UNA SIGNORA CHE NON INVECCHIA: LA PARROCCHIA
Ho qui tra le mani un testamento scritto nell’agosto del 1954. Il testamento di un parroco: don Primo Mazzolari. Una riga sta, incastonata come gemma tra le altre righe, asciutta e potente: “Dopo la Messa, il dono più grande: la Parrocchia”.
Posso dirlo anche per me, prete da 44 anni. Anni vissuti intensamente, felicemente dentro la realtà parrocchia. Scommettendo sulla parrocchia. Perché è proprio qui, nella parrocchia che la Chiesa, il Vangelo, “fanno casa” con l’uomo, entrano nel tessuto della vita, nella trama delle relazioni, nel vissuto quotidiano, ordinario. Ed è in questo “ordinario”, che rimbalza o danza tra l’amore e il dolore, la gioia e la sofferenza, il dubbio e la speranza, l’emozione e la ragione, la paura e il coraggio, la forza e la debolezza, proprio qui ho incontrato persone straordinarie, con l’albero della fede ben piantato nel cuore, con una speranza coriacea che non si arrende, con una inaudita capacità di amare, di essere solidale, di servire. Testimoni del “centuplo quaggiù”, che si mettono alla scuola di Gesù per imparare l’arte di vivere e persino quella di morire.
Hanno scritto che i cristiani con la loro vita, la loro presenza, la loro testimonianza devono saper essere un grande punto interrogativo per gli uomini, segno di una fede non acquietante e facilmente consolante, segno di una inquietudine che non rinuncia alle domande più significative, che non fugge i dubbi. Hanno scritto che i cristiani devono saper essere anche un punto esclamativo, capaci di stupore e di entusiasmo, capaci di mostrare la vita evangelica come gioia, non come rassegnazione. Mi piacciono molto queste immagini che sanno parlare al cuore degli uomini e dell’oggi. Ne aggiungo un’altra: un punto speranza. Credo che i cristiani debbano saper essere così. Credo che una parrocchia debba essere così: punto, luogo, fonte, miniera di speranza. Perché è la speranza la grande assente nella vita di molti, nella vita della Città. Quella speranza che oltrepassa la statura dell’uomo, che oltrepassa la prudenza, che non è mai facile, mai banale, mai illusoria. Quella speranza che restituisce alla vita, che fa ricominciare ogni giorno. Quella speranza che sa essere inventiva, che non si arrende alle difficoltà, a ciò che appare impossibile ai più. Quella speranza per il qui e l’ora che prende senso, forza e audacia dalla speranza in Cristo morto e risorto, in una vita che non muore.Proprio la parrocchia, luogo dell’accompagnamento alla fede, alla vita, all’amore, al dolore, al discernimento, deve saper essere “serva” della speranza, deve saper essere il luogo dell’ascolto, dell’aiuto alla risposta.
Conoscere le persone, rispettarne il loro mistero, il loro cammino, i loro tempi. Conoscere i loro bisogni, le loro attese, i loro sogni. Conoscere il quartiere, le dinamiche sociali, economiche, il bisogno di solidarietà e di giustizia. Conoscere e progettare. Questo è essere “punto speranza”. Ed è la domenica, il giorno del Signore, il “faro” di questo punto speranza. Un faro che prende luce dal cielo, da Cristo morto e risorto. Non c’è parrocchia senza domenica. È la liturgia domenicale che dà forma alla vita cristiana di ciascuno e della comunità.
La davano per morta, la parrocchia. E invece no. È più viva che mai. Più giovane che mai. È una signora che non invecchia, che ha curato e continua a curare alcune sue rughe, che non si culla nel ricordo del passato ma sa “mordere” il presente, sa raccogliere le sfide del presente.
Il Cardinal Carlo Maria Martini ce lo ha ripetuto spesso: “Il Signore ci invita a uscire dalla lamentosità di una minoranza che non cessa di rivangare il passato, di sognare ritorni assai difficili dal punto di vista cronologico e culturale; ci invita ad accettare il nostro ruolo propositivo e missionario, educando ad un realismo coraggioso, che scegli iniziative capaci di incidere in questa, non in un’altra società”.
Il tempo procura rughe, profonde come solchi, a chi si lascia andare a malinconiche nostalgie, a chi si occupa solo di sé. È l’amore, è la passione per Dio e per l’uomo che mantengono intatta la giovinezza. Anche quella di una parrocchia. È la capacità di leggere il presente, i segni dei tempi, il cambiamento che ci incalza, che mantengono intatta la freschezza. Anche quella di una parrocchia. È la capacità di non rinchiudersi fra le mura, pur solide, della parrocchia e di lanciarsi nel crogiolo della città che mantiene intatto lo slancio vitale e l’entusiasmo. Anche quelli di una parrocchia.
Ci vogliono più saggezza e più follia evangeliche per crescere, per non invecchiare. Nella certezza di avere sempre su di sé lo sguardo benedicente e amante di Dio.don MauroCONTINUA A LEGGERE IL FOGLIO DEGLI AVVISI