Comunità Maria Regina Della Famiglia - Gallarate
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AVVISI - 27 MARZO 2022

CROCIFISSO E CONFESSIONE

Il tempo della Quaresima ci offre l’invito e l’opportunità di fissare la Croce e – su di essa – Cristo come uomo che soffre.
La Croce è significativa non solo per il dolore del costato trafitto o della corona di spine, ma per il senso della solitudine (“Dio mio, perché mi hai abbandonato?) e il timore dell’inutilità (sto morendo per te e tu, ladrone impenitente, non ti lasci salvare!).
Il dolore di Cristo, nel corpo e nello spirito, ci portano a guardare i dolori dell’umanità. La società del tempo presente è spaventata dal dolore e ciascuno di noi lo teme.
Semmai, questo è il periodo della lotta al dolore, della sua perseguita prevenzione. I farmaci che tolgono il dolore, le agopunture, gli interventi chirurgici che agiscono sulle sedi anatomiche del dolore, persino l’eutanasia: la morte per non soffrire. Oltre al dolore del corpo, legato a eventuali ferite, alle malattie, alla degenerazione di questa carne che, a differenza del silicio dei robot e dei computer, può soffrire, c’è un dolore che non ha locazione, che appartiene più che al corpo al fatto di esistere, e che ha una componente che chiamiamo psicologia in quanto dipende anche dalle relazioni. Un dolore che deriva dal dolore dell’altro, da un lutto, dalla morte di una persona cara, dalla fine di un rapporto affettivo col genitore, o col coniuge, o col figlio, o con l’amico, o col fidanzato.
Di fronte a questo duplice dolore, fisico e morale, è diversa la reazione: migliorare la qualità della vita e quindi lottare contro le malattie che limitano la funzionalità dell’essere umano è una tra le sfide più straordinarie del tempo presente.
Ogni progetto o sogno di anestetizzare il dolore del dubbio e della percezione del nostro essere sembra invece una follia. Il dolore mi appare umano, parte dal volto dell'uomo e dunque pieno di mistero. Non saprei nemmeno pensare a un uomo senza dolore.
Le droghe vecchie e nuove, dall’alcool alla cocaina, hanno la funzione di modificare la percezione di ciascuno di noi nel mondo e quindi di cambiare sensazioni di inadeguatezza, di cancellare persino la paura o almeno per un po’, finchè dura l’effetto, di sentirci cambiati, come se noi fossimo diventati altro: esseri che vivono piacevolmente o senza limiti i dolori prima avvertiti.
La droga nel mondo giovanile è fondamentalmente questo: un rito capace di togliere la sensazione spiacevole della propria insufficienza e inadeguatezza. Una via per non sentire quel dolore, una via illusoria, perché passati i fumi dell’alcool e l’effetto dell’allucinogeno l’uomo si trova coi suoi problemi e coi suoi limiti.

Qualcuno più raffinato si rivolge alle scienze psicoterapeutiche: la loro moltiplicazione sta a indicare la loro debolezza. La Chiesa da sempre indica come medicina al dolore umano la contemplazione del Crocifisso e, al termine della Quaresima, la confessione pasquale.

Ho trovato un pensiero interessante di Vittorio Andreoli, vecchio psichiatra:
“Non si può più separare il peccatore dal confessore, ma devono potersi vedere, per favorire una relazione più efficace anche se meno misteriosa. Una confessione che mostri il confessore come un sofferente o come un sofferente guarito e che può indicare una guarigione o quanto meno una comprensione terapeutica.
Il dolore ineffabile – che ci prende talora la mattina, al risveglio, e che ci limita persino nei movimenti - sta ad indicare quanto inadatti siamo a vivere e non ha sempre bisogno degli psichiatri sbrigativi della ricetta, ma di un interlocutore che ti ascolta e parla di Sant’Agostino o magari di qualche eremita della Tebaide”.

Io aggiungo: “E alla fine ti manda via rasserenato e perdonato”.

Penso che anche la voce laica di Andreoli possa aiutarci a vivere bene la spiritualità della Croce e a incamminarci verso la confessione pasquale.

don Mauro

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