Il brano tratto dal libro dei Maccabei sembra raccontare il coraggio di questi uomini e di queste donne che si erano accampati nel deserto e che, dinanzi all’ordine: “Uscite, obbedite ai comandi del re e avrete salva la vita”, rispondono: “Noi non usciremo né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno di sabato”. Si lasciarono piuttosto uccidere, testimoniando franchezza e coraggio.
A franchezza e coraggio sembra invitare Paolo, che esorta a prendere le armi, ma dentro una simbologia spirituale. L’armatura è quella di Dio, e si chiama verità, giustizia, vangelo, fede. L’elmo è l’elmo della salvezza e la spada è la spada dello Spirito. “La nostra battaglia è contro i dominatori di questo mondo” dice Paolo. Una parola chiara che porta a chiederci se, come credenti e come chiesa, diamo testimonianza di opposizione, o al contrario di acquiescenza, ai dominatori di questo mondo, se non addirittura di alleanza interessata con loro.
In un contesto di libertà, a rischio di opposizione e di persecuzione, si muove anche il racconto del Vangelo di Marco.
Siamo negli ultimi giorni dell’attività pubblica di Gesù. Gesù si trova a fare i conti con la classe dirigente del giudaismo ufficiale e il vangelo raccoglie cinque controversie con cui si cerca di attaccarlo, con la conseguenza che Gesù ormai entra in aperto conflitto. La questione del tributo a Cesare è una domanda trabocchetto per coglierlo in fallo. Se dici: “è lecito”, sei un collaborazionista dei romani, se dici “non è lecito”, sei un eversivo.
Il tributo, a differenza delle altre tasse, riguardava tutti i giudei, eccetto bambini e vecchi: lo dovevano all’occupante romano come sudditi e per la mentalità giudaica aveva un immediato risvolto religioso: era come togliere il primato a Dio.
Dunque è lecito o no? Glielo chiedono con parole accattivanti: “Maestro, sappiamo che sei un uomo veritiero, tu non hai soggezione di nessuno, non guardi in faccia a nessuno, insegni la via di Dio secondo verità”. Ma Gesù conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: “Portatemi un denaro”. E poi: “Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?”. “Di Cesare” gli rispondono. E infatti sulla moneta da una parte stava scritto: “Tiberio Cesare, figlio augusto del divino Augusto” e dall’altra: “Pontefice Massimo”. Risponde Gesù: “Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare e quello che è di Dio a Dio”. A Cesare spetta, se gli è dovuta, la moneta che porta la sua immagine. A Cesare spettano delle cose. A Dio tocca il tuo cuore, la tua mente, le tue forze: “Amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”. A Dio spetta la tua anima.
A nessun Cesare invece, a nessuna autorità sulla terra, fosse pure un’autorità religiosa, tu puoi vendere la tua anima. A nessuno: è di Dio! Dunque Cesare può mettere la sua immagine sulle tue cose. Su te, no.
Perché, secondo il Libro della Genesi, tu sei fatto a immagine e somiglianza di Dio. Ogni uomo e ogni donna, portano scolpita in sé, indelebilmente, questa immagine, che ci fa liberi. Che ci fa ribelli e resistenti a ogni tentativo di sottomissione. Che ci fa dire a chiunque: “Non ti appartengo, perché appartengo ad un Altro”.
Il libro dell’Apocalisse ci mette in guardia dal lasciarci mettere sulla fronte il marchio della Bestia, cioè di potere impazzito di sé, che confonde le coscienze e la verità, e tutto piega alla propria immagine e al proprio interesse. Il credente riconosce certo una autorità, e la rispetta con lealtà.
Ma dove trova la sua legittimazione Cesare, una autorità politica, se non nel suo instancabile operare, con onestà e intelligenza, per il bene comune, per la fraternità, per la libertà e la dignità di ogni uomo, di ogni donna, in particolare dei più svantaggiati?
Potremmo forse dire: il tributo a Cesare, all’autorità politica, sì, ma a patto che sia al servizio di ciò che sogna Dio per i suoi figli sulla terra.
A patto che ci si impegni anche politicamente per la libertà, la giustizia e la fraternità possibili, qui e ora, sulla terra.
E’ un criterio purtroppo, diciamolo, dimenticato, con le gravi ripercussioni devastanti che sono sotto gli occhi di tutti. Una politica è corretta non per il semplice fatto che a promuoverla siano gli uni o gli altri, ma per l’orizzonte che le muove.
Perché a Dio non interessa che gli consegniamo parole, ma che gli consegniamo una terra dove trovi rispetto la dignità di tutti i suoi figli.
Nessuno escluso!
Il vostro parroco, don Mauro