Gesù Cristo è venuto, viene e poi verrà. Verrà è il senso più profondo della liturgia che stiamo celebrando. Verrà un giorno: “Nell'attesa della tua venuta”. E un giorno verrà nella gloria, non nella povertà come è venuto a Nazareth: “Nella gloria a giudicare i vivi e i morti”. Il Signore verrà a portare a compimento, si compiacerà di dare l’ultimo tocco alle opere di giustizia che avremo intrapreso sulla terra. Noi, in cielo, - ricordiamocelo – un giorno godremo di quelle cose che qui sulla terra ci siamo sforzati di far progredire nei segni. Provo a spiegarmi attraverso due esempi.
Vorremo godere la pace? Se avremo lottato per la pace qui, se ci saremo sforzati di farla fiorire nei segni, la godremo lì. Vorremo la fraternità. La serenità? Se l’avremo coltivata qui, nel nostro giardino, anche se il fiore non è spuntato… la pace, la serenità la godremo nel cielo.
L’Avvento è questo: Dio è venuto, viene e verrà. Noi, allora, viviamo nell’attesa del suo ritorno. Capite tutti quale impegno ci viene presentato per la vita di ogni momento: dopo aver celebrato l’Eucaristia, non potremo più andarcene a casa e rimanere inerti, insensibili alla voce di chi soffre, alla voce di chi piange e di chi è afflitto; insensibili a tante sofferenze e dolori. Non possiamo più disinteressarci degli altri; non possiamo più camminare da soli, dobbiamo camminare insieme. I sacerdoti sono pochi… Però i laici sono tanti! Siamo tanti: quanti giovani, quante persone, quanta gente! Tutti battezzati. E’ tutto il popolo di Dio che deve camminare! Ci vuole una comunione nuova, ci vuole uno sforzo per entrare in una comunità d’intenti più forte, una convergenza più univoca. Ci vuole impegno per collegare le fila, perché tante volte noi corriamo, ma non avanziamo. Si può correre, ma non sempre si progredisce: a volte, in una comunità cristiana si possono anche verificare delle spinte isolate in avanti, ma che non danno nessun frutto alla comunità. Ecco allora: su questi punti dobbiamoconfrontarci, sostenerci, aiutarci reciprocamente, e non soltanto in Chiesa ma anche laddove si veicola la vita ecclesiale, cioè nei gruppi, nelle associazioni, negli incontri fraterni, affinché si crei questa coscienza comunitaria nuova che ci spingerà avanti, verso il Regno di Dio che noi Chiesa siamo chiamati ad annunciare con gioia. Questo è il mio augurio, cari fratelli, che tutti noi possiamo essere permeati dalla parola del Signore e andare incontro al destino che Lui ci ha disegnato. Oggi non si attende più. La vera tristezza non è quando ti ritiri a casa la sera e non sei atteso da nessuno, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio. Oggi abbiamo preso, invece, una direzione tantino barbara: il nostro vissuto ci sta conducendo a non aspettare più, a non avere neppure il fremito di quelle attese che ci riempivano la vita un tempo. Intuiamo tutti che abbiamo una vita prefabbricata, per cui ci lasciamo vivere, invece di vivere. Oggi l’Avvento c’impegna invece a prendere la storia in mano, a mettere le mani sul timone della storia attraverso la preghiera, l’impegno e l’indignazione. Attesa, attesa, ma di che? Che cosa aspettiamo?
Aspettiamo prima di tutto un cambio per noi, per la nostra vita spirituale, interiore.
Buona attesa, dunque. Il Signore ci dia la grazia di essere continuamente all’erta, in attesa di qualcuno che arrivi, che irrompa nelle nostre case e ci dia da portare un lieto annuncio!
don Mauro
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