ULTIMA DOPO L’EPIFANIA
L’uomo non è un isola: possiede un forte desiderio di apertura agli altri, di stare con loro, vivere la loro compagnia. Gesù ha benedetto questa forte esigenza facendola diventare segno della sua presenza: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, e nel mio amore, lì sarò in mezzo a loro”.
Ebbene ogni domenica noi celebriamo – meglio, dovremmo celebrare – questa presenza verticale (con Gesù) e orizzontale (con i fratelli).
Allora noi con l’Eucarestia costruiamo una comunità, questa grande famiglia dove la fede assume due connotazioni meno astratte, un volto più reale, concreto. Proprio qui in Chiesa appare la verità che non si può essere uniti a Cristo, senza guardare, amare, vivere con i fratelli. E’ proprio l’insieme dei fratelli che costituisce il corpo della Chiesa.
Proviamo a tradurre nella concretezza queste semplici verità e forse ci accorgeremo che alcuni atteggiamenti vanno cambiati, corretti, integrati: deve nascere un vero stile eucaristico; chi ci vive per questo, deve dare prova di un amore offerto, donato, gioioso: favorire la misericordia nel giudicare, la bontà del tratto, il saluto cordiale, la semplicità nei rapporti, il gusto dell’unità, il promuovere larghe intese, il non giudicare le intenzioni, l’evitare la maldicenza, fuggire la critica fine a se stessa, avere in orrore la calunnia, lo smettere il formulare giudizi temerari: l’Eucarestia liturgicamente celebrata e rettamente vissuta arriva fino a queste leali conseguenze.
C’è un capitolo forte e incisivo sul quale vorrei soffermarmi: la Chiesa fa l’Eucarestia, non solo perché la celebra, ne fa memoria, ma proprio perché la Chiesa è il corpo visibile di Cristo e andando quindi incontro con i fratelli della nostra Comunità, Egli si fa presente per noi.
L’aspetto più grande e geniale sta nel fatto che l’Eucarestia trasforma noi tutti in un unico corpo; di conseguenza la logica della separazione, della divisione è proprio la più anti eucaristica.
E qui dobbiamo inginocchiarci a riflettere chiedendoci perdono quando non siamo i promotori dell’unità, quando di essa ce ne infischiamo, quando all’interno della nostra comunità parrocchiale non ce poniamo il problema. Sento molto forte questa esigenza di costruire, favorire, promuovere l’unità.
Quando manca è in fibrillazione la Comunità, allora l’Eucarestia è solo rito, celebrazione, ma la vita si fa diversa, le iniziative anche pur belle, sono fine a se stesse, senza incidenza reale sui fratelli a cui ci rivolgiamo. E non sembri inutile questo richiamo, non per fatti particolari oggi riscontrabili, ma perché la tentazione della divisione è sempre in agguato a ogni livello ecclesiale, familiare, sociale e politico.
Se non c’è faticosa ricerca di unità, se non c’è prezzo pagato con grande sacrificio, temo che le attuali divaricazioni lascino ferite amare nella compagine ecclesiale e sociale.
Allora dall’Eucarestia ci lasciamo interrogare: io che tipo sono in questa Comunità in ordine all’unità? So qualche volta cedere il mio piccolo punto di vista, non assolutizzandolo, non difendendolo a oltranza contro l’evidenza, rompendo la comunione e rendendo vano il mio mangiare il corpo del Signore?
Se allora l’unità non è un pallino di qualche buon pensante, ma è la tensione costante, normale di ogni credente, allora la celebrazione domenicale dell’Eucarestia diventa il momento ecclesiale più fecondo, il giorno dell’incontro con i fratelli, della riconciliazione nella comunità, nella Chiesa!
E’ un grande dono l’unità per una comunità; Gesù, pane spezzato e vita offerta, fa questo dono a chi insistentemente lo richiede con “ preghiere, lacrime e digiuni”.
Concludo con uno stupendo pensiero di S. Agostino: “ se voi siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il vostro mistero, ricevete il vostro mistero. Ti si dice infatti: ‘ il corpo di Cristo’ e tu rispondi:
‘ Amen’. Sii membro del Corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen”.
don Mauro