Comunità Maria Regina Della Famiglia - Gallarate
Parrocchia Santuario Madonna in Campagna, Viale Milano 38 . Piazzale don Luigi Cassani, GALLARATE, VA
Parrocchia Santi Nazaro e Celso – Arnate, Piazza L.Zaro 2 – Via San Nazaro 4, GALLARATE, VA

AVVISI - 29 GENNAIO 2023

AMARE È METTERSI IN VIAGGIO, AMARE È ASCOLTARE

L’apice, il cuore del Vangelo di Lc 2,41-52 è la risposta asciutta e intrigante di questo ragazzo-maestro di nome Gesù: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). “Occuparmi” è stare presso il Padre, nella casa del Padre (Enzo Bianchi), è essere nelle cose del Padre (Bruno Maggioni).

Tra Giuseppe e Maria da una parte e Gesù dall’altra qualcosa non funziona: siamo di fronte ad una incomprensione, ad un equivoco. Giuseppe e Maria non capiscono Gesù, l’equivoco sta sul “Padre”. Maria dice: “Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (v.48). E Gesù risponde: “Non sapevate che è necessario che io dita nelle cose di mio Padre?”. Gesù riprende lo stesso termine “Padre” con lo stesso aggettivo possessivo “mio”, ma è un altro padre, non è Giuseppe. I genitori pensavano di aver trovato un figlio e Lui dichiara di essere figlio di un Altro. Questo episodio allora è un episodio epifanico: ci svela l’identità di Gesù: vuole farci capire chi è Gesù: non è il figlio di Giuseppe, non è il figlio solo di Maria: Gesù è il figlio di Dio presente in mezzo a noi. Questo episodio ci rivela anche che la parola-chiave della vita di Gesù e di tutto il messaggio cristiano è la parola “Padre”. È la prima parola di Gesù: “Io devo occuparmi delle cose del Padre mio” È l’ultima parola di Gesù: Padre nelle tue mani consegno il mio spirito. (Lc 23,46).  Il segreto di questo ragazzo-maestro è allora il Padre.

E Maria e Giuseppe, ottimi genitori, se pur a fatica, si mettono in viaggio interiormente. Dico, se pur a fatica, perché è scritto: “Ma essi non compresero le sue parole” (Lc 2,50). Questa annotazione di Luca allude a una condizione essenziale del costituirsi di un buon rapporto tra moglie e marito, tra genitori e figli, tra una generazione e l’altra: la condizione del viaggio, dell’andare insieme “altrove”, verso la casa del Padre e verso le cose del Padre. La vita è un viaggio verso Dio e verso gli altri. Se vogliamo incontrare gli altri e l’Altro dobbiamo metterci in viaggio. Anche nel matrimonio tanti rapporti si spezzano, perché uno dei due non si muove, o perché né l’uno né l’altro si muovono. Occorre mai dimenticare che il cammino verso l’altro è il viaggio più lungo che esista al mondo, è un viaggio mai finito. Anche nel matrimonio l’altro resterà sempre l’altro e cioè un mistero, anche dopo il rapporto intimo.

Il filosofo contemporaneo Lévinas ha affermato il primato dell’ascolto sul dialogo. Egli si distanzia così dall’amico e connazionale Buber il quale aveva affermato che è la relazione io-tu a far crescere le persone, perché la persona è una realtà relazionale. Lévinas, pur partendo da questa intuizione, sostituisce la relazione “io-tu” con la relazione “io-altro”, perché, secondo lui, tra le persone c’è una lontananza, un abisso insormontabile. L’altro no è tanto un “tu” che permetta una certa confidenza al punto di eliminare la distanza, ma uno straniero irraggiungibile. L’altro è una realtà che si sottrae al mio possesso, al mio potere.

Egli può svelarsi solo se c’è ascolto, attenzione, empatia. Egli può svelarsi solo se lui vuole raccontare e raccontarsi.

Su questa tematica dell’ascolto la lettera pastorale dell’Arcivescovo Tettamanzi, “L’amore di dio è in mezzo a noi”, ha delle pagine splendide. Folgorante il n. 18: “Di fronte a questa ‘Parola’ e a queste parole, vogliamo metterci in ascolto. Ascoltare non è una strategia, ma una condizione umana e teologica fondamentale. Parlare e ascoltare non sono nell’uomo solo una capacità fra le altre: sono le facoltà che fa dell’uomo un uomo. Da solo l’uomo non esiste. Esiste solo nella relazione. E nel suo corpo c’è un organo che è sempre in esercizio, che funziona sempre: è l’orecchio. Gli antichi saggi di Israele facevano notare che l’uomo ha due orecchie e una bocca: il tempo dedicato all’ascolto dovrà essere almeno doppio di quello dedicato a parlare”.

Il Dio della Bibbia è un Dio che parla. (Deuteronomio 4, 32ss.).  Ma un Dio che parla richiede ascolto. Auguriamoci che la nostra Comunità pastorale sia capace di “regalare ascolto” alle persone, alle famiglie, alle parole degli uomini, alla loro esperienza umana. Ma per regalare ascolto non basta sentire: sentire è soltanto ricevere un’informazione, ascoltare è permettere che l’altro possa “rivelarsi”. Il buon ascolto non è dar ragione all’altro, non è accontentarlo, ma capirlo, comprenderlo, è coltivare un cuore misericordioso come ci insegna magistralmente l’Arcivescovo Tettamanzi al n. 28: “Per praticare l’ascolto e per entrare in sintonia con il vissuto degli altri è necessario un cuore misericordioso, senza asprezza, senza giudizio, senza condanna, senza intolleranza. Il cuore misericordioso ama e proclama la verità, ma lo fa con amore e per amore, specie quando la verità è particolarmente esigente”.  Un cuore misericordioso sa riconoscere le diversità che ci sono nella storia e nella vita delle persone e delle famiglie, sa correggere e perdonare, incoraggia sempre e valorizza anche la più piccola briciola di bene.

Chiediamo e auguriamoci che le Famiglie della nostra Comunità pastorale siano comunità di accoglienza, così che chiunque vi si avvicina si senta desiderato, amato, ben accolto e aiutato a stabilire relazioni significative con le persone.

don Mauro

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