11^ Domenica dopo Pentecoste
Gesù manda, manda i dodici. Luca nel suo Vangelo allargherà il numero a settantadue, come a ricordarci che l’invito è allargato, allargato a tutti, a noi. Mandati dunque! Apostolo significa “mandato”. Come se al nome e a noi fosse legata questa caratteristica: di non rimanere, di andare fuori. Mandati dove? Per le strade, nelle case. Non per nulla la Messa finisce con questo verbo, che non va banalizzato: “andiamo in pace”. Andate dentro la vita, strade e case nella vita feriale, che pulsa e freme nelle case, per le strade. Andate non illudendovi che le situazioni siano facili. “Vi consegneranno”, un verbo che riguarda da vicino la sorte di Gesù, che spesso ai discepoli ricordava che lo avrebbero consegnato. Ma anche nella durezza della vita, persino nella persecuzione, sembra dire loro Gesù, non perdete uno stile. Vi caratterizzi uno stile, il mio stile.
Che forse potremmo identificare in due parole, saggezza e mitezza: “Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi, siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. Invito dunque a essere “saggi”, come dice il termine, avveduti. Un invito che ci riguarda, un invito a mettere in gioco la nostra intelligenza, la nostra intraprendenza, la nostra capacità di discernere.
Avete capacità, avete maturità, avete intelligenza... usatele!
Usatele per interrogarvi sulle cose. Ma l’intelligenza delle situazioni non si muti in affanno, come se voleste tenere tutto sotto controllo, tutto programmato, tutto nelle vostre mani.
“Quando vi consegneranno non preoccupatevi di come o di che cosa dire, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”.
E compagna della lucidità sia la mitezza. “Vi mando come agnelli”: rimanete agnelli. Non diventate lupi, camminate con la logica della gratuità nella società dell’ingordigia, camminate con la logica del chinarsi sulle cose piccole nella società dell’ostentazione e dell’arroganza: si realizzerà allora, sia pure in parte, il sogno di Dio sulla terra.
Forse anche la vicenda di Elia potrebbe essere letta come un invito a non abbandonare, anche nei contrasti duri dell’esperienza profetica, uno stile che è quello di Dio, uno stile che gli si rivela sul monte. Ma come?
Dentro un rumore simile a un silenzio leggero. Era giunto sul monte Oreb, luogo della grande rivelazione a Mosè. Come vi era giunto? Il suo non era stato certo un pellegrinaggio, più o meno devoto, alla montagna santa. La sua era una fuga, era un uomo in fuga, dopo giorni e giorni di deserto, quaranta giorni. In fuga dalla regina Gezabele che lo cercava a morte per via di quel massacro dei profeti di Baal. Elia li aveva uccisi di mano sua, in nome del Dio di Israele. Era giunto al monte santo dunque, diremmo, con il cuore in gola.
A Elia è concesso di spiare il passaggio di Dio. La voce era risuonata nella grotta di rifugio: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Dove sarà Dio, come passerà Dio? E lui, profeta minaccioso, immagina che Dio debba passare nei segni forti: nel vento impetuoso e gagliardo che spezza le rocce o nel terremoto che squarcia la terra o nel fuoco che la divora. E Dio, no, non è in questi segni grandiosi eccezionali, potenti. Dio è nel sussurrio di una brezza leggera, è in un rumore di silenzio. Fa rumore il silenzio?
Dio dunque dovremo cercarlo nei segni quotidiani. Forse anche per questo ci è difficile cogliere il passaggio di Dio nella nostra vita: è in un rumore di silenzio! E in un rumore di silenzio vuole i figli, li vuole nella mitezza, li vuole semplici come le colombe, lontani dall'intolleranza. Come, scrive Paolo, cui basta la grazia: la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza.
Vivere da “figli” è possibile in ogni condizione, in ogni ambiente, sotto ogni regime: i Santi ce lo testimoniano: trovare in modi inattesi il modo di essere se stessi in compagnia del loro Signore.
Il vostro parroco, don Mauro