Comunità Maria Regina Della Famiglia - Gallarate
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Avvisi - 9 maggio 2021

Giuseppe: Padre nella tenerezza

Potremmo partire da una domanda: come ha fatto Gesù da bambino, da adolescente, da giovane a imparare che Dio è un Padre buono pieno di tenerezza? La risposta è senz’altro Gesù da bambino ha imparato la tenerezza di Dio da suo papà Giuseppe. Il quale realizzava in pieno la fase di Osea 11,3-4: “era per lui come un padre, che solleva il bimbo alla sua guancia, e si china su di lui per dargli da mangiare”. Quanta tenerezza!

E come ha fatto Giuseppe – altra domanda – a imparare la tenerezza di Dio? Senz’altro dal suo rapporto intimo di preghiera con Dio Padre e poi anche dalla preghiera dei Salmi, pregati nella sinagoga e recitati anche nella sua famiglia di Nazaret, con Maria e Giuseppe (68,17; 85,5; 110,4; 144,9). Qui si inserisce un bel pensiero di Papa Francesco, che appare subito all’inizio del suo pontificato nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 24 novembre 2013. Al n.88 dice: “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza”. Bella espressione (quasi un ossimoro) richiamata anche alla fine, al n. 288: dobbiamo “credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza”. E ci invita ad accogliere la nostra debolezza con tenerezza. “E’ la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi”, suggerisce il Papa nella Patris corde.

Troppe volte noi pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà il suo disegno di salvezza si realizza non “nonostante”, anzi proprio attraverso la nostra debolezza. Così ha risposto il Signore a San Paolo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9). Anche noi – conclude Francesco – dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza. La tenerezza è la maniera migliore per toccare ciò che in noi è fragile. E – altra espressione lapidaria – “ per questo è importante incontrare la misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza”. Bello!

Verità e tenerezza. Perché?
Perché la verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie e ci abbraccia, ci sostiene e ci perdona, proprio come fa nel sacramento della Riconciliazione. Gesù ci insegna questo nella parabola del “padre misericordioso”. Un padre che accoglie con tenerezza il figlio che ha sbagliato tutto, è giunto fino all’abbrutimento coi porci, ma si è pure ricordato che il padre era sempre suo padre, un padre pieno di tenerezza, che non ha sottolineato l’errore del figlio, ma ha rafforzato la sua fragilità, realizzando proprio qui la rivoluzione della tenerezza. Così anche con noi: il Padre ci viene incontro, ci perdona, ci rimette in piedi, fa festa per noi, perché “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).

Il Papa ricorda che Giuseppe ci insegna che avere fede in Dio significa credere che egli può operare attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, le nostre debolezze. Giuseppe, inoltre, ci insegna che in mezzo alle tempeste della vita non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. “Siamo tutti sulla stessa barca”: anche questo ci ha insegnato la drammatica situazione operata dal contagio del Coronavirus. Siamo tutti sulla stessa barca, giovani e anziani, poveri e ricchi, sani e malati, credenti e non credenti.
Tutti, tutti! Almeno questo dovremmo aver imparato in questa pandemia.

Comunque, al timone di questa barca – siamo sicuri – c’è un Dio che ha sempre uno sguardo più grande e continua a ripeterci: “Non abbiate paura! Ci sono io. Fidatevi e affidatevi”.

Angelo Sala, padre missionario di Rho

 

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