Incendi in Australia

Vescovi cattolici, piano nazionale in aiuto alle persone e appello a cura della terra per “prevenire tali calamità in futuro”

Un piano nazionale in risposta alla crisi degli incendi che stanno devastando l’Australia e un appello a “prendersi cura della nostra casa comune in modo da prevenire tali calamità in futuro”.
È quanto predispongono e chiedono i vescovi australiani per far fronte a livello nazionale a tutte le richieste di aiuto che giungono dalle diocesi e dalle parrocchie dei territori più colpiti. Da settembre, periodo di inizio dei roghi, sono morte 25 persone. Due in particolare gli Stati dove è stato dichiarato stato di emergenza: il Nuovo Galles del Sud e Victoria.

Solo nel Nuovo Galles del Sud sono stati bruciati più di 4 milioni di ettari, pari al doppio della Lombardia, e il numero aumenta. Secondo le ultime stime dell’Università di Sydney riportate dal Wwf, circa 480 milioni di mammiferi, uccelli, rettili e altri animali sono morti a causa dei devastanti incendi boschivi del 2019, mentre nelle Blue Mountains solo a novembre e dicembre è andato bruciato il 50% delle riserve naturali.

I vescovi scendono oggi in campo con un comunicato del presidente della Conferenza episcopale, l’arcivescovo Mark Coleridge, per fare il punto sulla situazione. “L’Australia sta affrontando una calamità senza precedenti e il fuoco sta divorando la terra in molti luoghi”, si legge nella nota:

“Anche se non ci troviamo nelle aree più colpite, abbiamo visto tutti le immagini apocalittiche. Sono morte persone, case e città sono state distrutte, il fumo ha avvolto ampie zone del nostro Paese. Non c’è fine all’orrore che ci mette davanti alla nostra impotenza di fronte alla forza devastante della natura. Gli sforzi dei pompieri sono stati eroici. La resilienza delle comunità colpite è stata straordinaria. Questa risposta rappresenta il meglio dell’Australia. Siamo tutti a fianco di coloro che sono stati colpiti e di chi sta mettendo in pericolo la propria vita per combattere gli incendi. Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più delle parole. Le espressioni di solidarietà sono importanti, ma non bastano”. L’arcivescovo Coleridge rende onore a quanti in questi giorni stanno lavorando a fianco della popolazione e alle comunità locali, parrocchie e organizzazioni cristiane, che stanno dando un grande contributo, ma “la portata di questa crisi richiede una risposta nazionale e un impegno di tutta la Chiesa per integrare e coordinare ciò che sta accadendo localmente”.

Per questo la Conferenza episcopale ha predisposto “una rete nazionale” per collegare le persone colpite dagli incendi con persone che possono aiutare in diversi modi, come preparare i pasti, ripulire le proprietà, ricostruire le comunità, nonché offrire supporto pastorale e di consulenza. A questo scopo sono stati attivati immediatamente gli istituti religiosi e le principali agenzie nazionali cattoliche come il Catholic Health Australia, Catholic Social Services Australia, National Catholic Education Commission e St Vincent de Paul Society (Vinnies) per garantire “una risposta quanto più efficace possibile”. I vescovi hanno poi aperto un conto per la Società di San Vincenzo (particolarmente impegnata a dare supporto alle persone nei territori e negli Stati più colpiti) sul quale mettere anche le offerte delle messe domenicali.

“I nostri esperti sul campo – agenzie come Vinnies, CatholicCare e CentaCare, nelle parrocchie e in altre comunità cattoliche, inclusi ospedali cattolici e operatori di assistenza agli anziani – sanno che questo sarà un processo a lungo termine sia per aiutare le persone colpite sia per ricostruire le città distrutte”, scrive l’arcivescovo Coleridge:

“La Chiesa, profondamente radicata in questa terra, è pronta a camminare al fianco delle persone durante il loro cammino di guarigione. Di fronte a questa crisi eccezionale, rinnoviamo la nostra richiesta di preghiera insistente per coloro che sono colpiti dalla siccità e dal fuoco, per coloro che hanno perso la vita negli incendi e le loro famiglie, per la pioggia perché disseti la terra arida e spenga gli incendi e per chiedere un’azione urgente volta a prendersi cura della nostra casa comune in modo da prevenire tali calamità in futuro”.

Fonte: AgenSir

Ad Aleppo manca il pane ma le Chiese sono piene

Code per il combustibile, fame, giovani in fuga, ma anche nuova fede e collaborazione interreligiosa. Ecco cosa ha ritrovato in Siria Claude Zerez, da anni rifugiato in Francia.

Aleppo, manca il pane, il combustibile, i giovani scappano, le ragazze non si sposano più. «La situazione delle nostre famiglie cristiane è drammatica:
si soffre la mancanza di gas tanto che per avere una bombola di gas si resta ad aspettare in strada dalla sera alle 18:00 fino alle 10 del mattino seguente».

Inizia così la lettera di Claude Zerez, pubblicata da Ora Pro Siria. Zerez, cristiano siriano, ha 64 anni e da sei vive come rifugiato in Francia con la moglie e due figli maschi. Viene da Aleppo, dove faceva la guida turistica specializzata in antichità cristiane, e ad Aleppo è tornato prima di Natale per 18 giorni, dove ha incontrato vescovi, sacerdoti, famiglie e leader religiosi e umanitari, abbastanza per scrivere un appello al popolo cristiano invitandolo a pregare per i fratelli d’Oriente, «per secoli un ponte di convivialità e dialogo con le varie comunità confessionali ed etniche» e che rischiano oggi di sparire.

IL GIORNO IN CUI ZEREZ PERSE PASCALE

Zerez ha vissuto il peggiore degli incubi di un padre la mattina del 15 ottobre 2012: «Preparatemi qualcosa di buono da mangiare, sto arrivando!», l’aveva chiamato Pascale, 18 anni, fresca di matrimonio, pronta a entrare all’università e trasferirsi col marito a Tartus, dove la guerra non era ancora arrivata. Pascale non è mai arrivata a casa dei genitori: la corriera su cui stava viaggiando fu bloccata da uomini armati, tutti i passeggeri cristiani e alawiti fatti scendere e barbaramente trucidati.

«Non siamo nemmeno potuti correre all’obitorio dell’ospedale di Hama, dove hanno composto i cadaveri, perché la strada era diventata troppo pericolosa – aveva raccontato Zerez intervistato da Tempi -. Il corpo di mia figlia ce l’ha portato un musulmano, che s’è preso il rischio di attraversare i posti di blocco dei ribelli per riportare i resti di una figlia cristiana alla sua famiglia. L’ho abbracciato e ringraziato come un fratello».

LA CONQUISTA DEL PERDONO

L’uomo è emigrato in Francia dopo mesi di minacce di morte ricevute per essere entrato nel Comitato di riconciliazione di Aleppo, dove imam, sacerdoti e notabili lavoravano instancabilmente insieme alla liberazione degli ostaggi, trattando con le bande armate, e dopo che per i due figli in età militare iniziava a concretizzarsi la chiamata alle armi, in un esercito in cui i reparti cadevano vittime di imboscate e tradimenti, i soldati massacrati e corrotti per passare dalla parte dei ribelli.

Da allora Zerez ha girato la Francia e il mondo per tenere incontri e testimonianze sulla sofferenze della Siria e dei suoi cristiani, e sulla conquista del perdono:

«Il cammino del perdono è il cammino della pace e della riconciliazione nel mio paese. Senza perdono non ci sarà nessun ritorno alla pace e nessuna possibilità di ricostruire la Siria; e noi cristiani dobbiamo essere i primi a perdonare, perché ci vorrà del tempo prima che quelli che si sono macchiati le mani di sangue arrivino alla conversione del cuore. Hanno imparato a uccidere, e gli ci vorrà del tempo per imparare a non farlo più, dobbiamo insegnarglielo noi».

LA LETTERA DA ALEPPO

Quando è tornato ad Aleppo, scrive nella sua lettera, i suoi vecchi amici musulmani lo hanno implorato di restare, «ribadivano che noi siamo il vero volto della Siria di tolleranza e storia vissuta per millenni». Ma la situazione per i cristiani è terribile e Zerez la riassume senza fronzoli:

«Carenza di pane: certi giorni devi rimanere in coda 5 ore per comprare il pane. Caduta della sterlina siriana a causa della crisi in Libano: prima della guerra 1 euro era equivalente a 60 sterline siriane, oggi ha superato le 1.025 sterline siriane. Gli stipendi finora non sono cambiati troppo: lo stipendio medio di un dipendente è di 35.000 sterline siriane. Il chilo di carne costa 8.000 lire siriane. Per vivere ogni famiglia ha bisogno di oltre 250.000 lire siriane al mese. La maggior parte delle organizzazioni benefiche (Caritas, Oeuvre d’Orient …) non possono più aiutare perché i loro soldi sono bloccati nelle banche libanesi. E senza dimenticare le sanzioni».

La situazione è aggravata dalla fuga dei giovani, che scappano dal paese per sottrarsi a un servizio militare che dura più di 9 anni:

«Inoltre tutti gli uomini anche sposati dai 18 ai 42 anni devono tornare al servizio come riservisti. Questo ha creato un altro problema sociale perché abbiamo troppe ragazze e matrimoni molto rari, senza dimenticare i tristi casi in cui le nostre ragazze si prostituiscono per sopravvivere. Non possiamo tacere la grande corruzione di certi funzionari, commercianti…».

L’APPELLO ALLA CRISTIANITÀ

La parte del leone continuano a farla i Maristi Blu e i vescovi che coprono i costi di operazioni e medicine, i gemellaggi tra le parrocchie italiane e francesi con le parrocchie di Aleppo, che inviano aiuti alle parrocchie armene e melkite; da russi e armeni giungono inoltre aiuti agli ortodossi.
Le chiese, racconta Zerez, sono piene, ovunque le comunità cristiane e musulmane collaborano in un clima di grande povertà ma anche grande spiritualità a tenere desta la speranza, senza la quale, in un paese che conta già milioni di sfollati, «temo che un giorno i cristiani avranno lo stesso destino degli ebrei siriani, vale a dire che spariranno.

Prima della guerra Aleppo aveva più di 150.000 fedeli cristiani, oggi non supera i 28.000. Ciò farà scomparire questa peculiare convivenza islamo-cristiana.

I cristiani d’Oriente sono rimasti per secoli un ponte di convivialità e dialogo con le varie comunità confessionali ed etniche… Questa esperienza può essere un modello da applicare in Europa nei conflitti sociali e culturali con i musulmani in Europa».

Per questo Zerez, dopo avere partecipato agli incontri tra cristiani e musulmani per celebrare il Natale con le corali di Damasco, Aleppo, Homs, la Valle dei Cristiani e dei siriaci nel Nord a Qamisli e Hassaké rivolge oggi un forte appello alla cristianità perché non dimentichi la Siria e le parole di papa Giovanni Paolo II: «”La Chiesa ha un cuore con due polmoni: la Chiesa orientale e la Chiesa occidentale”.

Se un polmone muore la Chiesa diventa menomata».

Fonte: Tempi