Mi sono trovato a riflettere sul passare del tempo o, per dirla con il Vangelo, sulle “ore del giorno”. Scrive l’Evangelista Giovanni:
“Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce” (Gv. 11,9-10).
Ho pensato alle giornate di Gesù e alle mie, alle nostre, scandite in mattino, giorno, sera, notte; ma anche a ciò che l’ora in questione è in grado di evocare: un atteggiamento, un sentimento, una attenzione. Passeremo così attraverso l’ora della preghiera e quella del tradimento, l’ora della sosta e quella del cammino, accettando anche quello “spreco” (di tempo, di grazia, di opportunità) che è parte integrante delle ore del giorno.
Mi ha confortato al proposito, pensando anche alla fatica e a volte al vuoto delle mie giornate, rileggere un detto dei padri del deserto:
“Abba Sisoes disse ad un fratello: ‘Come va?’. Egli rispose: ‘Abba perdo le giornate’. E l’anziano: ‘Anche quando ho perso la giornata io rendo grazie’.”
Nel Vangelo di Matteo (20,1-16), troviamo una parabola di Gesù che scandisce con puntualità il passare delle ore del giorno.
Prova a trovare il tempo per rileggerla!
Colpisce anzitutto la “costanza” con cui il padrone della vigna esce a chiamare gli operai. All’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, alle cinque...
Quest’uomo offre continuamente una possibilità. E’ una delle immagini più belle, in tutta la Scrittura di ciò che fa Dio nei nostri riguardi.
Non si stanca mai di cercarci, di chiamarci, di sollecitare una nostra risposta. La sua chiamata può giungere a tutte le ore, anche alla fine di un giorno inutile, di una vita inutile, quando ormai la speranza si è chiusa, quando si prova a tirare un bilancio e si scopre che niente è andato per il verso giusto. E’ estremamente consolante vivere con questa certezza: in qualunque ora del giorno e della vita io mi trovi, il Signore uscirà a cercarmi, passerà a chiamarmi. Fino all’ultimo il Signore esce a cercarci. E basta un’ora soltanto per attingere a una ricompensa piena, esagerata, fuori misura. Signore, vienimi a cercare, non stancarti di uscire là dove io mi trovo, là dove sono arrivato, là dove mi sono fermato.
Mi fa riflettere – in un secondo momento – la risposta carica di angoscia che gli operai dell’ultima ora rivolgono al padrone della vigna:
“Nessuno ci ha presi a giornata”. C’è un enorme senso di solitudine e di fallimento in una risposta così. Nessuno mi ha voluto, io non appartengo a nessuno, non sono di nessuno. Il problema di questi operai non è soltanto quello di non aver guadagnato nulla; il problema è che si sono convinti di non valere nulla. Altri sono stati scelti, altri hanno potuto lavorare. C’è l’amara percezione di essere inadatto alla chiamata alla pienezza dell’esistenza, di essere umanamente dei falliti, delle persone che hanno tradito se stesse e le loro vocazione al bene e alla gioia. Se operiamo il passaggio dalla parola alla vita, dal testo all’esistenza quotidiana, riusciamo ad individuare i giorni in cui non dobbiamo avere paura di gridare al Signore tutta la nostra amarezza, tutta la fatica e la frustrazione che ci portiamo addosso. Gli dobbiamo consegnare senza timore i nostri fallimenti, i nostri tradimenti, le scelte sbagliate che ci hanno lasciato ai margini della vita, fuori dal meraviglioso campo di lavoro in cui Lui ci attendeva.
Signore, ti consegno di nuovo questa mia vita, così com’è. Tu saprai accoglierla. Non guardare alla sua pochezza e alla sua miseria. Prendimi Tu a giornata, e ridona vigore e sapore alle ore del giorno che mi restano. Fa’ che io non mi senta solo, fa’ che non mi senta perduto.
Terzo e ultimo approfondimento; prendendo spunto dalle parole di amarezza e di risentimento degli operai della prima ora: “Abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Questi uomini scelti all’alba dal padrone della vigna si sentono defraudati nonostante ricavano la paga pattuita. Emerge tutto il loro disappunto, tutta la loro scontentezza. Anche noi, d’istinto forse non piace il modo del padrone di amministrare i suoi beni, e il nostro modo di intendere la giustizia non coincide col suo.
Signore, aiutami a rileggere e a ricomprendere il mio lavoro e il mio servizio. Tu che mi offri questo spazio e questo luogo di sosta – la quaresima – fa’ che il mio spirito non si lasci prendere dalla preoccupazione e dall’ansia. Davanti a Te non devo dimostrare nulla perché sei giusto e generoso nella ricompensa. Insegnami a leggere anche il bello dei giorni trascorsi che mi hanno condotto qui e torna a regalarmi di nuovo il gusto e il senso delle cose che faccio ogni giorno.
Il vostro parroco, don Mauro