AVVISI - 17 MARZO 2024

MANGIARE LA PAROLA

C’era un’attesa, una speranza proclamata dal Concilio Vaticano II circa cinquantasei anni fa: ridare la Bibbia  in mano alle genti. Era tempo che la Chiesa facesse un esame di coscienza rispetto a quest’attesa e desse nuovo slancio alle speranze del Concilio. Anche perché le statistiche al riguardo non sono certamente rassicuranti: da uno degli ultimi sondaggi risulta che circa il sessanta per cento degli italiani non ha mai letto i quattro Vangeli e che solo pochissime persone nell’ultimo anno hanno letto personalmente un brano del Vangelo. Qui nella Diocesi di Milano forse va un po’ meglio perché siamo stati educati splendidamente dal Card. Carlo Maria Martini, noto ed insigne biblista, che ad ogni occasione, davanti a qualunque uditorio, a credenti e non credenti, giovani e adulti, non ha mai rinunciato a raccontare la Bibbia: ora un personaggio, ora una parabola, ora un miracolo, ora anche una sola parola... Una Parola, quella della Bibbia, cui la Chiesa deve sempre obbedire: la Chiesa è “sotto” la Parola... Ci ha fatto scoprire così la Bibbia in tutta la sua bellezza, in tutta la sua impressionante novità, freschezza, concretezza, consegnandoci il volto di un Dio insieme tenero, misericordioso ed esigente. Ce l’ha fatta riscoprire per la catechesi, le omelie, la lettura personale, la preghiera, la vita. Non per nulla la sua seconda lettera inviata alla Diocesi, a credenti e non credenti, si intitolava proprio: “In principio la Parola”. Una lettera da rileggere!
Diceva il Concilio, riprendendo S. Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo...”. Qualche anno fa, un prete amico e poeta, che ha avuto un ruolo importante nella mia vita, scriveva così: “Lei: la Parola. Lui: Gesù Cristo. ‘Mangia il Vangelo’, dicevano i monaci, ‘impara da Dio chi è Dio’... Guarda a Lei per conoscere Lui. Accogli Lei per amare Lui. Ascolta Lei per seguire Lui. Fatti illuminare da Lei per scorgere Lui. Lasciati dissetare da Lei per lasciarti inquietare da Lui. Fidati di Lei per affidarti di Lui. Lei: Parola di Dio, parola di vita eterna. Lui: Parola di Dio fatta Figlio, fatta volto. Lei, Lui: intrecciati per sempre.
Nella storia dell’amore di Dio per noi, nella storia della Chiesa, dei cristiani, nella nostra storia”. “Mangia il Vangelo” ... quella che ci è donata è una Parola da mangiare...
“ Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritti lamenti, pianti e guai. Mi disse: ‘Figlio dell’uomo, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele’. Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: ‘Figlio dell’uomo, nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo’. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele”. ( Ezechiele 2,9-3,3)

Quella che ci è donata è una Parola da incontrare: “ Sto davanti alla Bibbia come davanti alla mia sposa” (Andrè Chouraqui). Splendide le parole dello scrittore algerino! E’ lo stare davanti, in totale intimità, all’amore della tua vita, a quell’amore che dà sostanza e ragione alla tua vita, ai tuoi sogni, che ti fa capace di gesti impensabili per audacia e gratuità. Una intimità di cui ci parla anche lo scrittore Erri De Luca, un “laico”. “ Per molti anni di vita da operaio ho sfogliato le Scritture sacre e il loro antico ebraico un’ora prima di uscire al lavoro. Mi pareva cos’ di afferrare qualcosa da ogni nuovo giorno prima di farmelo portare via dalla stanchezza. Credo di essere stato tra i pochi operai felici di buttarsi giù presto dal letto, perché quell’ora prima era la mia caparra. Anche adesso che non faccio più il mestiere ho custodito l’usanza e l’orario. Ogni mattina a testa vuota e lenta accolgo le parole sacre. Capirle per me non è afferrarle, ma essere raggiunto da loro, essere così quieto da farsi agitare da loro, così privo d’intenzione da ricevere da ricevere la loro e così insipido da farsene salare. Così sono diventato ospite a casa delle parole della Scrittura sacra... Ogni giorno mi sveglio assai presto, sfoglio per mia usanza l’ebraico dell’Antico Testamento che è la mia ostinazione e la mia intimità”.
È un incontro tutt’altro che innocuo: è una scelta assolutamente “rischiosa” e rivoluzionaria, per sé e per il mondo. È un incontro che ha il sapore di una lotta a corpo a corpo con Dio, come la lotta notturna di Giacobbe... una lotta da cui si esce radicalmente cambiati!
“Infatti la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore”. ( Ebrei 4,12)
È un incontro che potrebbe tingere di sole la nostra Milano, spesso appesantita dalle nebbie della mancanza di speranza, della mancanza di “sogni diurni”. Come ci racconta don Angelo Casati: “ Che cosa ti aveva portata in parrocchia quel giorno? Qualcosa (o Qualcuno?) che sta oltre? Non avevi nessuna frequentazione di preti. Non sei battezzata: Mi chiedesti di parlarmi. Eri senza pregiudizi, senza resistenze. Ti fissavo. Eri oltre. Oltre le cose ovvie. Sentivi dentro di te, mi dicesti, come un’attesa, un bisogno. Che cosa avrei potuto proporre a una ragazza come te, abitata da un’attesa, se non la Bibbia, il Vangelo, che, come dice la parola, è una buona notizia, e colui che è un vangelo, una buona notizia, Gesù di Nazareth? Rimasi sorpreso. Erano passati solo alcuni giorni. Sorpreso e commosso dalle tue parole: ‘Finalmente’ dicevi ‘Milano si è tinta di sole’. Continuo a leggere la Bibbia... Sono rimasta affascinata dalla libertà di Gesù. Non ho mai trovato qualcosa di simile. Respiro libertà”.
“Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio e la vivono ogni giorno”, canta la liturgia. Beati ... cioè felici!

don Mauro

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AVVISI - 10 MARZO 2024

NUOVI PASSI

A volte gli eventi più belli della vita ci capitano come splendide sorprese e ci cambiano. A volte li attendi dal profondo con trepidazione, li prepari con cura, ma continuano a sorprenderti e ti cambiano da capo a piedi... come la Pasqua!  Questo è il “compito” della Quaresima: cambiarci dalla testa ai piedi e insegnarci nuovi passi.

“Quaresima: dalla testa ai piedi”:
così scriveva don Tonino Bello, grande vescovo poeta e profeta: “Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi. Tra questi due riti, si snoda la strada della quaresima. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala. Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole. È difficile sottrarsi all’urto di quella cenere. Benchè leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: ‘Convertiti e credi al Vangelo’. Quello ‘shampoo alla cenere’ rimane impresso per sempre. Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini l’abbiamo ‘udita con gli occhi , pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica quella del Giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benchè articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il lavarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio. Potenza evocatrice di segni! Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare sui piedi degli altri. Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa”. Un ritorno a casa come quello narrato dall’Evangelista Luca nella parabola del Padre misericordioso e deciso così dal figlio: “Allora rientrò in se stesso...” ( Luca 15,17).
La Quaresima è proprio così: l’occasione per rientrare in se stessi, per tornare al Vangelo con nuovi passi.
Il Padre ci aspetta, ci corre incontro per riabbracciarci, per fare festa. Ci vogliamo mettere in cammino con papa Francesco, mettere i nostri passi sui suoi passi.
L’ha detto splendidamente Roberto Benigni alla presentazione del suo libro “ Il nome di Dio è Misericordia”: “Il cuore del ministero di Francesco è proprio la misericordia. Lui sta camminando verso qualcosa e non si ferma mai. A volta sembra affaticato perchè traghetta la Chiesa in un luogo del quale ci siamo dimenticati, verso il Cristianesimo, e la forza per questa sfida gliela dà la medicina della misericordia che va a cercare tra gli sconfitti, gli ultimi degli ultimi...”. E’ la rivoluzione della tenerezza! La Chiesa che amo è la Chiesa della tenerezza! Forse per troppo tempo ci siamo chiusi come in una fortezza nelle nostre certezze, forse abbiamo trascurato l’ascolto, il dialogo, la pazienza, la dolcezza, forse ci siamo dimenticati che compito della Chiesa non è chiudere una porta, ma piuttosto tenerla sempre aperta. Forse ci siamo dimenticati di abitare nelle domande, nei dubbi delle persone. Forse abbiamo avuto timore a mostrare tutta la nostra fragilità, ad ammettere che non abbiamo una risposta per tutto e per sempre. Forse ci siamo dimenticati del Vangelo, della potenza dei gesti dimenticati del Vangelo, della potenza dei gesti pieni di tenerezza di Gesù, il nostro Maestro, ci siamo dimenticati del Concilio Vaticano II, di quel meraviglioso inizio della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
È tempo di imparare ad avere sguardo da innamorati sul mondo, sulle persone, qualunque cammino abbiano intrapreso. È tempo di avere la stessa speranza di Dio e di aprire e dare spazi a tanti e diversi cammini. Mi torna sempre più alla memoria del cuore l’episodio di Mosè e del roveto ardente narrato nel libro dell’Esodo. A Mosè è chiesto di togliersi i calzari davanti a quel luogo sacro. Nell’avvicinarsi agli uomini, è chiesto lo stesso alla Chiesa e a ogni cristiano: togliersi i calzari. Perché ogni uomo, in qualunque situazione, è un “luogo sacro” e Dio è già in ogni uomo ben prima del nostro arrivo. È tempo di passare dal ‘balconear’ – parola di papa Francesco! – cioè dallo stare al balcone, in posizione di giudizio, allo stare in mezzo per servire, ascoltare, far crescere, annunziare la misericordia, la tenerezza di Dio.
Sono questi i passi, i salti che ci sono chiesti. Dovremmo imitare i bambini che nell’imparare a camminare affrontano tranquillamente, senza paura e con tenacia, mille rischi: cadono, si rialzano, cadono ancora, si rialzano di nuovo. Bisogna imparare da loro se vogliamo avanzare nella vita, se vogliamo danzare la vita. Nella certezza che cercando l’impossibile, l’uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile, non sono mai avanzati di un passo. In fondo, ce l’ha ripetuto spesso Gesù: “Se aveste fede quanto un granello di senape...”.

don Mauro

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AVVISI - 3 MARZO 2024

NUOVI SGUARDI

“Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo in un bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è. Nella ‘Firma in bianco’ la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta. Tuttavia il nostro pensiero comprende tutti e due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero... Divenni allora poco certo della profondità delle campagne, fui assai poco convinto della lontananza dell’azzurro chiaro dell’orizzonte, tutti gli elementi che l’esperienza immediata situava semplicemente all’altezza dei miei occhi. Ero nel medesimo stato di innocenza del bambino che crede di poter afferrare dalla sua culla l’uccello che vola nel cielo”.(Renè Magritte, pittore Belga, 1898. 1967)

La “Firma in bianco” è il quadro che ho scelto per questa quaresima 2024; che ci invita a coltivare “Nuovi sguardi” perché mette decisamente sottosopra la nostra solita visione della realtà, sollecita uno sguardo più libero che sa interrogare la realtà e svelare l’oltre, il nascosto, che sa fuggire a gambe levate dai luoghi comuni. L’attenzione però deve essere ben vigile e desta! Perché l’arte non riproduce semplicemente ciòche è visibile, ma ci regala la splendida possibilità di rendere visibile ciò che non sempre lo è.

Avere altri occhi, avere un altro sguardo è la consegna di questa Quaresima! Sono sempre più convinto ogni giorno che passa, ogni persona che incontro e ascolto, ogni problema che affronto, di ciò che affermava Simone Weil: “Una delle virtù fondamentali del cristianesimo, verità troppo spessa misconosciuta, è questa: ciò che salva è lo sguardo”.

Ne hanno fatto mirabile e indimenticabile esperienza tutti coloro che hanno incontrato Gesù di Nazareth: i Vangeli ce lo narrano con straordinaria potenza e insieme con semplicità, destando da sempre commozione e desiderio di sguardi che arrivano dritti al cuore, che sanno svelare e risvegliare la bellezza nascosta in ciascuno, sguardi liberi da pregiudizi, prevenzioni, sospetti, diffidenze, che ricreano e risvegliano.

“Nella vita quotidiana ci sfiorano con gli sguardi. Ci fissiamo per prepotenza, manteniamo lo sguardo per cortesia o ci perdiamo negli occhi dell’altro per amore. Lo sguardo è una meraviglia misteriosa. Quando guardi chi ti guarda, ti rendi conto che non dovresti trattare l’altro come un oggetto.

L’altro è una presenza, è un ‘tu’. Lo sguardo, però, può essere indiscreto, un giudizio ancor più spietato delle parole. Ciò che vale per le persone si applica anche alla nostra percezione dello sguardo di Dio. Jean-Paul Sartre, un filosofo esistenzialista ateo, racconta, che, una volta, nella sua infanzia, mentre stava giocando con i fiammiferi ha bruciato un piccolo tappeto. In quell’istante, mentre cercava di nascondere le tracce del delitto, ha sentito ‘lo sguardo di Dio all’interno della sua testa e sulle sue mani’. Era ‘orribilmente visibile’ agli occhi di quel Dio. Sartre si è infuriato contro tale ‘indiscrezione’  e ha bestemmiato e da allora, racconta: ‘Dio non mi ha più guardato’. Non c’è da meravigliarsi se qualcuno è diventato ateo! Uno sguardo onnipresente di questa aggressività è insostenibile, è diabolico! Non è affatto questo lo sguardo di Dio nei Vangeli. Gesù guarda l’uomo e il suo sguardo creatore effonde in lui la bellezza originaria e originale di Dio. Lo sguardo di Gesù restaura l’immagine ferita di Dio. Se il cuore è pronto, basta solo uno sguardo d’amore per risorgere. Quando qualcuno ci avvolge con uno sguardo caldo, la nostra vita è visitata, siamo improvvisamente strappati dall’anonimato e dalla solitudine esistenziale. Gesù ascolta, accoglie e ama con i suoi occhi. Lo sguardo di Gesù trasmette, guarda dentro e ama; così nell’episodio del giovane ricco: ‘Gesù lo guardò dentro e lo amò’. (Marco 10,21)”. (Z. Robert Cheaib, Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana).

Quale occasione migliore della Quaresima per ritrovare lo sguardo di Dio su di noi, sulla vita, sul mondo? Impareremo che niente è profano quaggiù per chi sa guardare... E quale occasione migliore del nostro cammino quaresimale che ci condurrà proprio sulla necessaria strada di nuovi sguardi su Dio, sulla Bibbia, sul matrimonio, sul prossimo?
Auguro a ciascuno, con Alessandro Pronzato, che questa sia una Quaresima nella quale ogni mattina purificare il nostro sguardo.

È necessario, ogni mattina purificare il nostro sguardo. Si tratta, infatti, di :

Si, soltanto se acquistiamo uno sguardo purificato, le pietre cominceranno a cadere dalle nostre mani.”

don Mauro

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AVVISI - 25 FEBBRAIO 2024

RITORNARE A DIO

Abbiamo iniziato il cammino della Quaresima. La Quaresima è un viaggio di ritorno a Dio. Quante volte, indaffarati o indifferenti, gli abbiamo detto: “Signore, verrò da Te dopo, aspetta...oggi non posso, ma domani comincerò a pregare e a fare qualcosa per gli altri”. E così un giorno dopo l’altro. Ora Dio fa appello al nostro cuore. Nella vita avremo sempre cose da fare e avremo scuse da presentare, ma amici, fratelli e sorelle, oggi è tempo di ritornare a Dio. “Ritornate a me con tutto il cuore”. La Quaresima è un viaggio che coinvolge tutta la nostra vita, tutto noi stessi. E’ il tempo per verificare le strade che stiamo percorrendo, per ritrovare la via che ci riporta a casa, per riscoprire il legame fondamentale con Dio, da cui tutto dipende. La Quaresima non è una raccolta di fioretti, è discernere dove è orientato il cuore. Questo è il centro della Quaresima: dove è orientato il mio cuore? Proviamo a chiederci: dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io? Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto e così via?  Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio? Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore dalle doppiezze e dalle falsità che lo incatenano?
Il viaggio della Quaresima è un esodo dalla schiavitù alla libertà. Sono quaranta giorni che ricordano i quarant’anni in cui il popolo di Dio viaggiò nel deserto per tornare alla terra delle origini. Ma quanto fu difficile lasciare l’Egitto! Anche per noi è così: il viaggio di ritorno a Dio è ostacolato dai nostri malsani attaccamenti, è trattenuto dai lacci seducenti dei vizi, dalle false sicurezze dei soldi e dell’apparire, dal lamento vittimista che paralizza. Per camminare bisogna smascherare queste illusioni.
Ma ci domandiamo: come procedere nel cammino verso Dio? Ci aiutano i viaggi di ritorno che la Parola di Dio ci racconta. Guardiamo al figlio prodigo e capiamo che pure per noi è tempo di ritornare al Padre. Come quel figlio, anche noi abbiamo dimenticato il profumo di casa, abbiamo dilapidato beni preziosi per cose da poco e siamo rimasti con le mani vuote e il cuore scontento. Siamo caduti: siamo figli che cadono in continuazione, siamo come i bimbi piccoli che provano a camminare ma vanno in terra, e hanno bisogno di essere rialzati ogni volta dal papà. È il perdono del Padre che ci rimette sempre in piedi: il perdono di Dio, la Confessione, è il primo passo del nostro viaggio di ritorno.
Poi abbiamo bisogno di ritornare a Gesù , di fare come quel lebbroso risanato che tornò a ringraziarlo. In dieci erano stati guariti, ma lui solo fu anche salvato, perché era tornato da Gesù. Tutti, abbiamo delle malattie spirituali, da soli non possiamo guarirle; tutti abbiamo dei vizi radicati, da soli non possiamo estirparli; tutti abbiamo delle paure che ci paralizzano, da soli non possiamo sconfiggerle.
Abbiamo bisogno di imitare il lebbroso, che tornò da Gesù e si buttò ai suoi piedi. Ci serve la guarigione di Gesù, serve mettergli davanti le nostre ferite e dirgli: “Gesù, sono qui davanti a Te, con il mio peccato, con le mie miserie. Tu sei il medico, Tu puoi liberarmi. Guarisci il mio cuore”.
Ancora: la Parola di Dio ci chiede di ritornare al Padre, ci chiede di ritornare a Gesù, e siamo chiamati a ritornare allo Spirito Santo. La cenere sul capo, che abbiamo ricevuto, ci ricorda che siamo polvere e in polvere torneremo. Ma su questa polvere Dio ha soffiato il suo Spirito di vita. Allora non possiamo vivere inseguendo la polvere, andando dietro a cose che oggi ci sono e domani svaniscono. Torniamo allo Spirito, Datore di vita torniamo al Fuoco che fa risorgere le nostre ceneri, a quel Fuoco che ci insegna ad amare.
Amici, fratelli e sorelle, questo nostro viaggio di ritorno a Dio è possibile solo perché c’è stato il suo viaggio di andata verso di noi. Altrimenti non sarebbe stato possibile. Prima che noi andassimo da Lui, Lui è sceso verso di noi. Ci ha preceduti, ci è venuto incontro. Per noi è sceso più in basso di quanto potevamo immaginare: si è fatto peccato, si è fatto morte.
Ecco allora che  la supplica dell’Apostolo Paolo: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20) deve diventare nostra. Lasciatevi riconciliare, il cammino non si basa sulle nostre forze; nessuno può riconciliarsi con Dio con le proprie forze. La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio. A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere.
Ci salva la grazia, la salvezza è pura grazia, pura gratuità. Gesù nel Vangelo ce lo ha detto chiaramente: a renderci giusti non è la giustizia che pratichiamo davanti agli uomini, ma la relazione sincera col Padre. L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia bisognosi della sua grazia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà. Io mi sento bisognoso o mi sento autosufficiente?
La Quaresima è una discesa umile dentro di noi e verso gli altri. È capire che la salvezza non è una scalata per la gloria, ma un abbassamento per amore. È farci piccoli. In questo cammino per non perdere la rotta, mettiamoci davanti alla croce di Gesù: è la cattedra silenziosa di Dio.

Ora che ci è venuto incontro, ci invita a ritornare a Lui, per ritrovare la gioia di essere amati.

don Mauro

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AVVISI - 18 FEBBRAIO 2024

IL GIGANTESCO SEGRETO DEI CRISTIANI

Ci sono le stagioni dell’anno e le stagioni vita. E ci sono le stagioni liturgiche. La Chiesa, splendida madre, grande maestra ed educatrice, ci dona la stagione liturgica della Quaresima, ci invita ogni anno alla Quaresima come luogo in cui vivere la realtà di un incontro, di una conoscenza, di una accoglienza più vera di Gesù Cristo e del suo Vangelo.  Sì perché la Quaresima va vista anzitutto come una Buona Notizia, come uno straordinario Vangelo, come un grande annuncio di vita, di speranza, di possibilità concreta di cambiare la nostra vita: al centro della Quaresima sta Dio e la sua misericordia, sta la Pasqua di Gesù.
Per questo la Quaresima è una vicenda di conversione. E’ la vicenda di un cristiano e di una comunità che si lasciano educare, “lacerare”, consolare, trasformare da una Parola che salva, da un Crocifisso Risorto. Sarà una buona Quaresima se riusciremo ad innamorarci un po’ di più del volto e del cuore di Gesù di Nazareth. Così, affascinati dalla sua vicenda, dai suoi gesti, dalle sue parole, dovremmo poter dire: vorrei essere anch’io così, sentire così, agire così, essere libero così, pregare, amare, perdonare così. Sarà una buona Quaresima  se riusciremo a vivere all’insegna del deserto, della gioia, della fraternità.
IL DESERTO. Gli innamorati lo sognano, lo desiderano, lo cercano. È il tempo dello stare a tu per tu, il tempo del cuore a cuore: “Ecco l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” ( Osea 2,16). Sono le parole dell’amante alla sua amata, sono il desiderio potente e dolce dell’intimità, dello stare a tu per tu. Sono le parole che il nostro Signore – come un tempo con Israele – ci sussurra in Quaresima. E Dio, come l’amore – e Dio è amore – non lascia mai le persone come le ha trovate: le illumina, le ispira, le consola, le trasforma, le trasfigura: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ezechiele 36,26). È questo il più grande miracolo che la tenerezza e la forza di Dio sanno inventare. Ed è solo questo cuore nuovo, questo cuore di carne che ci dona occhi nuovi per saper scorgere anche nella durezza della vita di ciascuno di noi e nella storia del mondo bagliori di bellezza e di speranza e che ci dona mani instancabili nella carità. Quaresima: tempo del “deserto”, del fare un po’ di spazio nella nostra vita al silenzio, alla preghiera, al prendere o riprendere fra le mani il Vangelo, alla scoperta del vero volto di Gesù di Nazareth, del senso e del segreto della nostra vita.
LA GIOIA. C’è una tradizione ebraica che invita a tenere in due tasche diverse di un abito due diversi bigliettini. Sul primo sta scritto: Ricordati che sei polvere e cenere”. Sul secondo sta scritto: “Ricordati che per te è stato fatto il mondo”. Così è la Quaresima che si apre con un pizzico di cenere versata sulla nostra testa per richiamarci alla caducità e alla fragilità della vita e che insieme ci richiama allo splendore dei doni di Dio e a quale grandezza è chiamato il nostro vivere. La Quaresima è questo cammino verso l’Altro che è Dio, e verso gli altri che stanno vicino e lontano da noi. Per questo la cenere che ci è versata sul capo è accompagnata da un caldo e potente invito a fondare la nostra vita sul Vangelo e a vivere in pienezza: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Una vita fondata sul Vangelo sconfiggerà la “cenere”  e darà risposta alla nostra ricerca di gioia. La gioia è scritta nei sogni di Dio per l’uomo, è scritta in ogni riga del Vangelo e in tutto ciò a cui ci invita. E’ il “centuplo quaggiù” che ci è promesso. Per questo noi ci sottoponiamo alla Quaresima “mirando alla gioia” : perché siamo certi che il segreto della gioia sta nel donare e nel donarsi e perché “la vita donata non muore”. Quaresima: tempo per ritrovare la gioia, la gioia del Vangelo, la gioia di essere cristiani, la gioia di vivere. Nella conversione al Vangelo.
LA FRATERNITA’. Terribili le parole del filosofo Voltaire che così apostrofava i preti: “A chi predicate la Quaresima, ai ricchi? Ma se non la fanno mai! ... Ai poveri? Ma se la fanno tutto l’anno! ...”. La Quaresima è tempo di fraternità. È il tempo dell’imparare a contrastare la cultura del consumismo, del superfluo con nuovi stili di vita all’insegna della sobrietà e della solidarietà, come più volte ci ha richiamato il cardinale Dionigi Tettamanzi: “Soltanto una vita sobria, in ricerca della ‘giusta misura’ in ogni cosa, capace di ‘stili di vita’ rinnovati, liberi dalla logica dello spreco e dell’eccesso, sa creare gli spazi per una vera solidarietà, per una accoglienza dell’altro ‘come se stessi’”. Così va visto l’invito della Quaresima alla conversione, al digiuno, al magro del venerdì, perché il risultato di certi digiuni non sia solo l’avere fame...  Quello con Dio in Quaresima è un incontro che “sconvolge” capovolge, converte:  “Quella dei poveri, come quella di Dio è un’esistente scomodante. Sarebbe meglio che Dio non fosse, sarebbe meglio che i poveri non fossero; poiché se Dio c’è la mia vita non può essere la vita che conduco; se ci sono i poveri, la mia vita non può essere la vita che conduco”. ( don Primo Mazzolari )

Ma questa è la Quaresima. Questo è la vita cristiana.

don Mauro

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AVVISI - 11 FEBBRAIO 2024

SORPRESI E ABITATI DALLA GIOIA DEL VANGELO

Il cristianesimo è proprio questo: un Vangelo, una buona notizia, un grande messaggio di gioia e di speranza. Non per nulla il primo miracolo di Gesù è stato il miracolo di Cana: un miracolo gratuito, apparentemente “inutile”, con un solo grande fine: portare gioia. Il cristianesimo è la splendida promessa per chi vive alla sequela di Gesù di Nazareth del “centuplo quaggiù” in libertà, in gioia, in fraternità, in speranza, in umanità, in profondità. Ed è una meraviglia scoprire cristiani felici. Felici di esserlo. Felici di raccontarlo. Cristiani che sanno testimoniare nell’ordinarietà quotidiana che credere e vivere ciò che si crede fa fiorire l’umano.

Anche se la vita spesso ci segna, ci ferisce, ci violenta con una malattia, con la morte di chi ci ama e amiamo, con brucianti ingiustizie, con un tradimento, un abbandono, con la perdita del lavoro, la difficoltà a trovare casa, a tirar su i figli. Anche se spesso abbiamo occhi velati di lacrime, con i tanti perché che rimangono senza una risposta e spesso ci si sente portar via il cuore... la fede – l’ho visto e sperimentato in tante persone – è forza e speranza inesauribile, è coraggio nel ricominciare. Perché credere non è solo credere, annunciare, attendere un’altra vita, ma vivere una vita “trasfigurata” oggi come è testimoniato in queste righe:

“La gioia è contagiosa, proprio come il dolore. Ho un amico che irradia gioia, non perché la sua vita sia facile, ma perché egli è solito riconoscere la presenza di Dio in mezzo a ogni umana sofferenza, la propria come quella degli altri. Dovunque vada, chiunque incontri, è capace di vedere e udire qualcosa di positivo, qualcosa per cui essere grato. Non nega la grande sofferenza che lo circonda né è cieco o sordo alle voci e ai sospiri di angoscia degli altri esseri umani, ma il suo spirito gravita verso la luce nelle tenebre, e verso la preghiera in mezzo alle grida di disperazione. Il suo sguardo è dolce e la sua voce è pacata. Non vi è nulla di sentimentale in lui. Egli è realistico, ma la sua profonda fede gli consente di sapere che la speranza è più vera della sfiducia, e l’amore più vero della paura.

La gioia del mio amico è contagiosa. Più so con lui, più colgo i bagliori del sole che risplende dietro le nuvole. Coloro che continuano a parlare del sole mentre camminano sotto un cielo nuvoloso sono messaggeri di speranza, i veri santi del nostro tempo”. (Henri J.M. Nouwen, Vivere nello Spirito).

Nessun cristiano può chiudere gli occhi e il cuore di fronte all’ingiustizia, all’infelicità, al dolore, ai bisogni degli altri, perché ogni cristiano è chiamato concretamente a vivere secondo il Vangelo, a vivere alla luce delle prime righe della costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II:

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

I cristiani sono chiamati a essere “incarnati” e “vulnerabili” perché hanno cura degli altri, perché hanno a cuore il mondo, a essere appassionati, con uno sguardo a 360° dalla parrocchia alla città, dalla politica all’economia, dall’oratorio alla scuola, dalla casa al lavoro, dal condominio al quartiere... a essere affidabili punti luce, punti speranza come si narra qui:

“in un villaggio islamico del Libano, un piccolo gruppo di persone divenne cristiano. Immediatamente si chiusero per loro tutte le porte della comunità. Gli uomini non potevano più stare con gli altri uomini in piazza e le donne non potevano più attingere acqua alla fontana del villaggio. I nuovi cristiani furono costretti a scavarsi una fontana per conto loro. Un giorno la fontana del villaggio si inaridì e si seccò. Allora i cristiani invitarono i loro compaesani a venire ad attingere acqua alla loro fontana. Fecero di più. Sulle loro case appesero un cartello che diceva: ‘Qui abitano dei cristiani’. Ciascuno sapeva così che in quella casa avrebbe trovato un aiuto e una mano tesa”.

La dove c’è un’assenza, un’assenza di gioia, di tenerezza, di speranza, di salute... i cristiani sono chiamati a essere presenza. Sono straordinarie la fede, la speranza, la carità. Non si arrendono, sono testarde, sono vitali, sono ricche di fantasia. Ci sorprendono, ci fanno arrivare all’impossibile...

don Mauro

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AVVISI - 4 FEBBRAIO 2024

PERCHÉ HA AMATO MOLTO

“Staffa è il nome del più leggero e piccolo osso del corpo umano. Sta nell’orecchio e dalla sua cavità passa il sonoro. Altri ossicini accanto hanno nomi di arnesi: incudine, martello. L’ascolto è più officina che sala da concerto. Poi il suono attraversa una serpentina di nome labirinto, trova l’uscita e arriva al cervello, fine della corsa. L’ascolto è un’onda che non torna indietro”. (Erri De Luca, La musica provata).

È come se ciò che ascolti non volesse lasciarti più, come se volesse far parte di te e arrivare per strade misteriose al cuore e trasformarlo... Sarebbe bellissimo se capitasse così con le parole evangeliche che ascoltiamo la domenica alla Messa!  Oggi, Domenica 4 febbraio, penultima domenica dopo l’Epifania, domenica detta della “Divina clemenza”, la liturgia ci regala un brano dei vangelo mozzafiato, un brano tenerissimo, spiazzante. Une di quei brani che andrebbe ascoltato, letto, riletto, rimuginato. Ci parla di Gesù, il Maestro. Lui che per noi cristiani è il Volto di Dio, che ama il profumo e le carezze di una donna peccatrice. E’ un brano che mi commuove da sempre.

Basta immaginare lo smarrimento, lo sconvolgimento, gli sguardi, i gesti, i silenzi, le parole; ancora una volta Gesù ci sconcerta, ci spiazza, ci scandalizza. L’Evangelista Luca, cantore della tenerezza e della misericordia divina, invita anche noi ad entrare nella casa di Simone, ad assistere ad uno “straordinario spettacolo” in cui ci viene narrata e celebrata la potenza dell’amore e delle lacrime di una donna peccatrice e insieme la potenza dell’amore di Dio, di Gesù di Nazareth che brucia e spiazza via tutta la miseria dei peccati di questa donna. E lei, la peccatrice, l’emarginata, l’esclusa dal mondo sociale e dal sistema religioso che irrompe sulla scena. Non ha un nome. Porta con sé solo le sue lacrime, il suo profumo, la sua tenerezza, la sua smisurata fiducia in Gesù, la sua temerarietà e la sua audacia che la fanno capace di correre ogni rischio per l’amato Gesù. Non rispetta le regole, infrange ogni norma, si addentra nel proibito. Usa il linguaggio delle lacrime e del corpo, un linguaggio più potente delle parole... baciare i piedi di Gesù, bagnarli con le sue lacrime, asciugarli con i suoi capelli e ungerli con il suo profumo. Gesti audaci e proibiti secondo la logica della legge, non secondo la logica della tenerezza, una tenerezza che sconfina.

Di fronte a tutto questo Simone, il fariseo, il benpensante, l’intransigente, non può no provare disagio e disprezzo, non riesce a non emettere una condanna.

Gesù invece accoglie la donna con tutta la sua tenerezza e la sua audacia, accetta le sue carezze e il suo profumo, loda questi gesti, la perdona e le restituisce la pace... Perché ha amato molto... Una condanna come quella di Simone ti inchioda al passato, senza nessuna possibilità di cambiamento. Gesù invece con il suo perdono e la sua squisita dolcezza ridanno alla donna il futuro e la speranza, è la potenza dello sguardo di Gesù che – a differenza di Simone – non vede solo una peccatrice, ma soprattutto una donna da amare. Gesù invita Simone ad avere lo sguardo di Dio, uno sguardo che avrebbe guarito anche il suo cuore dall’orgoglio.

“Noi come guardiamo? Con gli occhi della legge o con gli occhi dell’amore? Gli occhi della legge registrano i fatti, ma non registrano ciò che avviene nel cuore. Gli occhi dell’amore anch’essi registrano i fatti, ma sono capaci andare oltre o, se volete, vanno dentro e leggono le ragioni del cuore, gli itinerari del cuore, le svolte improvvise del cuore” (don Angelo Casati).

Quello sguardo di Gesù oggi è rivolto a ciascuno di noi, così come siamo, con tutte le nostre fragilità. Uno sguardo che ci può rialzare e ridare fiato e speranza. Siamo stati felicemente e nuovamente trascinati dall’evangelista Luca a guardare a Gesù, al suo stile così insolito, così eccedente, così paradossale. Occorre tornare spesso e sempre alle “poche” pagine evangeliche. Sono davvero poche in confronto con altre  opere monumentali, ma proprio lì sta nascosto il segreto di Gesù, il segreto del volto e del cuore di Dio. Ogni pagina è uno “scandalo”, un paradosso per la nostra ragione, una stella per la nostra vita.

“Strano libro il Vangelo: non si può leggerlo fino in fondo e per quanto tu lo legga, ti sembra sempre di non aver finito di leggerlo, o che tu stesso abbia dimenticato o non compreso qualcosa; lo rileggi: lo stesso; e così via senza fine. Come il cielo notturno: quanto più lo si guarda, tante più stelle vi si scoprono”.

In un tempo di fondamentalismi e integralismi così poco umani e così poco divini, la strada che dovremmo percorrere è quella di farci scandalizzare dall’uomo libero per eccellenza, Gesù. “Mangia il Vangelo”, dicevano i monaci, “Impara da Dio chi è Dio”.

don Mauro

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AVVISI - 28 GENNAIO 2024

DIO E LE PENTOLE

Febbraio: quando la “normalità” del quotidiano, dopo le feste natalizie, ci raggiunga quasi come un morso e tutto sembra scorrere via in giorni apparentemente uguali dove a volte sembra vincere il grigio... nelle relazioni, negli affetti, nei sogni, nella preghiera, nella celebrazione della Messa... Come possiamo illuminare e profumare il nostro vivere quotidiano
Un primo suggerimento ce lo regala Anselm Grun, teologo e monaco benedettino che ha scritto così nel suo interessante libro “Terapia dei pensieri”.
“I pensieri esercitano un influsso significativo sulla nostra mente, sulla nostra disposizione d’animo e sulle nostre azioni... I primi pensieri che si hanno al momento del risveglio ci influenzano tutta la giornata... I pensieri negativi mi sottraggono l’energia, mi fanno vedere la giornata attraverso degli occhiali scuri. Se ci osserviamo attentamente, scopriamo che viviamo costantemente di alcune frasi che ci ripetiamo o che, in determinate situazioni, ci passano autenticamente per la testa... Non è privo di importanza quali frasi ci ripetiamo.
Alcune ci bloccano, ci tengono prigionieri del cattivo umore, dell’autocommiserazione e della rabbia. Altre ci donano forza, coraggio, slancio interiore, disponibilità ad affrontare situazioni difficili. Di solito è una frase della Bibbia quella che i monaci hanno pronta per antidoto... Ognuno di noi dovrebbe esaminare la Bibbia alla ricerca di simili parole di salvezza...”
Grun afferma che chi vuole operare dei sei cambiamenti nella propria vita deve avere il coraggio di andare alla radice dei propri pensieri, dei propri stati d’animo. Come già facevano gli antichi padri del deserto: è alla loro sapienza che attinge per la sua terapia dei pensieri. Quella dei monaci non è una tecnica magica a buon mercato. Loro non si fermano a ripetere parole, agiscono in base a quelle parole. Ci scommettono con audacia, fiduciosi. Perché le nostre parole, i nostri pensieri sono la nostra vita o sono la nostra malattia. Occorre far nascere in noi pensieri che ci risanino, che ci aprano a Dio e ci conducano alla nostra autentica natura. E il nostro quotidiano si illuminerà e si aprirà a nuove prospettive, finalmente positive.
Un altro suggerimento sta nella splendida intuizione di santa Teresa d’Avila che, rivolgendosi alle altre suore, aveva detto: “Sorelle ricordatevi, Dio va fra le pentole, in cucina!” Dio non è lontano. Il nostro è un Dio che ci dice: Io sono. Io sono qui. Io sono qui con te. Io ti abito. Io sono qui per te. Io sono qui per te. Ti custodisco come pupilla degli occhi. Ti prendo per mano. Non temere. Non lasciarti cadere le braccia. Cammina, io ti porto. Non lasciarti schiacciare dal fardello del passato e del presente, dalla paura del futuro. Vivi il presente e sentilo come il luogo della mia presenza e il luogo della tua libertà.
“Non temere perché io sono con te; non smarrirti perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e ti vengo in aiuto: Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico ‘Non temere!’ Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Tu sei prezioso ai miei occhi”. (Isaia cap. 41 e 43).
“Non temere!... nella Bibbia questa espressione è presente 365 volte... una per ogni giorno dell’anno! E il nostro quotidiano si illuminerà perché abitato e sorretto dalla presenza di Dio e del suo Spirito.
Quando c’è un dolore, quando c’è una festa, le nostre porte si aprono alla condivisione, senza timore, nel desiderio di un abbraccio, di una stretta di mano, di un sorriso, di un aiuto... Che meraviglia se le nostre case, la nostra vita fosse così anche nella normalità del quotidiano! La vita è così bella quando è tessuta da mani che si stringono, da mani strette le une nelle altre. Già nella prime pagine della Bibbia stava scritto il sogno di Dio su di noi: “Non è bene che l’uomo dia solo”. Un sogno che può essere reso reale percorrendo la strada per diventare uomini adulti così descritta da Erik Erikson: “Esiste un solo tipo di uomo, veramente adulto: è la persona che ha cura di sé, dell’altro e dell’ambiente, in una parola: l’uomo solidale”.
Nasciamo, rinasciamo ogni volta che ci prendiamo cura dell’altro, che amiamo e ci lasciamo amare dall’altro. Perché se è vero che nessuno è così legato come chi ama, è altrettanto vero che nessuno è così libero e felice come chi ama. Ogni giorno dovremmo chiederci: Per chi sono tutti i nostri passi e gli affanni di questa giornata? Per chi vivo? Si può vivere solo per qualcuno. Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome. E ripeti il nome di Dio, Padre, il nome che contiene tutti gli altri nomi. Avrai una giornata più “leggera”.

don Mauro

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Il ritorno di CeneVentola!

Visto il successo ottenuto dalla compagnia parrocchiale dei MicAttori, sabato prossimo verrà riproposto lo spettacolo “CeneVentola”, che ha divertito grandi e piccini🪄
Ancora una volta vi invitiamo a prendere parte a questa bella iniziativa, così da trascorrere una bella serata in compagnia e aiutare l’Oratorio di Madonna in Campagna.

❗️Novità sulla modalità di prenotazione❗️
Per acquistare il biglietto per questo spettacolo (e anche per i prossimi😉), si dovrà utilizzare il sito di WebTic

https://www.webtic.it/#/shopping?action=loadLocal&localId=5790

oppure passare direttamente in teatro… vi aspettiamo!

💻Per ulteriori informazioni sullo spettacolo o sulla stagione teatrale 2023/2024, e per maggiori dettagli sul Teatro, consulta il nostro sito

https://www.mariareginadellafamiglia.it/teatronuovo/

Condividete questo post tra i vostri contatti,
vi aspettiamo numerosi✨

AVVISI - 21 GENNAIO 2024

STORIA DI UNO SPECCHIO

In questi giorni ho riletto una storia. Una storia vera. Narra di una mostra fotografica realizzata da Margherita Lazzati dal titolo “Fotografie in carcere” e che fu esposta al Museo Diocesano di Milano nel Gennaio 2020. Le foto, scattate nel carcere di massima sicurezza di Opera, ritraevano diversi volti oscurati per mancanza della liberatoria da parte dei protagonisti. Uno di loro in particolare – così racconta la fotografia – con un tono quasi di scusa le aveva detto: “Signora. Mi dispiace, ma non posso darle il permesso. Forse lei non sa, ma in carcere non si possono tenere specchi se non quelli piccolini da campeggio. Io sono qui dentro da tanto, tanto tempo e non mi guardo in uno specchio da non mi ricordo nemmeno più quanto. Non so più che  faccia ho, signora: io non so se quello che lei mi sta facendo vedere sono davvero io”. Qualcuno ha commentato così: “A noi non c’è nessuno che vieti di tenere in casa uno specchio a grandezza naturale. Forse è che non ci vogliamo più passare davanti e fermarci a guardare ciò che siamo diventati”.

Mi sono detto: quale specchio migliore delle pagine evangeliche che abbiamo noi per cogliere chi siamo e chi vogliamo essere come persone e come cristiani? Quelle pagine non sono solo una finestra aperta sul passato, non ci consegnano solo uno sguardo all’indietro, ma sono uno specchio che ci regala uno sguardo sul nostro presente, che ci permette di vedere e guardare al nostro volto e, di più, al nostro cuore. Occorre che ognuno di noi si specchi nel Vangelo, nel volto di Gesù! Bisogna tornare a quelle pagine, amarle, pregarle, mettersi alla loro scuola, lasciare che ci scalfiscano, ci convertano e ci diano forza e speranza... Sta scritto: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. (Lettera di Paolo ai Filippesi 2,5)... questo è essere cristiani: cercare di vivere con lo stesso cuore, lo stesso sguardo di Gesù. Uno sguardo che splende, sorprende e commuove in queste righe preziose tratte dal Vangelo di Luca: “Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: ‘Donna sei liberata dalla tua malattia’. Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio”. (13,10-13).

Sono profondamente grato alla pastora Lidia Maggi che così commenta queste righe:
“Qui ci troviamo all’interno di uno spazio sacro dove entriamo in contatto con una donna invisibile, piegata, silente. Una donna piegata da tanto tempo: diciotto anni! E questa donna abita questo spazio sacro così: zitta e piegata. Assistiamo ad una guarigione ma a differenza di altre non è la donna a chiederla. Di solito le persone cercano di avvicinare Gesù, di vederlo, toccarlo, attirare la sua attenzione perché le guarisca: questa donna invece, non pensa che la sua situazione possa essere diversa, cambiata. E’ rassegnata. Non è nemmeno in grado di verbalizzare il desiderio di una realtà diversa ed arriva ad un tale livello di accettazione della propria condizione che ritiene impossibile un cambiamento. Il futuro appare piegato e non riesce ad intravvedere qualcosa di diverso. Questa donna non chiede niente. Ma la bella notizia è che Gesù la vede! Di solito siamo abituati a un Gesù che pressato dalle richieste, concede i suoi segni di senso, i suoi segni del regno. Ma qui la donna non chiede niente e Gesù la vede così com’è, come una persona che non è in grado di vedere una realtà diversa da quella che vede guardando a terra, a livello dei suoi piedi; una donna che non è in grado di relazionare pariteticamente con la realtà intorno, con l gente che le passa accanto. Gesù la vede. Il testo ci dice che, dopo averla vista, la chiama a sé  e poi, all’interno di questo spazio sacro. Le impone le mani. Facendo ciò le dice: Donna tu sei liberata! E’ così che Gesù intende la guarigione: una liberazione. ‘Tu sei liberata dalla tua infermità’”.

È Così bello poter immaginare che sia stato Gesù a chinarsi verso di lei per poterla vederla negli occhi, per dirle tutto il suo affetto per poi rialzarla, guarendola. È come se quella donna avesse potuto finalmente guardarsi in uno specchio e ritrovarsi completamente diversa, liberata, sciolta. Per questo non poteva più tacere e il suo corpo risollevato poteva danzare.

Spesso capita anche a noi... anche alla nostra comunità pastorale... di essere “curvati verso il basso” per tante situazioni, paure, mancanza di speranza, delusioni, indifferenza,  disimpegno... Gesù il Maestro ci guarda, ci chiama, ci rialza e ci libera. Dovremmo fermarci e lasciarci guardare, dovremmo fermarci per sentire la sua voce che pronuncia il nostro nome.

Spero che capiti così a ognuno di noi !

don Mauro

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AVVISI - 14 GENNAIO 2024

QUANDO IL CIELO SPOSA LA TERRA

“Noi pastori eravamo abituati a guardare la notte, a guardare quando il giorno sarebbe iniziato. Ma quella notte iniziò il giorno che anche voi aspettate. Voi uomini, solo uomini come noi, guardate dunque la notte in cui siamo, la notte in cui siete, perché sappiate qual è il segno visibile con cui è iniziato il giorno senza fine. Perché la gloria di Dio oggi dorme visibile in una mangiatoia. Non abbiate paura, ci disse, non temete, non temetela sete del cuore, non temete se le cose, le vostre cose, non vi bastano mai. Non temete la nostalgia di ciò che vi manca, non temete la voglia di essere felici, non temete il grido del cuore che aspetta l’impossibile, non temete di voler cambiare. Mentre le stelle cambiano il corso il pianto di questo bambino sale al cielo, più potente del vostro male. Piegate le ginocchia e le vostre buone intenzioni dove il suo sorriso stupisce la terra che vede l’invisibile. Lasciate che il cuore batta forte perché quando il cielo sposa la terra l’uomo può ricominciare”.           (T.S.Eliot).
Così si può rivivere ogni giorno il senso del Natale: far entrare Dio nella nostra vita, nel nostro quotidiano, nella certezza che: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giovanni 10,10).
Credete a queste parole, ripetetele, pregatele durante questo anno nuovo di zecca. Credete a queste parole, ripetetele, pregatele quando tutto andrà a meraviglia, quando un nuovo amore nascerà, quando una nuova gioia vi raggiungerà o quando tutto sembrerà andare in frantumi, quando la vita mostrerà il suo volto più duro  e difficilmente sopportabile. Queste parole dicono il volto e il cuore del nostro Dio fatto uomo, dicono il suo sogno su di noi: che ciascuno sia felice. Queste parole sono scritte in maniera indelebile nel più profondo di noi stessi, per questo noi siamo cercatori instancabili di felicità. Ogni nostro atto, ogni nostra scelta, ogni nostro passo – forse anche nella direzione sbagliata – afferma con forza questo desiderio, il desiderio di felicità. Queste parole segnino l’inizio di ogni nuovo giorno.

Non so cosa capiterà nel prossimo anno... una cosa però so: se lasceremo entrare Dio nella nostra vita, Lui ci terrà sempre per mano. Nelle ore benedette e felici e in quelle più dura che ci appariranno maledette.

“A me piace che la liturgia ambrosiana cominci con il Benedictus. La prima cosa che il credente nella comunità cristiana è invitato a dire, quando inizia il giorno e loda il Signore, è il Benedictus. C’è una intuizione stupenda in questo cantico: Dio è presentato come Colui che visita il popolo. Allora l’oggi del cristiano non è l’oggi determinato semplicemente dalle forze che l’uomo ha, dai progetti, dalle speranze, o dalle disperazioni che caratterizzano la vita di ogni giorno. L’oggi è l’oggi visitato da Dio, dalla forza di Dio, dalla presenza di Dio. Il popolo cristiano si sente visitato da Dio e in Dio trova la forza per fare cose che all’ uomo sono impossibili”. (don Luigi Serenthà, Il Regno di Dio è qui).

Il fisico Carlo Rovelli ha raccontato di una sua esperienza vissuta in Senegal: “Sono entrato in una moschea con le scarpe in mano, cosa che non si può assolutamente fare. Ma è arrivato un vecchio che sorridendo ha preso le mie scarpe, le ha messe in un sacchetto, me le ha restituite e mi ha fatto cenno di entrare. Mi ha colpito che quell’uomo mi abbia accolto, preferendo la gentilezza alle regole. Se si collaborasse, invece che limitarsi alle regole, tutto andrebbe meglio”.

Ci guardiamo intorno e spesso vediamo vincere la violenza, l’aggressività. La ruvidezza... Quando la barbarie e la violenza diventano la normalità, la tenerezza e la gentilezza sono gesti rivoluzionari! La persona gentile cammina con passo leggero, ascolta con attenzione, guarda con tenerezza, tocca con rispetto, sa intravedere il mistero che è l’altro, il mistero che sta racchiuso nell’altro. Rivestiamoci di gentilezza e tenerezza! Credo davvero che abbiamo tutti  un bisogno estremo di gentilezza, di mitezza, di tenerezza... non sono affatto segni di debolezza! La nostra gentilezza e la nostra tenerezza sono un segno della presenza di Dio tra noi.

Capita così quando il cielo sposa la terra.

don Mauro

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AVVISI - 7 GENNAIO 2024

UNA NUOVA CREAZIONE

Oggi celebriamo la festa del Battesimo del Signore. La liturgia ci chiama a conoscere più pienamente Gesù del quale, da poco, abbiamo celebrato la nascita ; e per questo il Vangelo (cfr Lc 3,15-16.21-22) illustra due elementi importanti: il rapporto di Gesù con la gente e il rapporto di Gesù con il Padre.

Nel racconto del battesimo, conferito da Giovanni il Battista a Gesù nelle acque del Giordano, vediamo anzitutto il ruolo del popolo. Gesù è in mezzo al popolo. Esso non è solamente uno sfondo della scena, ma è una componente essenziale dell’evento. Prima di immergersi nell’acqua, Gesù si “immerge” nella folla, si unisce ad essa assumendo pienamente la condizione umana, condividendo tutto, eccetto il peccato. Nella sua santità divina, piena di grazia e di misericordia, il Figlio di Dio si è fatto carne proprio per prendere su di sé e togliere il peccato del mondo: prendere le nostre miserie, la nostra condizione umana. Perciò anche quella di oggi è una epifania, perché andando a farsi battezzare da Giovanni, in mezzo alla gente penitente del suo popolo, Gesù manifesta la logica e il senso della sua missione.

Unendosi al popolo che chiede a Giovanni il Battesimo di conversione, Gesù ne condivide anche il desiderio profondo di rinnovamento interiore. E lo Spirito Santo che discende sopra di Lui “in forma corporea, come una colomba” è il segno che con Gesù inizia un mondo nuovo, una “nuova creazione” di cui fanno parte tutti coloro che accolgono Cristo nella loro vita. Anche a ciascuno di noi, che siamo rinati con Cristo nel Battesimo, sono rivolte le parole del Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Questo amore del Padre, che abbiamo ricevuto tutti noi nel giorno del nostro Battesimo, è una fiamma che è stata accesa nel nostro cuore, e richiede di essere alimentata mediante la preghiera e la carità.

Il secondo elemento sottolineato dall’evangelista Luca è che, dopo l’immersione nel popolo e nelle acque del Giordano, Gesù si “immerge” nella preghiera, cioè nella comunione col Padre. Il battesimo è l’inizio della vita pubblica di Gesù, della sua missione nel mondo come inviato del Padre per manifestare la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Tale missione è compiuta in comune e perfetta unione col Padre e  con lo Spirito Santo. Anche la missione della Chiesa e quella di ognuno di noi, per essere fedele e fruttuosa, è chiamata ad “innestarsi” su quella di Gesù. Si tratta di rigenerare continuamente nella preghiera l’evangelizzazione e l’apostolato, per rendere una chiara testimonianza cristiana  non secondo i progetti umani, ma secondo il piano e lo stile di Dio.

Ecco l’impegno del cristiano: vivere in coerenza con questa dignità di figli dell’Altissimo. E lì si radica la missione del cristiano. Divenuto adulto egli diventa responsabile dei suoi fratelli. Non si può essere cristiani solo per sé. Il Battesimo, che viene poi perfezionato dalla Cresima, ci partecipa l’investitura messianica di Cristo. Ogni cristiano dunque un apostolo: qualcuno cioè che collabora con Dio per salvare i fratelli; che grida agli altri la sua fede, prima con la testimonianza silenziosa della vita, e poi con la parola. Come sarebbe presto cristiano il nostro ambiente se ogni battezzato avesse questa carica missionaria.

La festa di oggi ci impegna dunque a riscoprire con gioia il significato del nostro battesimo, alla luce di quello di Cristo: come dono d’amore del Padre che ci genera alla sua vita divina  come impegno che fa di ogni credente un responsabile di suo fratello. Le parole ipocrite di Caino: “Sono forse io il custode di mio fratello” non dovrebbero mai sfiorare le labbra di un credente.

La festa del Battesimo del Signore sia occasione propizia per rinnovare con gratitudine e convinzioni le promesse del nostro Battesimo, impegnandoci a vivere quotidianamente in coerenza con esso. È molto importante anche, conoscere la data del nostro Battesimo e  poi non dimenticarla: che sia una data custodita nel cuore per festeggiarla ogni anno.

don Mauro

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