L'INTIMITA' CON CRISTO
Mi sono domandato: che cosa significa stare con Gesù? Ho risposto: vivere con Gesù significa avere con Lui un rapporto intimo, rendere vera e sentita la sua presenza nella vita. Essere “con” qualcuno esige una relazione personale. Questo mi ha portato subito a formulare un altro interrogativo: Gesù è per me una persona o solamente un personaggio, una personalità?
Senza sviluppare una relazione esistenziale tra me e Lui Egli rimane esterno a me, tocca la mia mente, ma non entra e non riscalda il mio cuore.
E devo confessarlo, nella mia vita di sacerdote, un rapporto intimo con Gesù deve avere assoluta priorità. Ho sperimentato, e tutt’ora sperimento che grande coraggio e sicurezza viene dal fare ogni cosa con Gesù, sentendolo presente in ogni situazione. Quel suo “Io sono con voi tutti i giorni” significa anche: “Io sono con voi in ogni situazione, in ogni problema”.
Pensiamo a due sposi novelli profondamente innamorati l’uno dell’altro. Durante il giorno, ognuno dei due è occupato, dentro e fuori casa, a fare le proprie cose, ma tutti sanno dov’è il loro cuore e dove corrono i loro pensieri appena sono liberi dalle preoccupazioni del momento. Così dovrebbe essere tra noi e Gesù! Ecco allora che la preghiera diventa ed è il mezzo privilegiato per coltivare una relazione personale con Gesù. Luca è l’Evangelista più attento a rivelarci il Gesù assorto in preghiera.
Al capitolo 5 del suo Vangelo leggiamo: “Folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie, ma Egli si ritirava in luoghi deserti a pregare. (Lc. 5,15-16). La congiunzione avversativa “ma” è molto significativa. Crea un contrasto tra la folle che preme intorno alla volontà di Gesù di non lasciarsi sopraffare da essa al punto di tralasciare il suo dialogo con il Padre celeste. Questo ci suggerisce che quando l’attività ci assorbe maggiormente, la preghiera non deve cessare, deve continuare in profondità, anche se in modo inconscio.
La preghiera continua, o preghiera di desiderio, non deve mai farci trascurare il bisogno vitale che abbiamo di tempi fissi di preghiera possibilmente in luoghi solitari, come faceva Gesù.
Dobbiamo allora ripensare il nostro rapporto tra preghiera e attività.
Per Gesù preghiera e azione non erano separate. Egli di notte pregava il Padre e di giorno faceva ciò che gli era stato rivelato nella preghiera.
A volte pregando avviene una cosa strana; le parti si invertono, Dio diventa colui che prega e tu colui che è pregato. Ti sei messo in preghiera per chiedere qualcosa a Dio e, una volta in preghiera, ti accorgi a poco a poco che è Lui, Dio, che stende la mano a te chiedendoti qualcosa.
Sei andato a chiedergli di toglierti quella spina nella carne, quella croce, quella prova, di liberarti da quell’ufficio, da quella situazione, dalla vicinanza di quella persona... Ed ecco che Dio ti chiede proprio di accettare quella croce, quella situazione, quell’ufficio, quella persona.
Una poesia di Tagore aiuta a capire di che si tratta.
E’ un mendicante che parla e racconta la sua esperienza. Dice più o meno così:
“Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza apparve un cocchio d’oro. Era il cocchio del figlio del Re. Pensai: questa è l’occasione della mia vita e mi sedetti spalancando la bisaccia, aspettando che l’elemosina mi venisse data, senza che neppure la chiedessi, anzi che le ricchezze piovessero persino in terra attorno a me. Ma quale non fù la mia sorpresa, quando, giunto vicino, il cocchio si fermò, il figlio del Re discese e, stendendo la mano diritta, mi disse, ‘Che cosa hai da darmi?’. Qual gesto regale fu quello, distendere la tua mano! ...Confuso ed esitante, presi dalla bisaccia un chicco di riso, uno solo, il più piccolo, e glielo porsi. Che tristezza però, quando, a sera, frugando nella mia bisaccia, trovai un chicco di riso d’oro, ma uno solo e il più piccolo. Piansi amaramente di non aver avuto il coraggio di dare tutto”.
Il caso più sublime di questa inversione delle parti è proprio la preghiera di Gesù nel Getsemani. Egli prega che il Padre gli tolga il calice, e il Padre chiede a Lui di berlo per la salvezza del mondo. Gesù dona non una, ma tutte le gocce del suo sangue e il Padre lo ricompensa costituendolo, anche come uomo, Signore dell’Universo.
Cari parrocchiani, cominciamo il giorno con un tempo di preghiera e di dialogo con Dio, così che le attività e gli impegni del giorno non finiscano per prendersi tutto il nostro tempo e noi arriviamo a quel punto al quale S. Bernardo ammoniva il papa del suo tempo di non arrivare mai: la durezza del cuore.
Il vostro parroco, don Mauro