A una settimana dal voto l’arcivescovo domanda di rileggere il passato con umiltà e realismo.
Di Mario Delpini*
Spesso, rileggendo la storia, noi cristiani restiamo umiliati e confusi. Avremmo dovuto essere l’anima del mondo, invece, ci siamo, come tutti, lasciati sedurre dall'avidità delle ricchezze e dalla bramosia del potere. Avremmo dovuto essere un principio di unità tra i popoli e, talvolta, siamo stati un elemento di divisione tra cristiani, credenti nell'unico Signore. Avremmo dovuto essere il popolo della pace e, invece, in alcuni momenti - in troppo lunghi momenti -, ci siamo fatti la guerra. Avremmo dovuto essere gente solidale, attenti ai poveri, disponibili all'accoglienza e, invece, troppe volte, siamo stati popoli conquistatori, che hanno saccheggiato il pianeta e hanno umiliato i popoli.
Rileggendo la nostra storia, tanto spesso ci sentiamo umiliati perché non possiamo recidere il nostro legame con le generazioni che ci hanno preceduto e non possiamo dire che non c’entriamo con la storia che è stata scritta. Anche per questo motivo ci sentiamo umiliati: perché i popoli europei, molti, in Europa, hanno pensato che fosse meglio fare a meno del cristianesimo per costruire la pace, la civiltà. Ma questa decisione, di lasciare perdere il riferimento a Gesù Cristo e alle Chiese, ha creato drammi peggiori e guerre più tremende. Così, il continente Europa ha delle buone ragioni per sentirsi umiliato, quando rilegge la sua storia. Ma questa umiliazione - in questo tempo, dai Padri fondatori dell’Europa e per tutti questi decenni - non ci induce allo scoraggiamento. Ci insegna che costruiremo l’Europa non perché saremo più bravi dei nostri padri, più spirituali e più liberi, ma perché ci affideremo alla preghiera di Gesù.
Camminiamo verso una nuova Europa, noi, Chiese cristiane, perché lasciamo che Gesù preghi per noi: «Che siano tutti una cosa sola, come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato».
Perciò, umiliati da alcuni episodi drammatici della nostra storia, forse, è tempo che impariamo l’umiltà. Così, consapevoli dei fallimenti della nostra intraprendenza, è tempo che impariamo la docilità. Persuasi che siamo un popolo che, forse, ha troppo dimenticato la preghiera, vogliamo metterci dentro la preghiera di Gesù. Vogliamo essere l’anima dell’Europa perché vogliamo pregare, vogliamo imparare a pregare. Vogliamo imparare a camminare in umiltà e mitezza. Vogliamo guardarci gli uni gli altri come fratelli e sorelle che sono chiamati a dare compimento, per grazia di Dio, a questa preghiera, «Perché siano tutti una cosa sola».
Non siamo perfetti, non abbiamo imparato tutto dalla nostra storia; però, siamo qui, a proporci che - per grazia di Dio - scriveremo una storia nuova.
*Arcivescovo di Milano
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