Vivere la Pasqua settimanale
Siamo freschi di celebrazioni pasquali. Ne abbiamo ancora la felice eco nel cuore e nelle orecchie. Ma la Pasqua è un avvenimento che si rinnova settimanalmente: il giorno dopo il sabato fa rivivere a tutta la comunità cristiana il grande avvenimento accaduto appunto quel “giorno dopo il sabato”: la risurrezione del Signore.
Il modo tipico e caratterizzante questo giorno è la celebrazione dell’Eucaristia: “Annunziamo la tua morte, Signore; proclamiamo la tua risurrezione...”. Vedo gente alla Messa della domenica, ma so benissimo che altrettanta gente non vive la Pasqua settimanale in modo cristiano. Dipende dalla nostra cultura che è chiamata “dell’autonomia”: l’uomo d’oggi pensa di essere autosufficiente, di non aver bisogno di Dio, perciò non avverte l’esigenza di aprirsi al mistero al termine di una settimana.
La nostra è la “cultura del frammento”: l’uomo d’oggi si esprime in tanti piccoli gesti slegati e talvolta contradditori, perciò fa fatica ad accettare il giudizio di una parola di Dio che progetta lunghi spazi e che propone una visione unitaria dell’esistenza e una coerenza morale.
La nostra è la “cultura senza memoria”: ha perso l’importanza e la bellezza della tradizione, il valore del passato che dà supporto al presente; si esprime in gesti effimeri, senza radice e senza germogli. Come può entusiasmarsi di fronte alla memoria di fatti di duemila anni fa, che hanno pur tuttavia una risonanza nel presente?
La nostra è la “cultura del fare” e non recepisce il messaggio di un rito che presuppone che dal “fare” si deve passare a capire “l’essere” e più ancora “l’amare”. Il concetto stesso di riposo festivo urta con la mentalità produttivistica.
Pensiamo alla civiltà della catena di montaggio che misconosce la domenica e finisce per smontare l’uomo. Ovviamente che non vive la messa non vive la Pasqua settimanale. Non la vive bene però anche chi considera la celebrazione eucaristica come una specie di tassa settimanale da pagare (col prevalere della mentalità utilitaristica: se ci sono due feste vicine paghi uno e prendi due!) e chi non accetta la benché minima dose di sacrificio per programmare il giorno festivo in riferimento alla Messa alla quale si vuole partecipare con la propria famiglia e nella propria comunità parrocchiale.
La Domenica è giorno della Famiglia e giorno dell’apertura della famiglia alla comunità. Se si vive l’esperienza dell’Eucaristia in questa ottica e con queste intenzioni è facile raggiungere questi obiettivi familiari e comunitari. Non lo può essere invece se la domenica è un giorno come tutti, con qualche ora in più di sonno, con un’abbuffata più solenne, con qualche ora di “nervi tesi” in coda ad una colonna di automobili... collocando la Messa in un “buco” della giornata. Se si vuole che la Domenica ridiventi veramente il giorno del Signore e il Signore dei giorni, la gente che non va a Messa dovrà ritornarci; quella che va tanto per andarci, riempiendo un buco di tempo altrimenti non utilizzabile, deve andarci come al vertice della giornata e della settimana. Allora diventa davvero una Pasqua settimanale: tante cose che si spengono o si attutiscono nella terribile routine della settimana, riprendono vita e smalto in questo ripetersi di risurrezione.
Il vostro parroco, don Mauro