II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Carissimi parrocchiani,
quando celebro l’Eucarestia cerco di tenere gli occhi fissi sul Messale, sul Lezionario, sull’Ostia e sul Calice, perché se gli occhi mi sfuggono sulla Comunità riunita corro il rischio di immergermi più nella considerazione della Comunità che non invece nel Mistero eucaristico che ne è l’origine.
Mi sovvengono almeno tre sollecitazioni. La prima è un godimento per la constatazione della pluralità, della diversità, della normalità delle presenze. Davanti all’altare, infatti, non vedo gente carismatica, perfetta, che viaggia ad alti livelli di spiritualità. Mi viene in mente la rete del Vangelo, che, tirata a riva, fa vedere tutte le qualità – buone e meno buone – di pesce.
La seconda constatazione è la essenzialità del popolo della messa, cioè dei fedeli della Comunità pastorale. Per fare parte di un movimento o di un gruppo uno deve condividere una spiritualità o un regolamento o il carisma specifico del fondatore. Qui invece è richiesta una sola cosa, semplice ed essenziale: il battesimo, la fede, il legame con il vescovo e col Papa.
La terza gioiosa constatazione è quella della paternità spirituale. Ogni prete è padre spirituale, ma quel prete che ha l’incarico di parroco lo è in formula più piena. L’essere parroco e vedere i parrocchiani che partecipano al rito eucaristico specialmente quando, alla domenica, si celebra “pro populo” gratifica molto di più di qualsiasi altro incarico sacerdotale: prevosto, decano, consulente ecclesiastico, presidente, consigliere spirituale, priore… sono tutte incombenze belle ma smorte di fronte alla vivezza della paternità del parroco.
Certo la paternità spirituale, che nel parroco è davvero la più completa, non si limita alla celebrazione. Sarebbe troppo facile e anche comodo. L’occhiata in chiesa mi richiama che devo vegliare con amore su tutti, che devo attutire qualche durezza poco paterna, che devo servire tutti senza risparmio di tempo e di energie …
Non so se le distrazioni e le occhiate giù dall’ altare durante la messa sono un male, da cui difendermi, o un bene… lascio al buon Dio di decidere!
Celebrare l’Eucarestia del giorno del Signore significa riscoprire alla luce della Parola, la propria dignità di uomini, abbandonando l’idolatria di sé e del proprio capriccio, abbandonare i propri gusti, i propri interessi per maturare come uomini sul modello di Gesù.
Qualche volta durante la predica mi distraggo perché penso:”Come fanno alcuni, che sono qui, a partecipare a questo momento, quando poi appena usciti sono egoisti e razzisti?”
È indispensabile superare la visione individualistica della domenica. Non si tratta di assolvere egoisticamente ai propri doveri religiosi. La domenica è il giorno della solidarietà cristiana, il giorno in cui ognuno si sforza di uscire da se stesso per farsi dono agli altri.
Credo che qui ci sia un punto nodale; alcuni fanno scelte di Messe in base a motivi secondari: il parcheggio, il riscaldamento, l’aria condizionata, la velocità del celebrante… invece più che guardare alla forma esterna il cristiano dovrebbe guardare alla sostanza. La Messa diventa arricchente se è un bagno di solidarietà, se è disponibilità ad assumere lo spirito di Cristo, il suo spendersi per noi. È questo che rende efficace, seria, “vera” la Messa. Altrimenti è qualcosa di alienante e fasullo. Non è certificazione della festa ma profanazione della festa!
Ad un convegno un non credente disse ai cattolici: ”Se diventerete quello che siete darete fuoco al mondo”.
don Mauro