AVVENTO AMBROSIANO – “QUARESIMA DI S. MARTINO”
Perché inizia con la Domenica che segue la Festa del Santo Vescovo di Tours (11 novembre)
“ E a noi che cosa manca?” Potrebbe essere questo l’interrogativo con cui la Chiesa entra nel nuovo anno liturgico, che inizia con l’Avvento: “A noi che cosa manca?”. In fondo, dobbiamo riconoscere che, dal punto di vista materiale, non ci manca nulla. Eppure, questo tempo liturgico “forte”, di ben sei settimane – come la quaresima prepasquale – ha l’intento fondamentale di ravvivare in noi la speranza d’incontrare il Signore, unica realtà necessaria (Lc 10,42) verso cui anela la nostra sete insaziabile di vita eterna. “Calamitati” verso il Signore risorto (Gv13,32), aneliamo con l’intera creazione alla “libertà della gloria dei figli di Dio” ed esprimiamo al Signore il nostro inquieto desiderio di lui: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?”. (Sal. 41,2-3).
Spesso rapiti dai mille impegni quotidiani e distratti dai beni di questo mondo, di cui pure abbiamo bisogno per vivere, anche noi, credenti in Cristo, siamo chiamati a riscoprire, ogni anno daccapo, di essere, come gli antichi patriarchi d’Israele, “stranieri e viaggiatori sulla terra”, in cammino verso la “Città del Dio vivente”. Ma più radicalmente ancora, ci accorgiamo con rinnovato stupore che – come sempre – anche al termine del nostro pellegrinaggio terreno saremo preceduti dall’amore incondizionato di Dio.
Con la rapidità di un ladro nella notte, ma soprattutto con l’amore viscerale del padre che corre incontro al figliol prodigo sulla strada del ritorno, il Signore glorioso ci sorprenderà, lungo il cammino della vita. Verrà lui ad accoglierci e ad accompagnarci alla meta della nostra speranza: la comunione eterna con Dio. L’invocazione principale dell’Avvento è quindi “Marana tha, Vieni, o Signore! ”Tempo di speranza nella venuta definitiva di Cristo glorioso, l’Avvento è anche il tempo della nostalgia. E’ la nostalgia del Totalmente-Altro, il quale, duemila anni fa, si è fatto paradossalmente “Dio-con-noi”. La nostra speranza si radica saldamente nella memoria di un fatto, che con sana nostalgia ci prepariamo ad attualizzare nelle celebrazioni natalizie: nell’incarnazione del Figlio, Dio ci ha amato per primo. “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”. (1GV 4,9)
Allo scopo di favorire la partecipazione dei fedeli a questo mistero di Cristo, la pedagogia della Chiesa ambrosiana predispone un itinerario liturgico in cinque domeniche, intitolate: “La venuta del Signore” (I), “I figli del Regno” (II), “Le profezie adempiute” (III), “L’ingresso del Messia” (IV), e “il Precursore” (V). A differenza del Rito romano, quello ambrosiano dedica l’ultima domenica di Avvento alla “divina maternità della Beata Vergine Maria”, una celebrazione d’intenso carattere cristologico.
In sostanza, si tratta di una pedagogia finalizzata ad introdurre i credenti nella celebrazione del mistero del Natale del Figlio di Dio crocifisso e risorto come fondamento della speranza nella sua seconda venuta alla fine dei tempi (I domenica). Nella liturgia si rivive l’attesa secolare del popolo d’Israele per il Messia “che viene nel nome del Signore” (IV domenica). Animata da Dio stesso attraverso le voci degli antichi profeti (III domenica), fino a Giovanni il Battista (II e V domenica), l’attesa d’Israele è giunta al suo compimento grazie al docile “sì” di Maria di Nazaret (VII domenica).
Tempo della speranza nel ritorno glorioso di “colui che è, che era e che viene”, tempo della nostalgia di un Dio invisibile “dal volto umano”, l’Avvento è anche il tempo della profezia, ossia della capacità di discernere, sotto la guida dello Spirito santo, i segni della venuta del Signore nella nostra quotidianità. Modello di discernimento “profetico” è Giovanni il Battista, che riconosce e manifesta ai contemporanei – e ai cristiani di ogni epoca – la presenza salvifica del Signore “che deve venire”. (Mt 11,3).
Più generalmente, il richiamo è a scuoterci dall’eventuale sonnolenza spirituale per rimanere in stato di vigilanza operosa, prima che valere per i segni che lo Spirito ci dona nel presente: nella parola di Dio, nei sacramenti di salvezza, nelle relazioni di carità che lo Spirito stesso suscita primariamente all’interno del Chiesa, ma anche al suo esterno, dato che egli “soffia dove vuole”.
Proprio perché il Signore verrà alla fine dei tempi, è decisivo che l’hic et nunc della vita sia finalizzato a lui. Proprio perché Cristo risorto custodirà nel grembo del suo amore eterno ogni gesto di bontà, è importante essere vigilanti in ogni occasione in cui possiamo fare del bene, perché lì si può riconoscere un segno rivelatore della sua presenza: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. (Mt 25,40).
Ubi caritas et amor, Deus ibi est. In questo senso, si potrebbe dire con il frate-poeta David Maria Turoldo (1916-1992) che l’Avvento è il “tempo del concepimento di un Dio che ha sempre da nascere”. (Ballata della speranza, in IDEM, O sensi miei ..., 1990).don Mauro
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