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GIORNALINO INCONTRO N.4

E' uscito il secondo numero del giornalino INCONTRO.
La copia cartacea la puoi trovare nelle nostre due Parrocchie.
Buona lettura!

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AVVISI - 29 OTTOBRE 2023

IL CAMMINO CRISTIANO

Essere cristiano non è l’adesione a una teoria religiosa e morale, ma la scelta di voler seguire Gesù Cristo, l’uomo che è Dio, l’uomo nel quale ritrovare la propria verità totale e la soddisfazione alle esigenze più profonde. Questa scelta investe tutto il divenire della persona stessa e diventa un cammino, cioè un continuo adeguarsi a quanto la parola di Dio offre come misura della sincerità e dell’obbiettività della propria scelta. L’immagine del cammino suggerisce l’idea di possibili stanchezze, di difficoltà di fronte a ostacoli e pericoli, di confusione e perplessità al bivio e ai crocicchi che si incontrano lungo la strada e contiene anche l’esperienza di un paesaggio che varia presentando nuove prospettive e nuove possibilità. L’idea del cammino genera subito l’interrogativo: “Qual è la strada su cui camminare?” Se il cammino è il modo di essere cristiano, la strada sarà quella indicata da Gesù Cristo, anzi la strada è Lui stesso, come si definisce rispondendo a Tommaso l’ultima sera: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). In altre parole, il cristiano per essere tale dovrà seguire ciò che Gesù ha insegnato, rispondere ai suoi appuntamenti e non seguire le proprie inclinazioni, i propri gusti o la mentalità generale. Questa è la caratteristica del cristiano, ma questa è anche la difficoltà di sempre, perché da una parte  si teme di perdere la propria identità e dall’altra si confondono fantasia e proprie visuali con l’insegnamento evangelico.
La sequela di Gesù nasce dalla conoscenza di lui, della sua Parola, del suo atteggiamento nel quale si è trovata la risposta soddisfacente alle proprie attese più profonde e spesso nascoste nell’animo, nasce quindi da un’esperienza vissuta e iniziata come “obbedienza” a qualcosa di imposto, ma divenuto subito “scelta voluta” per continuare quanto si è scoperto come utile e prezioso per la propria vita. Tutta la morale cristiana si regge e si svolge su questa certezza. Se Gesù, che è uomo come me ed è Dio, ha inventato la mia umanità e propone un preciso comportamento, realizzarlo è l’unica scelta più opportuna, è la vera “furbizia”. Libertà allora coincide con verità: più realizzo quanto Gesù mi insegna, tanto più sono certo di costruire la mia personalità e quindi raggiungere la mia pienezza, cioè la mia gioia.
Ecco superato in un continuo riferimento alla totalità di me stesso il dilemma tra dovere e piacere, tra libertà e cedimento a piccoli desideri momentanei.
“Devo andare a messa!”, cioè seguire Gesù e so che lui rinnova per me e con me la sua ultima cena e il dono totale di sé, non posso fare a meno (lo devo a me stesso) di incontrare Gesù, ascoltare la sua Parola, unirmi a lui che mi trasmette il suo amore e la sua forza. Non è più un obbligo freddo e pesante (il precetto), ma la fortuna di potermi unire a Gesù e sentirmi amato da lui. Devo confessarmi”, cioè riconosco di avere tradito me stesso, la mia dignità di figlio di Dio e, attraverso il prete, Gesù stesso mi aiuta a scoprire sbagliato e negativo ciò che a sembrava accettabile e mi promette il suo aiuto per correggermi. “Devo amare il prossimo senza razzismi di alcun genere e aiutare chi si trova in situazioni dolorose” perché Gesù mi ha rivelato che siamo tutti fratelli amati da Dio, che è Padre di tutti e così rendo più grande e più ricca la mia vita quotidiana. Devo fare dell’amore non un sentimento istintivo ma un dono” perché Dio mi dà il suo amore che è eterno e infinito e così non inganno e non tradisco nessuno, e provo in me una gioiosa sensazione che allarga il mio cuore e mi libera dall’egoismo e dall’orgoglio che uccidono la sorgente dell’amore.
Tutte queste sono altrettante affermazioni generate dalla scelta fondamentale religiosa e sono decisioni che ci rendono più veri e più liberi, anche se richiedono fatica, impegno e generosità. Il “buon cristiano” allora è la persona più furba e più libera perché gestisce tutta la sua vita in sintonia con il Vangelo, capace di gesti e scelte talvolta difficili e in contrasto con la mentalità generale, ma sempre tesi alla grandezza autentica della persona umana. Ci sarà sempre qualcuno che critica, disprezza e ridicolizza il comportamento cristiano: è sempre avvenuto nei modi più violenti e crudeli o meno vistosi, ma sempre umilianti, ma il cristiano non cede a queste meschinità che Gesù ha predetto: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me... poiché voi non siete del mondo” (Gv 15,18). La certezza di essere dalla parte di Gesù conforta e consola, infonde la forza per non arrendersi e far fiorire una posizione di serenità e di fiducia necessarie per continuare senza mai fermarsi.

don Mauro

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AVVISI - 22 OTTOBRE 2023

SI COMINCI DA UNA CAREZZA

Un racconto rabbinico narra di Dio che al giorno del giudizio si siederà su due troni: il “trono del giudizio” e il “trono della misericordia”. Quando ci troveremo davanti a lui, lo troveremo seduto sul trono del giudizio e da lì ci farà l’elenco delle nostre cattiverie e di che cosa ci meriteremmo. Ma a questo punto Dio si siederà sul trono della misericordia e terrà conto di tutte le nostre buone azioni, della nostra debolezza di uomini. E alla fine valuterà. Ma gli angeli, che sono amici degli uomini, metteranno un bel cuscino morbido sul trono della misericordia, così Dio non si alzerà più di lì.
Sono infinitamente grato a papa Francesco che col suo modo di essere, di guardare e di relazionarsi alle persone, al mondo, ci regala continuamente questa dolcissima e granitica certezza: un Dio oceano di misericordia, una misericordia che è baricentro del modo di vedere e operare di Dio. Una misericordia che è la sua prima e ultima parola, dalla creazione alla croce.
“L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della  sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole”. (papa Francesco, Misericordiae Vultus, n.10)
Ciò che scandalizza è la misericordia! Da sempre. Basterebbe leggere i Vangeli e trovare le infinite volte che Gesù, il nostro Maestro, ha spiazzato tutti con le sue parole, i suoi silenzi, le sue scelte, gli atteggiamenti del suo cuore, con la sua divina tenerezza: “La divina tenerezza tutto salva, vuol salvare tutto. E non dispera di nessuno, crede che vi sia sempre una strada. Senza sosta, continua infaticabile a partorire, curare, nutrire, rallegrare e confortare”. ( Maurice Bellet)
Per raccontarvi di questo oceano di misericordia che è il nostro Dio scelgo un dettaglio del famosissimo quadro di Rembrandt, “Il ritorno del figliol prodigo”. Un dettaglio di rara bellezza e di straordinaria intuizione teologica.
“Il vero centro del dipinto di Rembrandt è costituito dalle mani del Padre. In esse si incarna la misericordia, in esse confluiscono perdono, riconciliazione e guarigione. Queste mani sono diverse tra loro. La mano sinistra, posata sulla schiena del figlio, è forte e muscolosa. Quella mano sembra non soltanto toccare, ma anche, con la sua forza, sorreggere.
Come è diversa invece la mano destra! Essa non sorregge né afferra. È una mano raffinata, delicata e molto tenera. Le dita sono ravvicinate e hanno un aspetto elegante. La mano è posata dolcemente sulla spalla del figlio. Vuole accarezzare, calmare, offrire conforto e consolazione. È una mano di madre. Il Padre non è semplicemente un grande patriarca. È sia una madre che un padre.  Lui sorregge, lei accarezza. Lui rafforza, lei consola”. (H.J.M. Nouwen, L’abbraccio benedicente)
È una parabola, quella del figlio prodigo o meglio del Padre misericordioso, che andrebbe letta, riletta, “mangiata”, rimuginata di continuo ... è rivoluzionaria, scavalca i soliti confini, butta per aria i comuni modi di pensare. Una parabola che ha un unico vero protagonista: il padre che corre incontro al figlio. “Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. (Luca 15,20). L’amore sa attendere pazientemente e soprattutto non si arrende, non dispera. L’amore, corre, vola...Mi torna in mente un proverbio: “Quando muovi il primo passo verso Dio, lui ti sta correndo incontro”.
H.J.Nouwen, nel suo splendido libro L’abbraccio benedicente, scrive ancora: “Un figlio non rimane un bambino. Un figlio diventa un adulto. Un adulto diventa padre e madre. La sfida, o meglio la chiamata, è diventare io stesso il Padre. Sono intimorito da questa chiamata. Sebbene io sia entrambi, tanto il figlio minore che quello maggiore, non devo rimanere come loro, ma diventare il Padre. Voglio essere non solo colui che è perdonato, ma anche colui che perdona; non solo colui che è accolto festosamente a casa, ma anche colui che accoglie; non solo colui che ottiene compassione, ma anche colui che la offre. Il ritorno al Padre è in definitiva la sfida a diventare il Padre. Diventare il Padre misericordioso è lo scopo ultimo della vita spirituale”.
Saremo credibili se sapremo curare le ferite, se non ci stancheremo di incontrare quanti sono in attesa vi vedere e toccare con mano i segni della vicinanza di Dio, se sapremo offrire a tutti la via del perdono e della riconciliazione, se sapremo restituire speranza, luce, possibilità di ricominciamenti, certi che tutto ciò farà risorgere anche la nostra umanità a volte congelata. A questo vi invito: “Se non si sa da che parte iniziare, s’incominci da una carezza”.

don Mauro

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AVVISI - 15 OTTOBRE 2023

UNA SIGNORA CHE NON INVECCHIA: LA PARROCCHIA

Ho qui tra le mani un testamento scritto nell’agosto del 1954. Il testamento di un parroco: don Primo Mazzolari. Una riga sta, incastonata come gemma tra le altre righe, asciutta e potente: “Dopo la Messa, il dono più grande: la Parrocchia”.

Posso dirlo anche per me, prete da 44 anni. Anni vissuti intensamente, felicemente dentro la realtà parrocchia. Scommettendo sulla parrocchia. Perché è proprio qui, nella parrocchia che la Chiesa, il Vangelo, “fanno casa” con l’uomo, entrano nel tessuto della vita, nella trama delle relazioni, nel vissuto quotidiano, ordinario. Ed è in questo “ordinario”, che rimbalza o danza tra l’amore e il dolore, la gioia e la sofferenza, il dubbio e la speranza, l’emozione e la ragione, la paura e il coraggio, la forza e la debolezza, proprio qui ho incontrato persone straordinarie, con l’albero della fede ben piantato nel cuore, con una speranza coriacea che non si arrende, con una inaudita capacità di amare, di essere solidale, di servire. Testimoni del “centuplo quaggiù”, che si mettono alla scuola di Gesù per imparare l’arte di vivere e persino quella di morire.

Hanno scritto che i cristiani con la loro vita, la loro presenza, la loro testimonianza devono saper essere un grande punto interrogativo per gli uomini, segno di una fede non acquietante e facilmente consolante, segno di una inquietudine che non rinuncia alle domande più significative, che non fugge i dubbi. Hanno scritto che i cristiani devono saper essere anche un punto esclamativo, capaci di stupore e di entusiasmo, capaci di mostrare la vita evangelica come gioia, non come rassegnazione. Mi piacciono molto queste immagini che sanno parlare al cuore degli uomini e dell’oggi. Ne aggiungo un’altra: un punto speranza. Credo che i cristiani debbano saper essere così. Credo che una parrocchia debba essere così: punto, luogo, fonte, miniera di speranza. Perché è la speranza la grande assente nella vita di molti, nella vita della Città. Quella speranza che oltrepassa la statura dell’uomo, che oltrepassa la prudenza, che non è mai facile, mai banale, mai illusoria. Quella speranza che restituisce alla vita, che fa ricominciare ogni giorno. Quella speranza che sa essere inventiva, che non si arrende alle difficoltà, a ciò che appare impossibile ai più. Quella speranza per il qui e l’ora che prende senso, forza e audacia dalla speranza in Cristo morto e risorto, in una vita che non muore.

Proprio la parrocchia, luogo dell’accompagnamento alla fede, alla vita, all’amore, al dolore, al discernimento, deve saper essere “serva” della speranza, deve saper essere il luogo dell’ascolto, dell’aiuto alla risposta.

Conoscere le persone, rispettarne il loro mistero, il loro cammino, i loro tempi. Conoscere i loro bisogni, le loro attese, i loro sogni.  Conoscere il quartiere, le dinamiche sociali, economiche, il bisogno di solidarietà e di giustizia. Conoscere e progettare. Questo è essere “punto speranza”. Ed è la domenica, il giorno del Signore, il “faro” di questo punto speranza. Un faro che prende luce dal cielo, da Cristo morto e risorto. Non c’è parrocchia senza domenica. È la liturgia domenicale che dà forma alla vita cristiana di ciascuno e della comunità.

La davano per morta, la parrocchia. E invece no. È più viva che mai. Più giovane che mai. È una signora che non invecchia, che ha curato e continua a curare alcune sue rughe, che non si culla nel ricordo del passato ma sa “mordere” il presente, sa raccogliere le sfide del presente.

Il Cardinal Carlo Maria Martini ce lo ha ripetuto spesso: “Il Signore ci invita a uscire dalla lamentosità di una minoranza che non cessa di rivangare il passato, di sognare ritorni assai difficili dal punto di vista cronologico e culturale; ci invita ad accettare il nostro ruolo propositivo e missionario, educando ad un realismo coraggioso, che scegli iniziative capaci di incidere in questa, non in un’altra società”.

Il tempo procura rughe, profonde come solchi, a chi si lascia andare a malinconiche nostalgie, a chi si occupa solo di sé. È l’amore, è la passione per Dio e per l’uomo che mantengono intatta la giovinezza. Anche quella di una parrocchia. È la capacità di leggere il presente, i segni dei tempi, il cambiamento che ci incalza, che mantengono intatta la freschezza. Anche quella di una parrocchia. È la capacità di non rinchiudersi fra le mura, pur solide, della parrocchia e di lanciarsi nel crogiolo della città che mantiene intatto lo slancio vitale e l’entusiasmo. Anche quelli di una parrocchia.

Ci vogliono più saggezza e più follia evangeliche per crescere, per non invecchiare. Nella certezza di avere sempre su di sé lo sguardo benedicente e amante di Dio.

don Mauro

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AVVISI - 8 OTTOBRE 2023

DIO MOLTIPLICA IL CUORE

“Quasi ogni giorno leggo una pagina dei Vangeli. Trovo che siano testi straordinari, forse ineguagliabili per la capacità che possiedono di parlare della vita e alla vita. Non si tratta però di una lettura consolatoria: al contrario, ti prende alla gola”.

Con le parole dello scrittore Claudio Magris che interpella e si fa interpellare dalla Scrittura, con la fedeltà e la passione di un innamorato nei confronti dell’amata, invito nuovamente al Vangelo perché – come più volte ho detto -  a un cristiano non basta il senso comune, il buon senso ... a ogni cristiano è chiesto di vivere la vita alla luce del Vangelo; e il Vangelo è il vero antidoto al semplice senso comune, alla paura, alla perdita di speranza, alla perdita di umanità, alla chiusura, al rischio che purtroppo anche i cristiani corrono di uniformarsi a quel pensiero corrente che spinge ad occuparsi e preoccuparsi soltanto di sé.

In questo nostro tempo di nuovi e raccapriccianti muri occorre lasciare che la Parola di Dio diventi carne in noi e muova il nostro cuore, le nostre mani, i nostri occhi, i nostri gesti, in giustizia, in tenerezza, in misericordia, in apertura. Diceva Bernanos: “Èsbalorditivo come le mie idee cambiano quando prego!” Gesù di Nazareth e il suo Vangelo rovesciano i nostri punti di vista, ci spiazzano continuamente, ci invitano ad avere il cuore grande di Dio. Di questo abbiamo bisogno, della preghiera, perché la Parola di Dio possa diventare la nostra lingua materna, ispirare il nostro cuore, abitare dentro di noi come una persona amata, trasformare i legami sociali.

“La preghiera è il punto dove la solitudine cede all’incontro, non più dell’io, non più del tu, ma del noi. Alla fine la preghiera non trova un oggetto, ma una porta, un’apertura, una falla di luce. Che ci fa, a sua immagine, porta attraversata, soglia varcata, preludio a un abbraccio di cui quelli della terra sono parabola e nostalgia”.
(padre Ermes Ronchi)
La preghiera ci spalanca una porta ... proprio come la porta del quadro di Renè Magritte ( L’Atto di fede, 1960). Una porta sfondata su un balconcino delimitato da una ringhiera che si affaccia su un cielo notturno. Oltre il balcone il cielo e un esile spicchio di luna.

E Alessandro Cortesi, frate domenicano, commenta così il quadro di Magritte: “Nella porta sfondata è racchiuso un invito ad andare oltre, a volgere lo sguardo ad una realtà che ha dimensioni più profonde di quella che trattiene il nostro quotidiano. Oltre ad essa c’è una oscurità da affrontare, ma anche la prospettiva di una luce verso cui andare. È invito a partire, a solcare la soglia per entrare in orizzonti che sembravano chiusi e che invece sono aperti oltre il reale a portata di mano. È anche invito a vivere la fede come oltrepassamento per non lasciarsi rinchiudere entro un mondo dove tutto sembra sia chiaro e spiegato entro confini determinati. L’Acte de foi può essere una  immagine che fa scorgere la dimensione della fede come viaggio, come un andare oltre”.

Andare oltre senza lasciarsi rinchiudere ... è questo il compito della preghiera! Pregare fa accadere uno splendido miracolo: Dio ci moltiplica il cuore! Il nostro Dio entra dentro di noi e dilata le nostre pareti. Nella preghiera impariamo a lasciarci amare da Dio e impariamo ad amare, a diventare degli amanti. E dare e ricevere amore è la beatitudine, la vera gioia della vita. È nella preghiera che si aprono le nostre porte.

“Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi! Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude”.
(Papa Francesco)

don Mauro

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AVVISI - 1 OTTOBRE 2023

UN ANNO ORATORIANO PIENO DI VITA

Il Messaggio del vescovo Mario è certamente un messaggio forte in riferimento alla persona di Gesù, perché vuole ridire, ai ragazzi, agli adolescenti, ai giovani... a tutti quanti l’Oratorio lo vivono partecipando, che Gesù riempi la vita, proprio perché Gesù ha fatto della sua vita un dono che ci coinvolge. Siamo infatti invitati dal nostro Arcivescovo Mario a riconoscere che c’è una vita ricevuta; è l’invito alla comunità educante ad essere persone che ritornano a fare il “pieno di vita” per poter poi, portare qualcosa, con novità e semplicità ai ragazzi.

L’Oratorio come “luogo” e “tempo” in cui vivere l’esperienza di cui i giovani hanno un particolare bisogno, cioè sentirsi a casa, sentirsi riconosciuti. Insomma: l’Oratorio come “luogo di senso, di significato”.

È bello che il nostro Arcivescovo il 6 settembre pregando nel Santuario della Spogliazione ad Assisi abbia affidato al beato Carlo Acutis questo nuovo anno di vita comunitaria e di proposta oratoriana. Scrive il vescovo Mario, Carlo Acutis mi ha detto: “Sono contento e onorato che Tu, Arcivescovo di Milano, sia venuto a promettere che gli oratori della Diocesi di Milano contribuiscono a tenere accesa la Lampada che è stata collocata presso la mia tomba. Ma non mi accontento di una lampada: chiedo a tutti di tenere acceso nel cuore il fuoco che lo Spirito vi ha posto, perché ci sia in tutti i ragazzi e le ragazze della Diocesi una gioia, una speranza, un ardore per evitare di essere noiose fotocopie ed essere invece veri amici di Gesù. Un fuoco arda nella vostra fragile libertà perché resista al vento e si decida di dare compimento alla Facciamolo nostro questo invito! Interiorizziamolo! Vorrei davvero tanto che gli adolescenti che ieri sono stati protagonisti della Fiaccolata che dal Sacro Monte di Varese è giunta al nostro Oratorio lascino ardere nel loro cuore quel fuoco che si sono passati di mano in mano per tutto il tragitto. vocazione di ciascuno”. “La Lampada è viva, è piena di vita, perché ha ricevuto il fuoco. Ecco perché siamo vivi: perché abbiamo ricevuto la vita. La vita è dono. Chi vive, vive di una vita ricevuta. Noi riceviamo la vita da Gesù che è la vita del mondo”. ( cfr. Messaggio dell’Arcivescovo).
“È irrinunciabile la domenica e la messa della comunità, perché solo Gesù risorto può essere la Vita che da senso alla vita e solo la domenica può essere il giorno che spiega come e perché vivere il lunedì e gli altri giorni”.
“Impariamo così che il dono della vita non è un documentario, non è una fotografia, ma l’incontro con chi può darci vita, con Gesù e con gli angeli che Gesù manda per rivelarci quanto grande sia il tesoro che è in noi e quanta gioia e quanto amore ne possano venire”.

Oggi la Festa la iniziamo, sta a noi non farla finire, come ci ricorda e richiama una bella canzone perché la “festa siamo noi!” L’Oratorio, quando davvero è quello che deve essere, è senza dubbio un’esperienza di sinodalità riuscita, dove la comunione, la partecipazione e la missione sono unificate in forma dinamica e convincente divenendo così una profezia di fraternità in atto. E se l’attuale cammino sinodale è caratterizzato dai tre verbi “incontrare, camminare, discernere”, anche qui l’Oratorio è una punta di diamante, perché in oratorio prima di tutto ci si incontra, poi si cammina insieme e infine ci si interroga come essere una Chiesa viva e vivace nel mondo e nella storia.

Ripensando a ciò che ha significato per me l’oratorio posso affermare è stato per me una realtà in cui ho vissuto la fanciullezza e l’adolescenza, che mi ha davvero dato forma e offerto uno stile esistenziale, un modo di stare al mondo che no ho mai più abbandonato. L’oratorio è stata la mia esperienza di Chiesa nel tempo della giovinezza; è stata la mediazione verso la mia vita di fede, che ho maturato proprio in quel contesto esistenziale. L’oratorio un’esperienza di vita di cui essere felice, grato e fiero. Nell’oratorio mi sono sentito accolto con affetto, chiamato per nome, coinvolto in modo creativo, spinto a scoprire i talenti e invitato a metterli al servizio di tutti; in oratorio è nata la mia vocazione.

Quanto vorrei che ancora per tanti e tanti ragazzi adolescenti e giovani l’oratorio possa essere questa “scuola di vita”. Me lo auguro e chiedo l’aiuto al Signore.

don Mauro

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AVVISI - 24 SETTEMBRE 2023

LA MACINA E LA CETRA

“Veit Bach, un fornaio residente in Ungheria, fu costretto ad abbandonare il paese per salvaguardare la propria fede. Si stabilì a Wechmar dove riprese a esercitare il suo mestiere. Era affezionato a una piccola cetra che portava con sé al mulino per suonare, mentre la macina era in movimento. Concerto meraviglioso! In tal modo imparò ad andare a tempo. Così, più o meno, è cominciata la musica nella famiglia Bach”. In questo modo, quasi scherzoso, Johann Sebastian Bach inizia un suo scritto sulle origini della famiglia musicale Bach. La macina la conosciamo anche troppo. E non è difficile richiamarla alla memoria: la macina del lavoro quotidiano, la macina delle preoccupazioni, la macina dell’angoscia, la macina dei vicini, la macina degli altri, la macina dell’usura, la macina della notte, la macina della fatica e del pane, la macina che tritura, ma che deve triturare affinchè il tegumento del grano, la crusca e la farina possano essere separati, offerti, consumati! E la cetra? La cetra del canto, la cetra della musica e del sogno, della melodia, della nostalgia, dell’utopia ...la cetra del desiderio. Sono necessarie entrambe: la macina senza la cetra è qualcosa di troppo pesante. La cetra senza la macina è qualcosa di troppo leggero. La macina e la cetra.

Nella vita di un uomo forse sono possibili soltanto due cetre: il culto di sé o la preghiera. Nel suo mulino Bach girava la macina, il cui ritmo instancabile scandiva l’incarnazione del lavoro quotidiano e del pane di ogni giorno. Ma aveva con sé la sua cetra. Questa cetra gli era necessaria per ripetersi che la lotta di ogni giorno, che l’incarnazione non avrebbero alcun senso se non producessero una melodia: la melodia dell’anima che prega, che loda, che adora. Non ci è possibile fare a meno della macina: tutti sappiamo benissimo che è sempre presente. Nessuno vi sfugge. Ma disgraziato colui che credesse di poter fare a meno della cetra. Questo è l’inizio di ogni cosa: la macina e la cetra”. (Bernard Bro)

Amo questo racconto e sono felice di condividerlo con voi. Macina e cetra: preghiera e lavoro, amore e paura, gioia e dolore, forza e debolezza che si intrecciano, si intersecano. Qui Dio e l’uomo si incontrano, ora in un abbraccio, ora in una lotta corpo a corpo. Spero che ciascuno di noi possa scoprire sempre più intensamente la melodia della cetra, della preghiera.

Una melodia appartenuta prima di ogni altro a Gesù di Nazareth che nei Vangeli viene sempre descritto come “assediato” da tanta gente da ascoltare, da aiutare, da guarire e insieme assiduamente impegnato a cercare momenti di solitudine per incontrarsi con suo Padre che lui chiama confidenzialmente e teneramente “Abbà ...papà. Nelle pagine evangeliche lo scopriamo capace di mettere meravigliosamente insieme azione e contemplazione: proprio perché è sempre vicino al Padre può essere vicino a tutti, capace di farsi servo di tutti perché prima e sempre servo di Dio. La preghiera era il suo segreto. E il segreto di tanti che nella storia hanno fatto grandi cose. Può diventare il nostro segreto, la nostra forza, la nostra sorgente. Possiamo cominciare a pregare con il Vangelo fra le mani. Ecco uno splendido suggerimento tratto dal libro “Vivere lo Spirito” di Henri J.M. Nouwen (1932-1996), una delle figure spirituali che più hanno inciso sulla mia vita di prete. “La contemplazione quotidiana del Vangelo e la ripetizione attenta di una preghiera possono influenzare profondamente la nostra vita interiore. La nostra vita interiore è come uno spazio santo che deve essere tenuto con cura e decorato in modo appropriato. Dopo aver trascorso alcune settimane ripetendo lentamente le parole di Paolo l’amore è paziente e benigno; l’amore non è invidioso; l’amore non cerca il proprio vantaggio, queste parole cominciarono ad apparire sulle pareti della mia dimora interiore un po’ come un certificato di laura nello studio di un medico. Col passare degli anni molti nuovi quadri sono apparsi sulle pareti della mia dimora interiore. Alcuni rappresentano delle parole, altre dei gesti di benedizione, di perdono, di riconciliazione e di guarigione. Molti rappresentano dei volti: i volti di Gesù e di Maria, i volti di Teresa di Lisieux e di Charles di Foucauld ... È molto importante che la nostra dimora interiore abbia dei quadri alle pareti, quadri che consentono a coloro che entrano nella nostra vita di avere qualcosa da guardare, che dica loro dove sono e dove sono invitati ad entrare. Senza preghiera e senza contemplazione le pareti della nostra dimora interiore resteranno povere e pochi ne saranno ispirati”. La preghiera sa compiere miracoli inaspettati ... Quando un cristiano prega sul serio, si ritrova un cuore cambiato... Quando un cristiano prega sul serio, impara il “come”, questa piccolissima parola che risuona nelle pagine evangeliche: “siate misericordiosi come il Padre...Amatevi come io vi ho amato”. Quando un cristiano prega sul serio, impara a decentrarsi, impara a dire “tu”, a dire “noi”, impara la tenerezza, la misericordia, la gratuità, la carità, trova strade impensate. Quando un cristiano prega sul serio, vede meglio, comprende meglio, si trova con idee e giudizi che cambiano. Fa così papa Francesco, uomo abitato dal Vangelo ... e per questo è così tanto amato. E da qualcuno temuto...

don Mauro

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AVVISI - 17 SETTEMBRE 2023

 

SCIOGLIERSI

Dopo la sosta estiva eccoci di nuovo anno pastorale con tutta la sua bellezza di proposte, di impegni, di “sfide” evangeliche che ci chiamano di nuovo al rinnovamento personale e al rinnovamento della nostra Comunità pastorale. Gli esperti dicono che prima di una attività fisica è bene sciogliere il corpo, sciogliere i muscoli, per rendere le articolazioni più flessibili, per prevenire rischi e infortuni, per creare le condizioni ideali per una performance ottimale. E qui siamo di fronte a ben più di una attività fisica. Per questo propongo a me e a ciascuno alcune “strategie per sciogliersi”.

Dal senso comune al senso evangelico.
Un monaco diceva che pregare è sciogliersi... La vita ci pone sempre davanti scelte a volte bellissime e a volte complesse sia a livello personale che sociale, ma a un cristiano non basta il senso comune, il buon senso ... a ogni cristiano è chiesto di vivere la vita alla luce del Vangelo, alla scuola di Gesù, Maestro e Signore. Per questo occorre dare tempo alla preghiera che è una specie di feritoia aperta attraverso la quale possiamo intravedere orizzonti inediti, possibilità nascoste, ritrovare forza, speranza e sciogliere le nostre durezze, le nostre chiusure. “Occorre sentir battere il cuore del mondo all’interno del cuore di Dio, come in una cassa di risonanza. Quando si appoggia il proprio orecchio sul petto di Gesù, si percepiscono in modo assolutamente diretto gli s.o.s di tutti gli uomini che attraversano il cuore di Dio prima di raggiungere i nostri orecchi”. (Daniel Ange)

Dall’Io al Tu al Noi a Tutti. “Amare”
è il comandamento evangelico, l’amore è il centro e il cuore da cui tutto parte, amare è il fulcro dell’etica cristiana. Sull’amore si gioca la fede cristiana, ma l’amore è lo scoglio contro cui sbatte il nostro io, un io spesso gonfiato, incapace di vedere gli altri e il loro vero volto, incapace di vedere e accogliere il tu, il noi, il tutti. Eppure se davvero credessimo all’amore, se davvero credessimo alla straordinaria bellezza e alla straordinaria potenza dell’amore e del passaggio dall’io al noi al tutti, saremmo sicuramente più felici e avremmo un mondo, una Chiesa, una Comunità pastorale più bella.

Al riguardo mi sono lasciato incuriosire dall’ ubuntu, l’etica di origine sudafricana che si focalizza sulle relazioni tra le persone: “Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo. Io sono perché noi siamo. Ciò che faccio di bene o di male all’altro ricade su tutti”.

L’ubuntu
è una spinta ideale verso l’umanità intera, un desiderio di pace che esorta a sostenersi e ad aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza di diritti e doveri. Questa è la strada da intraprendere sempre e nuovamente come Comunità pastorale, come sacerdoti. Val la pena chiederci quanto cuore, quanto tempo, quanta generosità concreta racconta la nostra vita cristiana. So che è un cammino difficile, denso di difficoltà, ma anche aperto a mille felici possibilità.

Dal pensiero chiuso al pensiero aperto.
Papa Francesco con l’insistenza dell’amore continua ad invitarci ad alcuni modi di vivere e pensare, richiamandoci ad avere sempre inquietudine, incompletezza e immaginazione. Perché solo l’inquietudine dà pace al cuore e sa farci consapevoli delle ferite di questo mondo e poterne individuare le giuste terapie. Perché chi sa di essere incompleto ha in dono un pensiero aperto e non chiuso o rigido. Ci dice che chi si fa guidare dallo spirito profetico del Vangelo sa avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia. Perché chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore. “Il ‘pensiero incompleto’ è un pensiero che non si chiude, che non alza muri alla riflessione: è un pensiero che pone sfide al dialogo. Non è definitivo, statico o coercitivo. È invece curioso, aperto, creativo, alla ricerca inquieta”. (papa Francesco)

Penso possa essere questo il cammino di ognuno  della nostra Comunità ...!

don Mauro

 

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AVVISI - 10 SETTEMBRE 2023

IDENTITÀ: VIAGGIO E INCONTRO

Rosanna Virgili, una affermata biblista; nel suo libro – un gioiello -  “Qual è il tuo nome? Alla ricerca della propria identità”, scrive: “L’identità ha perduto le sue mura difensive ... Identità ben protette hanno indebolito, impoverito, persino fatto scomparire popoli un tempo grandi... Dare spazio all’altro riduce il mio spazio, comprimendo così la mia individualità? Sono tutte domande che sorgono, si moltiplicano e si mostrano urgenti... Il messaggio che esce dalle pagine di grandi autori e agiografi e delle loro ideali conversazioni dona molta luce per vivere l’identità non come un dato assoluto da conservare al sicuro, ma come una ricerca, una strada, un esodo e una decisione. Farà comprendere che nessuna identità può esistere a prescindere dalla relazione con l’altro/a e che l’umano è un volto spirituale tessuto dello sguardo di mille altri”.
Siamo in un tempo del “noi” contro “loro”, dell’io contro l’altro. Un tempo di confini, di muri. Un tempo di aggressività e difesa. Sintomo di fragilità e di paura. Un tempo di chiusure e vista corta. Un tempo in cui si può, si deve imparare uno sguardo nuovo sull’altro. Un tempo di sfida e invito per tutti, per ogni persona, per ogni gruppo sociale, per ogni cristiano, per le comunità cristiane, per la Chiesa intera. Così scriveva una trentina di anni fa padre Ernesto Balducci con parole profetiche che sembrano scritte oggi, per l’oggi.
“Ogni altro è un sacramento di Dio. Una persona altra da me è un segno di Colui che è totalmente Altro e se io cerco Dio passando sulla testa degli altri, sbaglio strada. Ogni volta che la diversità mi aggredisce, Dio è là che mi impone di superare il mio orizzonte”.
Quello a cui siamo chiamati allora è un viaggio, è un continuo andare verso, è una distanza da colmare, è l’andare oltre i confini perché l’altro non mi appartiene, l’altro è sempre sconosciuto, anche nell’amore più grande. E l’altro, con tutta la sua diversità, è una splendida ricchezza di cui non aver paura. Uscire da sé, mettersi in viaggio, è un principio che è alla radice di ogni incontro che non voglia trasformarsi in uno scontro. L’altro e io, per un incontro che trasformerà entrambi, siamo chiamati ad uscire, ad attraversare un confine. L’altro è qualcosa che “mi manca”, dal quale dunque non mi devo difendere, ma che dovrei  disperatamente cercare. Senza questo viaggio in uscita da sé, senza intraprendere coraggiosamente il “ mestiere della convivenza”, il vero rischio è la perdita di umanità, è la barbarie. E la perdita del messaggio evangelico. Per questo papa Francesco è instancabile nel richiamarci che: “ Dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale.
Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”.
Uscire... andare verso... essere perennemente in viaggio...Uomini e donne in viaggio alla ricerca di ciò che manca loro, di un’identità, quell’identità frutto di chi sei stato e sei, ma anche e soprattutto delle relazioni che ti costruiscono, dei dialoghi che intessi, della ricchezza e dello splendore che è l’altro. Un viaggio e una ricerca che non finiscono.

Siamo di fronte a un nuovo umanesimo, che ha fatto dire al premio Nobel Amartya Sen: “La principale speranza e armonia nel nostro tormentato mondo risiede nella pluralità delle nostre identità, che si intrecciano l’una con l’altra e sono refrattarie a divisioni drastiche lungo linee di confine invalicabili a cui non si può opporre resistenza”.
Un “nuovo umanesimo” così diverso e agli antipodi delle logiche sovraniste che paiono oggi vincenti (purtroppo anche fra molti cristiani!9, fondate sull’affermazione del primato assoluto della propria identità e sulla valutazione dei bisogni degli altri a partire esclusivamente dalla difesa dei propri interessi. In questo nuovo umanesimo i cristiani sono chiamati a vivere, per essere fedeli al Vangelo, da protagonisti :  lo stile che li deve contraddistinguere è lo stile del loro Maestro, Gesù di Nazareth.

don Mauro

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AVVISI - 3 SETTEMBRE 2023

RICOMINCIARE A SOGNARE

Settembre ha per molti il profumo di un capodanno carico di attese, di speranze, di impegni che si rinnovano, di desideri di cambiamento, di nuovi sogni che si fanno audacemente strada, come quelli di relazioni belle e autentiche, di cammini condivisi. Anche per me è così. E ricomincio a “sognare” ad occhi aperti... “Sogniamo una Chiesa che cammina. Da Gerusalemme verso la periferia. Sogniamo una Chiesa che si ferma davanti all’uomo ferito. Sogniamo una Chiesa che non si lascia sedurre dalla paura. Sogniamo una Chiesa meno prudente. Come lo fu il suo Maestro. Sogniamo una Chiesa che impari dai piccoli. Senza paura di piangere. E di ridere. Di morire. E di risorgere. Sogniamo una Chiesa che grida quando l’uomo grida. Che danza quando l’uomo danza. Sogniamo una Chiesa che sogna. Il sogno del suo Maestro”. (don Omar Valsecchi)

E se la Chiesa, come ci testimonia ogni giorno papa Francesco, è l’abbraccio di Dio al mondo, anche la nostra comunità pastorale è chiamata a diventare “schola amoris”, luogo di esperienza di fraternità dove essere amati , ascoltati, accolti, attesi e dove si impara a propria volta ad amare, ad ascoltare, ad accogliere, ad attendere, ad avere lo stile tanto caro al nostro Papa di “Chiesa in uscita”. Per imparare a questa “scuola” occorre tornare al nostro Maestro, occorre tornare al Vangelo: qui si respira a pieni polmoni la libertà, la misericordia, la speranza, la tenerezza, il perdono, la fraternità, l’accoglienza, la giustizia. E ogni volta di fronte al Vangelo si resta stupiti: non è un libro antico, superato ... piuttosto non lo abbiamo mai raggiunto. Ogni volta il Vangelo ci scompiglia la vita, le facili certezze, le incallite durezze. Ogni volta inquieta il nostro cuore a volte congelato e la nostra coscienza a volte troppo tranquilla e silenziosa. “La brace sotto la cenere è fuoco, basta che qualcuno con un piccolo ramo muova la cenere, ed ecco che il fuoco  arde nuovamente. Il Vangelo è questo fuoco sovente coperto dalla cenere della Chiesa e dei cristiani, ma se qualcuno rimuove la cenere, il Vangelo torna nuovamente a brillare. Noi ne siamo felici e per questo ringraziamo papa Francesco. (padre Enzo Bianchi)

Mi piace pensare che sia così anche per il Vangelo: chi raccoglie, custodisce, coltiva, fa crescere nella sua vita e nelle scelte di ogni giorno il seme evangelico gettato da Gesù, dà vita ai miracoli dell’oggi, porta luce, calore, bellezza. Fa fiorire l’umano, fa rifiorire la speranza. Se credessimo di più al Vangelo, se lo vivessimo di più, anche la nostra comunità pastorale acquisterebbe un nuovo meraviglioso volto. Ognuno dovrebbe imparare ad avere il proprio centro fuori di sé, invece spesso di fronte a Dio e all’altro uomo sperimentiamo soltanto la muraglia cinese del nostro io.

Imparare ad amare, imparare a stare in una comunità, imparare a costruirla non è per nulla facile ... è come essere piantati in un giardino con ogni specie di fiori, di piante. Ognuno con i suoi tempi di maturazione, di crescita, di fioritura, ognuno coi suoi colori, coi suoi frutti può dar vita a uno splendido giardino: Ed è a questo che invito ciascuno di voi. “Se vuoi che qualcuno costruisca una nave, fallo prima innamorare del mare”, recita un detto brasiliano: sono certo che Gesù e il suo Vangelo, il volto della Chiesa che ci regala papa Francesco sapranno farci innamorare!

Essere cristiani, testimoni di Cristo risorto oggi vuol dire proprio questo. Certi che la speranza vede l’invisibile, tocca l’intangibile, raggiunge l’impossibile. Direbbe Giorgio La Pira, il famoso sindaci di Firenze degli anni 50/60: “Sono un po’ sognatore? Forse: ma il cristianesimo tutto è un ‘sogno’ , il dolcissimo sogno di un Dio fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio!”.

don Mauro

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AVVISI - 25 GIUGNO 2023

PREGHIERA, INCONTRI, BELLEZZA, SOLIDARIETÀ

Anche Gesù sentiva di tanto in tanto la necessità e il desiderio di un po’ di pace, per questo con i suoi discepoli si ritirava in disparte sul lago, sui monti, gustando con loro un po’ di riposo. Anche in questo è nostro Maestro ... Con quel pizzico di calma in più tanto sognato, nelle prossime vacanze auguro a tutti il coraggio del silenzio, la luce degli incontri, uno sguardo di bellezza.
Il coraggio della preghiera. Non ho più dimenticato il racconto di mons. Angelo Comastri sul suo incontro con Madre Teresa di Calcutta: “La prima volta che la incontrai fui colpito dal suo sguardo: mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi lei mi chiese: ‘Quante ore preghi ogni giorno?’ Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: ‘ Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego? Madre Teresa mi prese le mani e le strinse fra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore, poi mi confidò: ‘Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il suo amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!”
Il tempo della vacanza può regalarci la possibilità di trovare uno spazio di solitudine per meditare, per pregare, per lasciare entrare dentro di noi la forza, la tenerezza, la misericordia del nostro Dio. Nella certezza che pregare non è isolarsi dagli uomini, ma piuttosto permettere che essi entrino dentro di noi.
La luce degli incontri. Così ci ricorda splendidamente p. Ermes Ronchi: “Una leggenda ebraica racconta che ogni uomo viene sulla terra con una piccola fiammella sulla fronte, una stella accesa che gli cammina davanti. Quando due uomini si incontrano, le loro due stelle si fondono e si ravvivano , come due ceppi sul focolare. L’incontro è riserva di luce. Quando un uomo per molto tempo è privo di incontri, la sua stella, quella che gli splende di fronte, piano piano si appanna, si fa smorta, fino a che si spegne. E va, senza più una stella che gli cammini avanti. La nostra luce vive di incontri. O la tua vita è presenza luminosa per qualcuno o non è nulla. O rischiari l’esistenza o la tristezza di qualcuno o non sei. O porti luce o muori”.
Il tempo della vacanza può regalarci la possibilità di riconquistare e dilatare lo spazio per l’incontro, per l’ascolto, la possibilità di ritrovarsi comunicando, la possibilità di essere più spontanei, più disponibili, più teneri ... e la tenerezza è il linguaggio segreto dell’anima, ciò di cui abbiamo infinitamente bisogno.
Uno sguardo di bellezza. È davvero meravigliosa e significativa una pagina in cui il teologo brasiliano Leonardi Boff, racconta un aneddoto riguardante sua madre. “Tu sei un teologo, hai visto Dio?, chiede al figlio. E Boff risponde: ‘Mamma, nessuno vede Dio’ Insiste la madre: ‘Ma come, tanti anni che sei prete e teologo e non hai visto Dio! E’ una vergogna’. Allora il figlio le chiede: ‘Ma tu lo vedi?’. E lei: ‘Chiaro che lo vedo. Di quando in quando, al tramonto le nuvole si mettono in una determinata maniera. Io mi fermo a guardare e lui passa via con il suo manto, sorridendo; e dietro di lui viene tuo padre defunto, guardandomi e sorridendo, e io resto per tutta la settimana con la gioia nel cuore’ . Boff commenta: ‘La vera teologia è lei, nonostante sia analfabeta”.
Il tempo della vacanza può regalarci la possibilità di uno sguardo nuovo e ricco di stupore, di commozione per la bellezza che ci circonda, una bellezza che rimanda oltre, fino a Dio.
La solidarietà non ha riposo. Se le vacanze sono il tempo in cui ritemprarsi, ritrovare pace, dare più tempo alla preghiera, ritrovare comunicazione e tenerezza, cercare bellezza, un cristiano anche in questi mesi non può non avere attenzione e cura per coloro che restano in città per motivi di salute, di età, di denaro, per coloro che hanno così poco tempo per sé perché si prendono cura di una persona malata, anziana, diversamente abile ... Per questo solidarietà e fraternità sono le uniche a non poter andare in vacanza.  La fantasia dell’amore saprà suggerirci anche in questi mesi come non passare accanto ad alcuno con un volto indifferente, con un cuore chiuso, con un passo affrettato.
“Fate del bene a quanti più potete e vi capiterà tanto più spesso di incontrare dei visi che vi mettono allegria”. (Alessandro Manzoni)
Buone vacanza allora. Nella preghiera, nella luce degli incontri, nello sguardo, nel dono ...

don Mauro

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