Pane e Parola: due elementi centrali per la vita cristiana
Il Pane è il cibo essenziale per vivere e Gesù nel Vangelo si offre a noi come pane di vita, come a dirci: “Di me non potete fare meno”. E usa espressioni forti: “Mangiate la mia carne e bevete il mio sangue” (cf. Gv 6,53). Che cosa significa? Che per la nostra vita è essenziale entrare in una relazione vitale, personale con Lui. Carne e sangue. L’Eucaristia è questo: non un bel rito, ma la comunione più intima, più concreta, più sorprendente che si possa immaginare con Dio: una comunione d’amore tanto reale che prende la forma del mangiare. La vita cristiana riparte ogni volta da qui, da questa mensa, dove Dio ci sazia d’amore. Gesù nel Vangelo aggiunge: “Colui che mangia me vivrà per me” (v. 57).
Come a dire: chi si nutre dell’Eucaristia assimila la stessa mentalità del Signore. Egli è pane spezzato per noi e chi lo riceve diventa a sua volta pane spezzato, che non lievita d’orgoglio, ma si dona agli altri: smette di vivere per sé, per il proprio successo, per avere qualcosa o per diventare qualcuno, ma vive per Gesù e come Gesù, per gli altri. “Vivere per” è il contrassegno di chi mangia questo pane, il “marchio di fabbrica” del cristiano. Dopo la Messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri. “Il pane di vita”, il pane spezzato è infatti anche pane di pace.
La pace infatti è “convivialità”. E’ mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse, dove l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare.
Insieme col pane, la Parola. Il Vangelo riporta aspre discussioni attorno alle parole di Gesù: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (v. 52). C’è aria di disfattismo in queste parole. Tante nostre parole assomigliano a queste: come può il vangelo risolvere i problemi del mondo?
A che serve fare del bene in mezzo a tanto male? E così cadiamo nell’errore di quella gente, paralizzata dal discutere sulle parole di Gesù, anziché pronta ad accogliere il cambiamento di vita chiesto da Lui. Non capivano – e a volte non lo capiamo neppure noi – che la Parola di Gesù è per camminare nella vita, non per sedersi a parlare di ciò che va o non va. A Gesù non si risponde secondo i calcoli e le convenienze del momento; gli si risponde col “sì” di tutta la vita. Egli non cerca le nostre riflessioni ma la nostra conversione. Lui punta al cuore!
In Atti 9,6 Gesù Risorto si rivolge a Saulo e non gli propone sottili ragionamenti, ma gli chiede di mettere in gioco la vita. Gli dice: “Alzati ed entra nella Città e ti sarà detto ciò che devi fare”. Anzitutto “Alzati”. La prima cosa da evitare è rimanere a terra, subire la vita, restare attanagliati dalla paura. Davanti al Risorto non è lecito stare se non in piedi. Rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni. Il Signore poi dice a Saulo: “Entra in città”. Anche a ciascuno di noi dice: “ Va’, non rimanere chiuso nei tuoi spazi rassicuranti, rischi!”. “Rischia!”
La vita cristiana va investita per Gesù e spesa per gli altri. Dopo aver incontrato il Risorto non si può attendere, non si può rimandare; bisogna andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze. Vediamo ad esempio Saulo che, dopo aver parlato con Gesù, sebbene cieco, si alza e va in città: Vediamo Anania che, sebbene pauroso e titubante, dice: “Eccomi, Signore!”. (v. 10) e subito va’ da Saulo.
Siamo chiamati tutti, in qualsiasi situazione ci troviamo, a essere portatori di speranza pasquale, “cirenei della gioia” come era solito dire don Tonino Bello; servitori del mondo, ma da risorti, non da impiegati. Senza mai contristarci, senza mai rassegnarci. E’ bello essere “corrieri di speranza”, distributori semplici e gioiosi dell’allelui pasquale. Infine Gesù dice a Saulo: “Ti sarà detto ciò che devi fare”. Saulo, uomo deciso e affermato, tace e va, docile alla Parola di Gesù. Accetta di obbedire, diventa paziente, capisce che la sua vita non dipende più da lui.
Impara l’umiltà. Perché umile non vuol dire timido e dimesso, ma docile a Dio e vuoto di sé. Allora anche le umiliazioni, come quella provata da Saulo per terra sulla via di Damasco, diventano provvidenziali, perché spogliano della presunzione e permettono a Dio di rialzarci.
E la Parola i Dio fa così: libera, rialza, fa andare avanti, umili e coraggiosi al tempo stesso. Non fa di noi dei protagonisti affermati e campioni della propria bravura, no, ma dei testimoni genuini di Gesù, morto e risorto, nel mondo.
Pane e Parola. Cari fratelli e sorelle, ad ogni Messa ci nutriamo del pane di vita e della Parola che salva: viviamo ciò che celebriamo! Così, saremo sorgenti di speranza, di gioia e di pace.
Il vostro parroco, don Mauro
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