi otteniate la vita eterna. Oppure: perché siate accolti anche voi dalla tenerezza di Dio. O addirittura: perché pure voi diventiate annunciatori delle meraviglie compiute dal Signore. E invece no! Quel finale ci spiazza. Ci coglie impreparati. Quella battuta imprevedibile ci disorienta. Ci sbilancia su versanti inattesi: “perché anche voi siate in comunione con noi”. Ne deriva che il primo fondamentale obbiettivo che i testimoni di Gesù devono raggiungere è quello di creare comunione tra fratelli, e cioè una , comunità di persone che si vogliono bene e che poi, insieme, tendono verso di Lui. E’ quello che ho sperimentato domenica – era nell’aria, lo si respirava – festeggiando la presenza cinquantennale delle suore Figlie di Maria Ausiliatrice nella nostra Comunità. Mi viene alla mente – e lo ricordo anche a voi – quel celebre n° 9 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa che recita. “piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo”. Gli è piaciuto innestarli in un popolo. Per scendere al concreto, la nostra missione di cristiani consiste nell’orientare i passi di chi ci è affidato o anche solo incontriamo, verso la Comunità di cui noi tutti siamo espressione. In fondo, la domanda essenziale che oggi ci viene rivolta, volere o no, è la stessa che Andrea e Giovanni un giorno rivolsero a Gesù, sulle rive del lago, alle quattro del pomeriggio: “Maestro, dove abiti?” (Gv. 1,38). E la nostra risposta di cristiani non può discostarsi da quella di Gesù: “Venite e vedrete” (Gv. 1,39a). E la conclusione di tutta la vicenda non può essere quella descritta dal vangelo: “Andarono dunque, e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv. 1, 39b). Carissimi, se è vero che la domanda primordiale che ci è rivolta è: “Maestro dove abiti?”, vuol dire che anche noi rispondendo come Gesù: “Venite e vedrete”, dobbiamo essere in grado di mostrare la casa la casa comunitaria dove abitiamo. Solo all’interno di ques comunitaria ta casa è possibile conoscere il Signore, e per giunta, sperimentare ciò affascina al punto di sentire il bisogno di andare fuori per annunciare anche ad altri la buona notizia: “Abbiamo trovato il Messia”. “Abbiamo trovato il Messia”. Due sono le conclusioni che possiamo tirare. La prima è questa: la Comunità è un transito obbligato.E’ una tappa che
non si può saltare. E’ un passaggio che possiamo chiamare “propedeutico” perché, se non viene superato, blocca il resto del cammino. Ed ecco la seconda conclusione: se il primo impatto che come cristiani dobbiamo provocare è quella con la Comunità, bisogna fare di tutto perché essa non deluda chi vi entra, pregiudicando, forse anche irreparabilmente, l’ulteriore incontro con il Signore. Dobbiamo impegnarci, perciò con tutta l’anima affinché la nostra Comunità offra al mondo l’immagine della vera accoglienza cristiana. Se le cose stanno veramente così, il nostro mestiere primordiale è quello di essere costruttori di comunità. Il Signore ci conceda la gioia di investire tutto in questa avventura!
don Mauro